Landini e le sfide aperte del sindacato

Analisi e aspettative per l’unità del mondo del lavoro dopo l’elezione del nuovo segretario generale della Cgil. Un contributo dalla redazione di Sindacalmente
ANSA/MATTEO CROCCHIONI

Sono convinto, come iscritto Cisl e come cittadino, che l’elezione di Maurizio Landini, a segretario generale della Cgil, sia stata la scelta migliore.  Per la Cgil, perché realizzata in modo unitario con il 92,7% dei 302 voti dell’Assemblea Nazionale, eletta – come il Direttivo Nazionale – con più del 90% del voto del Congresso.

Sia anche per l’evoluzione dei rapporti unitari con Cisl e Uil, per  incalzare con più forza ed efficacia il governo, con un più solido “rapporto di rappresentanza” che parta «dal basso», allargando quella dei giovani, dei precari senza tutele.

La mia speranza e la mia fiducia verso il leader romagnolo è motivata da alcune considerazioni.

In primo luogo penso, e spero, che Landini abbia saputo fare i conti con alcuni errori commessi alla guida della Fiom, quando in un non lontano passato contribuì alle traumatiche divisioni alla Fiat (ancora ben aperte) e nei metalmeccanici faticosamente ricucite con il rinnovo unitario dell’ultimo contratto nazionale.

Credo sia stato superato l’errore di quella maggioranza Fiom, da lui rappresentata, che si era convinta che meglio fosse “agire come Fiom”, sperando di trascinare la maggioranza dei lavoratori, piuttosto che procedere unitariamente “in cattiva compagnia” con Fim e Uilm, considerate troppo moderate se non anche subalterne alle strategie del grande padronato.

Un retaggio degli anni ’50 che, ritornato in auge per un certo periodo, ha pesantemente offuscato e travisato l’esperienza storica dei dirigenti Fiom e Cgil, che dopo la grande sconfitta alla Fiat del 1955, intrapresero una difficile strategia, tutta in salita, con uno slogan  sottinteso ma impegnativo, allora come non mai“..mai più da soli”.

Ho avuto l’onore e il privilegio di confrontarmi con questi leader, a Torino, all’inizio della mia militanza e esperienza sindacale a Torino, iniziando proprio da Mirafiori. Auspico che il neo-segretario Cgil sappia,ora, consigliare la Fiom ad intraprendere i passi adeguati per “costringere” i riluttanti del “patto del sì” ad iniziare un nuovo percorso unitario alla FCA nell’era di Manley e d’industria 4.0 e delle auto elettriche e ibride.

 Penso, e spero, anche che Landini abbia tratto un grande insegnamento dal non decollo della su proposta di “coalizione sociale” sulla quale scommise molto per cambiare le cose nel nostro Paese, convincendosi che non esistono scorciatoie, più o meno ardue, più o meno pericolose, rispetto alla costruzione d’impegnativi e faticosi percorsi per l’unità d’azione e per l’unione dei grandi sindacati, vivificandoli con pratiche, inchieste, consultazioni vere con iscritti e lavoratori.

Il sindacato per assumere un ruolo di “soggetto politico” e negoziare con efficacia con il governo, e con gli enti locali nel territorio, deve in primo luogo “camminare unitariamente”, il solo modo per far contare i 13 milioni di iscritti, una rappresentanza associativa che nessun partito dispone. Il voto elettorale è più mobile, agganciato a fatti d’opinione anche ondeggianti.

Una questione che resta da compiere nel sindacato e che è un’utopia realizzabile, resta l’idea avanzata da Landini di eleggere i dirigenti sindacali con il voto diretto degli iscritti. Lui pensa al segretario generale confederale ma ben più praticabili potrebbero essere sperimentazioni per i segretari generali delle categorie a livello territoriale, fatto che muterebbe di molto le stanche attuali dinamiche congressuali, impostate e mediate solo dall’alto.

Credo che l’elezione di Landini a segretario generale della Cgil sia anche una bella pagina per Susanna Camusso, che al termine del doppio mandato, è stata l’autrice principale di questa candidatura alla fine vincente; un dirigente (Landini) che, in passato, più volte si è dissociato dalle sue indicazioni anche non votando per lei o su quanto da lei proposto.  Penso e sono sicuro che Landini onorerà la sua affermazione che non “esistono governi amici” e saprà dimostrarlo con le prime prese di posizione e proposte di azione proprio verso il governo gialloverde, in cui alcuni hanno intravisto interlocutori per preoccupanti “inciuci”.

La manifestazione unitaria del 9 febbraio a Roma ne sarà la prima prova e Landini ha già dimostrato di avere buona memoria ricordando, appena eletto, al premier Conte che le intese sottoscritte con le associazioni imprenditoriali  già sollecitano l’approvazione di una legge sulla rappresentanza che dia certezze e diritti, cancellando anche alcune centinaia di contratti pirata (in totale ci sono oltre 850 contratti nazionali) secondo il principio dell’erga omnes dei contratti nazionali sottoscritti in base a requisiti certificati di rappresentatività.

Ha ricordato inoltre che l’introduzione del salario minimo orario non può essere un atto unilaterale del ministro Luigi Di Maio (che tanto ci spera!) ma una definizione conseguente ad un confronto reale con i sindacati confederali e categorie nazionali.

Spero inoltre che Landini, con altri leader sindacali, possa portare un considerevole contributo per “dare parola e voce al lavoro” promuovendo anche un non facile dibattito nel sindacato e nelle assemblee sulle grandi migrazioni in atto, in particolare dall’Africa, dichiarando “inaccettabile la chiusura dei porti” e  premendo – con mobilitazioni mirate – per accordi diversi con l’Europa, per ripristinare flussi legali d’immigrazione, concedendo il permesso di soggiorno anche a chi, irregolare è già in Italia e lavora sfruttato dal caporalato.

Infine sono certo che Maurizio Landini può essere una risorsa unitaria per la sua empatia popolare, per quel suo lessico poco “sindacalese”, per confrontarsi in qualsiasi sede con i “rampanti” del neo-populismo, non proprio alternativi all’esistente ma semplicemente “altri”, che pensano di risolvere i problemi complessi con 240 caratteri del twitter.

QUI una intervista rilasciata a Città Nuova dall’allora segretario della Fiom in occasione della partecipazione a Loppiano Lab.

QUI il commento di Stefano Biondi.

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