La soluzione possibile dei cittadini virtuosi

Una questione aperta: termovalorizzatori e discariche non sono la soluzione definitiva. Bisogna differenziare.
Detersivi alla spina

Volano i gabbiani sul cielo di Roma ma il mare è lontano. Li attira nella zona di Malagrotta, quella che viene definita la più grande discarica d’Europa. Il sito riceve ogni giorno tonnellate di rifiuti dalla capitale e ha superato da tempo la capacità di stoccaggio, tuttavia la sua chiusura è rinviata di anno in anno, perché si cercano altri invasi dove depositare gli scarti di una città che è rimasta ad un livello molto basso di raccolta differenziata. Il 21 per cento secondo quanto riferisce l’Ama. Lo spettro di Napoli incombe ormai (vedi box) con le soluzioni di emergenza che sono il primo ostacolo ad una conversione profonda del sistema economico e sociale che produce il rifiuto.

 

Le norme esistono

 

In Italia non mancano le norme. In linea con le direttive dell’Unione europea, è stato varato il Decreto Ronchi del 97, sostituito poi dal Testo unico ambientale del 2006. La gestione dei rifiuti, orientata al minor impatto ambientale, comunque inevitabile, prevede una precisa gerarchia di intervento: prevenzione, riuso, riciclo e compostaggio, recupero energetico e, infine, lo smaltimento in discarica. Il privilegio riservato alle 3R (Riduzione, Riuso, Riciclo) vuol dire che solo la parte dei rifiuti che non si riesce a smaltire dovrebbe essere incenerita per produrre energia con i cosiddetti termovalorizzatori, oppure trattata con altra tecnologia o, infine, smaltita direttamente in discarica.

Per prima cosa occorre, come sempre, prevenire. Senonché, cumulando i dati dell’ultimo Rapporto dell’Ispra, Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, l’economista ambientale Guido Viale ha estrapolato un dato significativo: dal 1997 al 2006 la produzione globale dei rifiuti (urbani, speciali e dell’edilizia) è addirittura raddoppiata. Tra quelli speciali, i “pericolosi” sono triplicati, come ben documentano le cronache sul fenomeno crescente del loro smaltimento illegale in discariche abusive (270 clan coinvolti secondo i dati del Rapporto ecomafia 2010 di Legambiente). Comportamenti criminali per i quali invano le associazioni ambientaliste chiedono di introdurre nel codice penale la previsione dei delitti ambientali. Paradossalmente, proprio l’Italia detiene un primato a livello internazionale nel corretto recupero di alcuni rifiuti pericolosi, come gli oli usati e le batterie al piombo, fino a ricavarne preziose materie prime per aziende d’eccellenza.

 

La differenziata va e non va

 

La raccolta differenziata procede bene nel Nord (media del 45 per cento), male nel Centro e nel Sud Italia (rispettivamente 23 e 15 per cento). Ma non si tratta di una questione antropologica. Salerno, 150 mila abitanti, ha raggiunto valori percentuali dell’80 per cento. Giuseppe Giaccone, a lungo tempo docente universitario di ecologia a Catania e consulente Onu sulle questioni ambientali nell’area del Mediterraneo, è stato sindaco di Baucina, 2 mila abitanti, dove già nel lontanissimo 1984 riuscì a far abolire l’uso dei sacchetti di plastica, avviando un processo di raccolta differenziata porta a porta diventata, in pochi mesi, una normale abitudine per la cittadinanza. Il segreto è stato la condivisione del progetto con tutte le agenzie educative, a cominciare dalle parrocchie. Anche il materiale inerte dell’edilizia, adeguatamente trattato, è diventato subito riciclabile con vantaggio anche dei paesi limitrofi.

Questo tipo di gestione intelligente del ciclo dei rifiuti è diffusa in realtà urbane di ogni tipo, a livello nazionale (vedi box). Un centro riciclo che, senza incenerire, smaltisce tutti i rifiuti non differenziabili è stato realizzato, ad esempio, da diversi anni a Vedelago nella provincia di Treviso, interessando un bacino di oltre un milione di residenti. Qualcosa che assomiglia molto alla formula “Rifiuti Zero” dello studioso statunitense Paul Connett, di San Francisco: spingere il riciclo e il riuso fino all’eliminazione di ogni residuo. È ciò che si propone di raggiungere entro il 2020, ad esempio, l’amministrazione di Capannori, oltre 20 mila abitanti in provincia di Lucca.

I rifiuti indifferenziati, comunque, prima di andare in discarica, o verso la combustione, possono essere sottoposti al “Trattamento meccanico biologico” per recuperarne ancora materiale da riciclare e isolare la frazione organica da cui estrarre gas utile per alimentare gli stessi mezzi della raccolta urbana.

Raggiungendo i livelli di differenziata del 65 per cento entro il 2012, come previsto dalla legge, verrebbe meno la necessità del numero attuale di discariche e inceneritori. Come ha osservato in una sua trasferta a Berlino il presidente della commissione parlamentare di indagine sulle ecomafie, Gaetano Pecorella, i tedeschi puntano ad arrivare al 90 per cento di differenziata da avviare al riciclo rendendo superati gli impianti industriali di termovalorizzazione che già adesso non riescono a funzionare a regime solo con i rifiuti locali e quindi accettano, facendosi ben pagare, i rifiuti italiani come quelli olandesi.

 

E la salute?

 

La diffusione nell’Europa continentale di questi sistemi, collocati magari nel centro cittadino proprio per assicurare la migliore distribuzione dell’energia prodotta, è stata una garanzia che ha accompagnato i 47 stabilimenti sorti anche in Italia. Infrastrutture «necessarie per la crescita del Paese», secondo Confindustria. Non esiste pericolo per la salute umana, almeno con gli impianti più recenti. Ne è convinto, tra gli altri, un’icona della lotta al cancro come Umberto Veronesi che, con la sua Fondazione, diffonde opuscoli rassicuranti dal titolo: “Le risposte della Scienza”. Di opposto parere, come accade normalmente per il sapere empirico, l’Associazione dei medici per l’ambiente: restano residui tossici da smaltire, ceneri e filtri, con polveri sottili da emissioni comunque nocive. Ci troviamo, insomma, davanti al caso classico che richiede la cautela di quel “principio di precauzione” invocato, davanti alla costruzione di un nuovo termovalorizzatore, in una lettera alle autorità locali da parte della federazione dell’ordine dei medici dell’Emilia Romagna nel 2007, criticata dall’allora ministro dello Sviluppo economico Pierluigi Bersani. Mentre l’esecutivo Berlusconi ha fatto della costruzione di tali impianti, un esempio della «politica del fare» usando, se occorre, «anche l’esercito».

Il professor Giaccone non afferma che i termovalorizzatori siano a zero emissioni, qualcosa rimane sempre; ma giudica positivamente il progresso raggiunto dalla migliore tecnologia. Li considera ancora inevitabili così come le discariche, contando tuttavia su una loro graduale diminuzione. Il responsabile scientifico di Legambiente, Stefano Ciafani, invita a limitarne il numero a quello strettamente necessario per non ostacolare l’aumento della raccolta differenziata. Restano invece contrari Greenpeace e Wwf che, ovviamente, concordano con Legambiente sulla necessità di cancellare il sistema degli incentivi di cui godono i termovalorizzatori: contributi (Cip6, ora certificati verdi) prelevati dalle bollette elettriche pagate dai cittadini per sostenere le fonti rinnovabili (a cui è stata “assimilata” per decreto quella che deriva dalla combustione da rifiuti). Forse è il caso di ricordare che il governo Prodi, che li aveva eliminati, fu costretto a reintrodurli per l’impianto di Acerra dato che, senza di essi, l’impresa vincitrice dell’appalto, l’Impregilo, non avrebbe avuto convenienza a terminare i lavori. Agevolazioni successivamente reintrodotte per tutti.

 

La vera alternativa

 

L’alternativa, dunque, non può essere posta tra inceneritori e discariche. Riduzione, riciclo e riuso rimangono le pratiche che andrebbero incentivate rendendo non conveniente il conferimento in discarica. Nel frattempo l’immobilismo protratto negli anni condurrà, e torniamo ad esempio nella capitale, a vedere l’enorme discarica di Malagrotta ricoperta e trasformata in parco naturale, secondo i progetti del proprietario, mentre rimarranno le linee dei termovalorizzatori che l’opposizione dei cittadini del posto ha inutilmente contrastato. E sono iniziate le ricerche di altri luoghi per nuove discariche e nuovi inceneritori. Ad Albano Laziale i comitati, sorti senza appoggio delle istituzioni, hanno da poco vinto un ricorso al Tar contro la società che vorrebbe costruire un impianto tra i filari di uva. Qualcuno parla di una sindrome da giardino di casa: «Dappertutto ma non vicino a me!». Ascoltando le voci di esperienze simili in tutta Italia si raccolgono approcci diversi. Di soluzioni alternative proposte e documentate. Emerge così la necessità di spazi di dialogo e ascolto civico autentico. È compito della “politica”? Non solo. C’è l’urgente bisogno dell’esercizio di una cittadinanza attiva davvero. Per il bene comune.

Carlo Cefaloni

 

Napoli

Scavando sotto l’emergenza

 

Ma è mai possibile che ’sti napoletani non riescano a fare la differenziata? Ma sono davvero tanto inetti e menefreghisti? O c’è qualcos’altro, sotto? Partia-mo dai fatti: Napoli è coperta di spazzatura. L’emergenza (ma è tale dopo 16 anni?) continua. Guardiamo i dati. A Bagnoli (19 mila abitanti), uno dei sette quartieri in cui si sta sperimentando la raccolta porta a porta, la differenziata supera il 90 per cento (dati del Wwf). A livello cittadino la percentuale è del 20: bassa, ma simile a Roma. In base al Rapporto sui rifiuti ur-bani 2010 dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, nel 2008 la Campania è stata una delle regioni ad aver rispettato i livelli di diffe-renziata previsti.

Ma se la gente si impegna, è invece il ciclo dei rifiuti che si inceppa. Innanzi tutto mancano gli impianti. I siti di compostaggio dove finisce l’umido, rifiuto difficile da gestire perché – come dimostrano le proteste di Terzigno – “puzza”, sono fermi o sequestrati. E dove mancano si butta tutto in discariche indifferenziate (vedi procedure di infrazione dell’Ue nei confronti dell’Italia) o si paga a peso d’oro chi le ha.

 

Poi c’è il termovalorizzatore. Checché se ne dica, funziona a regime ridotto e, almeno sulle carte, dovrebbe bruciare innanzitutto parte della montagna di ecoballe (circa 8 milioni di tonnellate) accantonate nelle campagne. Poi ci sono gli operatori ecologici: alcuni ex lavoratori hanno bruciato una cinquantina di automezzi, altri hanno gettato nell’indifferenziata carta e plastica, c’è chi sciopera, chi protesta e intanto la spazzatura marcisce per strada e nessuno disinfetta (per l’emergenza del 2008 ci sono 36 indagati per epidemia colposa e omissione di atti d’ufficio, sindaci e prefetti compresi).

 

Poi, c’è il trasporto: perché il percolato cola? I camion sono difettosi solo a Napoli (e i controlli?) o è un espediente per “smaltire” gratis rifiuti pericolosi? E dove va l’indifferenziata? Era il 2003 e l’allora commissario per i rifiuti e governatore Bassolino disse: «Basta con un passato fatto di discariche e camorra». Otto anni dopo lo scempio della regione, bucherellata da discariche in ogni dove, è compiuto con l’assenso di tutti i governi dell’ultimo periodo.

Diciamolo chiaramente: nessuno ha cercato di risolvere davvero l’emergenza. Considerando la gestione allegra di molte discariche (i pm al momento indagano su quella di Chiaiano) e i siti abusivi, l’aumento di malformazioni e tumori, l’inquinamento delle falde acquifere e l’elevatissimo costo della Tarsu, si intuisce la diffidenza della popolazione. Salvo un intervento divino, il problema non si risolve in tre giorni. Servono anni per realizzare gli impianti. Poi, colpo di grazia, è arrivata la legge che provincializza la gestione dei rifiuti. Può Napoli, con l’otto per cento del territorio, gestire la spazzatura di oltre la metà degli abitanti della Campania se in sedici anni non è bastata una regione intera a smaltirla? Se continuano gli invii di rifiuti all’estero e in altre regioni? La risposta dovrebbe darla chi ha firmato il provvedimento. I cittadini, però, hanno un’arma importante: le prossime amministrative. Un voto importante, per esigere gli impianti, una città pulita e la restituzione della propria dignità di popolo civile.

Sara Fornaro

 

 Comuni che fanno la differenz(i)a(ta)

 

«Quando si fa la raccolta porta a porta, il termovalorizzatore non ha motivo di esserci perché, con le scarse percentuali di indifferenziata prodotte, non ha carburante per funzionare. L’Italia deve scegliere se continuare ad investire nei termovalorizzatori o incentivare produzioni sagge che consentano il riciclaggio completo dei rifiuti». Siamo a Corchiano, comune di 4 mila abitanti del viterbese, con una differenziata all’80 per cento e l’obiettivo di arrivare a cento. Un traguardo, precisa il sindaco Bengasi Battisti (Pd), «possibile anche per le metropoli. San Francisco, con 800 mila abitanti, è al 65 per cento della differenziata e vuole raggiungere i rifiuti zero».

Di comuni virtuosi ce ne sono tanti, da Nord a Sud. A Vedelago, 17 mila abitanti in provincia di Treviso, la differenziata è al 72 per cento, mentre un Centro riciclo privato raggiunge percentuali del 99 per cento. Perché questa differenza? «Come comune – spiega il sindaco Paolo Quaggiotto (Lega Nord) – siamo inseriti nel Consorzio di bacino Tv3, che ha l’obiettivo dell’80 per cento. Col brevetto del Centro riciclo, invece, si arriva al cento per cento, elimi-nando discariche e inceneritori e creando sostanze inerti con cui realizzare elementi di arredo urbano. Si ricicla tutto, non c’è inquinamento di falde acquifere e aria, e si evitano polemiche, ora molto forti». Perciò, aggiunge Quaggiotto, «cercheremo di far adottare questa nuova tecnologia dall’Autorità di bacino e per il nuovo piano regionale dei rifiuti. L’obiettivo deve essere il bene della comunità, non solo la quadratura dei bilanci».

Sara Fornaro

 

 

MINI-GLOSSARIO DELL’IMMONDIZIA

 

CDR: combustibile derivato dai rifiuti. È ottenuto dal trattamento dei rifiuti solidi urbani con esclusione della frazione organica. Si smaltisce in termovalorizzatori o forni speciali.

CICLO INTEGRATO DEI RIFIUTI: processo globale di smaltimento dei rifiuti urbani tramite riduzione a monte, differenziata, compostaggio e, in minima parte, combustione negli inceneritori e conferimento in discarica difos e sovvalli.

DISCARICA: area impermeabilizzata e messa in sicurezza, con pozzi e canali per la raccolta del percolato, dove si ammassano rifiuti non trattati o speciali.

ECOBALLE: blocchi di Cdr triturato e avvolto in teli di plastica.

FOS: frazione organica separata negli impianti di Cdr. È contaminata da parti minuscole di rifiuti indifferenziati.

INCENERITORE: impianto di smaltimento di rifiuti mediante combustione ad alta temperatura.

SITO DI COMPOSTAGGIO: impianto di trattamento della frazione umida per ricavarne fertilizzante naturale o terriccio.

SOVVALLO: parte dei rifiuti secchi che non può essere bruciata.

TERMOVALORIZZATORE: inceneritore dotato di tecnologie che consentono il recupero e l’utilizzo dell’energia prodotta durante la combustione dei rifiuti.

 

 

LA PAROLA AI LETTORI

Emergenza rifiuti. Inviare contributi ed esperienze a segr.rivista@cittanuova.it o all’indirizzo postale.

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