L’America Latina di Obama

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Di fronte alla crisi finanziaria in corso e all’emergenza mediorientale, certamente l’America Latina non figurerà tra i primi posti nell’agenda di Barack Obama. Per il direttore di Foreign Policy, Moisés Naim, ciò non è necessariamente negativo. Ad ogni modo, il vento nuovo che pare spirare da Washington sta facendo risvegliare speranze da tempo sopite nella regione. Basta citare i positivi commenti dell’acerrimo nemico della Casa Bianca, Fidel Castro, in merito al discorso di assunzione del presidente Obama. Da anni l’America Latina non guardava al nord con tanta simpatia. Per capire le ragioni di tali sentimenti, bisogna fare qualche passo indietro e partire dal 1823, quando nacque la dottrina Monroe, dal nome dell’allora presidente degli Stati Uniti, al quale venne attribuita la frase l’America per gli americani. Seguendo tale direttiva, gli Stati Uniti hanno coltivato nel continente un predominio che escludeva qualsiasi presenza europea e che ha trasformato la regione, dal Rio Bravo (la frontiera col Messico) alla Patagonia (il finis terrae del Sudamerica) nel patio trasero (cortile sul retro, in spagnolo): un’area politica e commerciale tranquilla e controllata. Ciò spiega i frequenti interventi militari in America Centrale e nei Caraibi, più di 60 in 150 anni, per spodestare governi, installare regimi amici ed appoggiare gli interessi di imprese statunitensi. Una pressione che negli anni Novanta, in pieno ritorno alla democrazia, si è concentrata nell’imposizione del Washington consensus, sorta di decalogo neoliberista. Oggi la regione è un’area che ha preso le distanze da Washington e coltiva la propria autonomia. La gestione Bush ha cercato di rompere la pur debole consistenza del blocco, ma senza successo. Un peccato, perché la classica cucchiaiata di miele – leggasi buon senso diplomatico e sincero spirito di partnership – avrebbe ottenuto immensamente di più dei barili di aceto versati più o meno goffamente. Ancora lontana dal raggiungere la consistenza dell’Unione europea, il blocco regionale coltiva l’idea di una progressiva integrazione, pur con oscillazioni. Spazi per alleanze e esistono. Disponibilità ad eseguire ordini, no. I tempi sono cambiati e la Casa Bianca farebbe bene a tenerne conto. Cominciando dal mettere la parola fine all’embargo commerciale ai danni di Cuba. Sarebbe un gesto di buona volontà, che aprirebbe le porte a un dialogo proficuo. Rinforzare i rapporti col colosso brasiliano, leader indiscusso, e col Messico e l’Argentina, le altre due chiavi di ingresso alla regione, può produrre effetti alla lunga molto positivi.

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