L’agricoltura che innova e conserva

Tecniche innovative basate sul principio della diversificazione colturale. Il sostegno dell'Unione Europea con il progetto Life help soil, insieme alle regioni Veneteo, Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna, Piemonte e Lombardia  
agricoltura

Nella storia dell’agricoltura, sicuramente può essere considerata una delle pietre miliari l’introduzione dell’aratro: eppure oggi, in tempi in cui il rispetto e la conservazione del suolo sono diventate questioni pressanti, c’è chi si impegna a ridurre al minimo – finanche ad eliminare – le pratiche di lavorazione del suolo stesso. È l’agricoltura conservativa, basata sui tre principi della diversificazione colturale – variare cioè le specie coltivate su un certo appezzamento, così da conservare ed arricchire la fertilità del suolo –,  della riduzione delle lavorazioni – per proteggere l’habitat e l’attività biologica degli organismi che vivono nel terreno, con ripercussioni positive sulla fertilità – e della copertura del suolo – così che la vegetazione trattenga l’acqua, e con essa elementi nutritivi e sostanza organica. A sostenerla è anche l’Unione Europea con il progetto Life Help Soil, insieme alle regioni Veneto, Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna, Piemonte e Lombardia (coordinatrice del progetto); e sono una ventina le “aziende dimostrative” che, dal 2013 e fino a marzo 2017, ne prendono parte. Tra queste c’è “La Fattoria” di Premariacco (Udine), il cui titolare Morris Grinovero ha recentemente ricevuto il Premio Iniziativa Imprenditoriale dalla Camera di Commercio del capoluogo friulano.

 

La scelta di questa tecnica colturale, spiega Grinovero, per lui è stata dovuta a diversi fattori: «Innanzitutto c’è convenienza economica perché si risparmia gasolio per i macchinari e si usurano meno gli attrezzi – spiega –, ma chiaramente questo è solo un aspetto: meccanizzare meno significa inquinare di meno e conservare meglio il terreno, mantenere il equilibrio la microfolora e la microfauna». A coinvolgere “La Fattoria” insieme ad altre due aziende della Regione – la “Zanone” di Cividale e la “Euroagricola” di Rivignano – sono stati l’Università di Udine e l’Ersa (Ente Regionale per lo Sviluppo Agricolo) che hanno sostenuto il passaggio all’agricoltura conservativa. «Il progetto prevedeva che io tenessi due appezzamenti – spiega l’agricoltore – ,uno a tecnica tradizionale e uno ad agricoltura conservativa. Quest’ultimo ha sempre dato risultati migliori. Inoltre il progetto ha stimolato il contatto e lo scambio di consigli e attrezzi tra le aziende partecipanti, e i buoni rapporti con l’Ersa e l’Università».

 

Sempre con l’Università era stato avviato un altro progetto per la coltivazione della canapa ad uso industriale, al momento però sospeso «soprattutto per le difficoltà di commercializzazione: sono poche le aziende che lavorano la canapa. Eppure le potenzialità ci sarebbero: abbiamo venduto ad una ditta che fa profumi, ad una che fa pannelli isolanti per la bioedilizia, mentre la corteccia della pianta viene usata per produrre i cruscotti delle auto di alta gamma».

 

Va precisato che l’agricoltura conservativa non è da confondersi con quella biologica; ma le due possono utilmente andare a braccetto, sostiene Grinovero. «Nella mia azienda ho 13 ettari in conversione per il biologico, dove coltivo quattro antiche varietà di grano destinate alla panificazione – ricordiamo che “La Fattoria” è una di quelle aziende che ha costituito il “Patto di filiera della farina del Fvg”, di cui avevamo parlato in questo articolo – mentre altri 63 sono dedicati a Life Help Soil. Quando la conversione al biologico sarà completata e certificata e il progetto terminato, conto di proseguire sulla strada dell’agricoltura conservativa e portare avanti insieme le due cose: per questo sto cercando nuove informazioni utili, e altre aziende e ricercatori con cui confrontarmi».

 

Da ultimo, un commento sui progetti europei e sui fondi in arrivo dall’Ue: «Certo questi progetti sono buona cosa – assicura l’agricoltore – ma non possiamo dimenticare che, dei 300 milioni di euro stanziati per il Piano di Sviluppo Rurale nell’ultima programmazione, noi coltivatori non abbiamo visto ancora un euro. E non vorremmo vedersi ripetere il triste film dei fondi restituiti perché non utilizzati. Non chiediamo elemosine, se i soldi non ci sono ce lo dicano e cercheremo il modo di fare senza: ma non possiamo fare investimenti contando che poi i finanziamenti per ripagarli arrivino, e poi vivere sperando che effettivamente sia così»

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