L’amore di Melina, nel bene e nel male

Le nozze, due figli, i cambiamenti affettivi di lui, l’aggressività, la separazione. Poi la ripresa della vita a due quando Filippo accetta di farsi curare per la malattia cerebrale che lo porta, piano piano, a ritornare bambino. Il centro per gli ammalati di Alzheimer e demenza

Melina ha 64 anni e vive a Vibo Marina, nel Golfo di Sant’Eufemia, in Calabria, in una piccola casa comoda, vicino al mare. Ogni mattina percorre 23 chilometri per raggiungere S. Costantino Calabro, il paese dove da pochi anni insegna francese, alla scuola media. È sposata con Filippo, l’uomo di cui si è innamorata giovanissima, per cui è scappata di casa e che ha sposato contro la volontà del padre, tanti anni prima. Melina è una donna all’apparenza serena, anche luminosa. Conoscendola, difficilmente indovineresti quello che ha vissuto e vive, nel privato. Perché Filippo è affetto da una forma di demenza. Tecnicamente: una “degenerazione frontotemporale, con un’alterazione comportamentale”. Definizione che non rende immediatamente comprensibile la realtà che ha vissuto e che vive ogni giorno.

«Ci siamo conosciuti a Messina nel 1976 e ci siamo sposati nel 1977. Io sono calabrese, ero lì per l’università, ero riuscita a convincere mio padre a lasciarmi libera di andare via di casa, per gli studi.  Ci siamo incontrati una sera, un sabato – era il 18 ottobre – ad una festa a casa di una coppia di sposini appena tornati dal viaggio di nozze. Abbiamo ballato, e poi mi ha tenuto la mano, tutta la serata. Da allora, nel bene e nel male, siamo rimasti sempre insieme».

Poco tempo dopo, Melina e Filippo decidono di sposarsi, ma il padre di lei non è d’accordo: «Non potevamo aspettare! Ero così innamorata della sua allegria! Io che ero sempre vissuta nella tristezza, prigioniera di un padre padrone, sperimentavo per la prima volta la libertà! Filippo mi faceva sognare, con lui sembrava che tutto fosse possibile!»

E così, scappano di casa.

«Avevo delegato ad una lettera le mie ragioni, spiegavo a mio padre che soffrivo la sua tirannia, il suo impedirmi di vedere Filippo. Lasciandomi libera di andare all’università, lui mi aveva messo il mondo tra le mani, e ora, non approvando il matrimonio con il mio amore, se lo riprendeva». Le nozze, vissute come una vergogna dalla famiglia, si celebrano il 13 febbraio del 1977, senza abito bianco. I due sposi vanno a vivere a Messina, in una casetta piccola, dove nasce Roberta, la loro primogenita.

«Eravamo molto innamorati ma da subito non andò molto bene. È vero che nella diversità ci si completa ma noi non facevamo le scelte insieme. Per esempio, io ero ponderata nelle spese e lui uno spendaccione». Filippo fa spese superflue, acquista continuamente nuovi strumenti elettronici, cambia con una frequenza preoccupante l’auto e la moto.

«La sua “faciloneria spregiudicata”, così la giudicavo, incideva pesantemente e dolorosamente sul bilancio e sull’umore della famiglia! Malgrado i miei tentativi, non riuscivo a prendere in mano le redini della nostra economia, Filippo continuava a non avere cura dei soldi, a spenderli in modo irresponsabile…».

La vita va avanti, la famiglia cresce, nasce il secondo figlio, Filippo viene assunto dall’Inps, e Melina diventa insegnante. Da donna di fede, cerca di vedere suo marito ogni giorno con uno sguardo nuovo: lo ascolta, condivide i suoi interessi, sperando che il suo amore, prima o poi, lo faccia cambiare.

«Ma col passare degli anni, comincio a notare anche dei cambiamenti affettivi in lui: con me era più freddo, mai una carezza o una parola gentile, lui che era sempre stato tanto affettuoso; lo stesso con i figli e i nipoti, il che mi risultava ancora più strano. Inoltre, aveva interrotto senza motivo dei rapporti di amicizia importanti. Era sempre scontroso, silenzioso, non salutava mai nessuno. La direttrice a lavoro mi diceva che aveva mandato in tilt tanti computer, lui che era informatico…».

Gli amici che sono rimasti fanno notare a Melina che forse questi comportamenti nascondono una qualche patologia. «Finché, nel 2015, non è diventato aggressivo. E a quel punto non ce l’ho fatta più e gli ho detto che lo lasciavo». È una decisione dolorosa ma necessaria. Melina è arrivata alla fine delle sue forze. Va prima ad abitare dalle figlia, poi riesce a trovare una piccola casa per conto suo.

«Stare da sola mi ha ricaricato, ho ritrovato quella libertà che avevo da studente, quando ero partita piena di speranze per Messina. Stavo bene! Da allora, lui ha cominciato a scrivermi chiedendomi di ritornare insieme: messaggi, mail… È così che ho cominciato a notare che le sue frasi erano piene di errori, come se non sapesse più scrivere. Alla fine, ho ceduto e gli ho detto che sarei tornata con lui se si fosse curato».

Filippo, dopo mesi di resistenze, accetta. Viene ricoverato, e la diagnosi è dura: disturbo bipolare. «Quando è stato dimesso, ho cercato uno specialista che potesse seguirlo nel quotidiano, ma tutti mi rispondevano che ero io a dover essere supportata». Melina non si arrende, si rivolge a vari specialisti, finché non arriva al Centro Regionale di Neurogenetica, a Lamezia Terme.

«La professoressa Cecilia Amalia Bruni lo visita, e dopo una risonanza fa la sua diagnosi: demenza frontotemporale. Il suo cervello, dal lato frontale destro, era come “un tappeto rosicchiato dai topi”. Di colpo, realizzo che non era dipeso da lui se aveva provocato tanto danno e dolore, a sé e alle persone a lui care». Con il tempo, la malattia di Filippo è peggiorata e ora, come dice Melina, “sembra di avere a che fare con un bambino, con un figlio, più che un marito”.

Melina

Se le chiedi cosa la fa andare avanti, Melina ti risponde che sono tante cose: l’amore dei nipotini; il gruppo di auto mutuo aiuto che si è creato con i familiari di persone ammalate di demenza frontotemporale, legate all’associazione Il Novilunio, con cui si incontra ogni 15 giorni, ma con cui si tiene in contatto quotidiano su whatsApp; poi, c’è l’Alzheimer caffè, due volte al mese, a Lamezia Terme, dove per un po’ si esce dall’isolamento sociale che la malattia comporta.

«Ho aspettato con speranza che partisse il centro diurno nei pressi della mia cittadina, un centro che c’è già ed è attrezzato di tutto punto per gli ammalati di Alzheimer e demenza, ma che non va a regime perché non ci sono i finanziamenti. Lo frequentiamo una volta la settimana, un paio di ore al pomeriggio, e Filippo ne trae molto giovamento».

E allora, viene da chiederle: come fai ad apparire così serena, Melina? «Il dolore ti immette in luoghi imprevedibili e ignoti ma io credo che sia anche “la finestra” da cui Dio guarda il mondo ed il mondo può “vedere” meglio Dio. E Lui, nella mia esperienza, non ti abbandona mai».

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