La sfida educativa

Giovani e adulti: le ragioni di un’alleanza da ritrovare. Se ne è discusso al congresso su “Giovani e scelte di vita”, tre giorni di intenso dibattito all’Università Salesiana di Roma

«Il signore vi ha affidato una pedagogia in cui trionfa il rispetto del ragazzo, della sua grandezza e della sua fragilità, della sua dignità di figlio di Dio». Questa frase dell’Abbé Pierre, indirizzata anni fa ai Salesiani, potrebbe sintetizzare lo spirito con cui si sono svolte le tre intense giornate del congresso internazionale su “Giovani e scelte di vita – prospettive educative”. 450 partecipanti, da 70 nazioni di tutti i continenti, riuniti per riflettere su come educare i giovani a scelte autonome, libere e responsabili, analizzando i condizionamenti relazionali e ambientali con l’aiuto di psicologia, sociologia e antropologia. Sulla scia, naturalmente, della strada aperta dalle intuizioni di don Bosco e madre Maria Mazzarello.

Un congresso con tante domande e poche risposte, apparentemente, ma forse questa è una cosa positiva perché il mondo giovanile è talmente in evoluzione che non sarebbe saggio offrire piste rigide e univoche di comportamento (come fatto a volte in passato). Meglio allora aprire processi, come consiglia papa Francesco, per esempio scambiandosi decine e decine di “buone pratiche” e strategie messe in campo nei vari paesi del mondo.

A livello di riflessione generale, per motivi di spazio riporterò solo alcuni concetti (non esaustivi) estrapolati dalla ricca messe di interventi, al fine di rendere il lettore un minimo partecipe degli argomenti in discussione.

Adulti

Spesso oggi sono gli adulti a prendere i giovani come riferimento per il proprio stile di vita. Non sono più interessati a trasmettere i valori fondanti dell’esistenza ai giovani, che li percepiscono quindi più come competitori che come potenziali alleati. Ma se la generazione adulta rinuncia a farsi punto di riferimento per i giovani, il rapporto scade al solo livello affettivo perdendo la dimensione educativa. Diminuisce cioè la capacità di prospettare ai giovani esperienze per cui valga la pena impegnare la vita.

Giovani

L’orizzonte di senso è frantumato, aumentano gli stati d’ansia da prestazione, la competizione globale ha reso più duri i requisiti di una vita di successo. È come se la cultura postmoderna dicesse: «Caro giovane sei originale, pieno di talenti e potenzialità. Abbi molta ansia perché se fallisci sarà colpa tua!».

Nel mondo digitale, un giovane rischia di chiudersi in una bolla comunicativa basata sulle preferenze che, quasi sempre, sono influenzate dai suggerimenti dei robot (algorithmic consumer). La società postmoderna è caratterizzata da continui cambiamenti, specialmente nel mondo del lavoro caratterizzato da imprevedibilità e competitività. Ne segue che due sono le meta-competenze decisive: adattabilità e identità.

La progettualità personale è basata su una realistica conoscenza del proprio sé, sulla scoperta di significati e valori che diano senso alla propria esistenza e sulla conoscenza delle opportunità lavorative presenti nel proprio contesto di vita. Ogni decisione personale riflette una precisa visione della vita.

I giovani sono alla ricerca di luoghi dove esercitare le loro esigenze espressive e comunicative.

La scelta delle amicizie è determinante per la vita di un giovane, nel bene e nel male.

Educare

Compito dell’educatore è aiutare il giovane ad elaborare un progetto di vita (personale e professionale) e accompagnarlo poi in modo che lo metta in pratica, progressivamente, durante le fasi del suo sviluppo. Prevenire è quindi educare a scegliere, rendendo i giovani capaci di affrontare la vita con senso di responsabilità.

Non si può avere un controllo su tutte le situazioni in cui un figlio potrebbe trovarsi a passare: la vera educazione parte non dalla domanda dove si trova fisicamente il figlio, ma dove si trova “in senso esistenziale”.

L’idea di educazione è inscindibile da quella di alleanza tra le generazioni. Chiede agli adulti di mettersi in gioco, li interroga su perché la loro fede non scalda più e non riesce ad appassionare i giovani. Chiede agli adulti di fare un pezzo di strada insieme, di farsi pellegrini insieme ai giovani.

L’adulto deve riuscire a farsi accettare e comprendere, fino a divenire un modello credibile, che spinga i giovani ad uscire da se stessi per amare ciò che l’educatore ama, che coincide poi col loro bene. La ragionevolezza vissuta dall’educatore ha la funzione di temperare gli aspetti affettivi nella relazione imponendosi all’intelligenza dell’interlocutore non con la pressione emotiva, ma con la chiarezza delle idee.

In un mondo in cui prevale l’analfabetismo relazionale, occorre rinunciare a ciò che allontana dalla possibilità di stare con i giovani, occorre condividere la loro vita dall’interno, prima di tutto facendo loro il dono del tempo e dell’ascolto fraterno, paterno e materno. C’è anche una incapacità degli adulti di lasciare spazio ai giovani.

Il clima di famiglia favorisce il senso di appartenenza e questo a sua volta è elemento importante per la costruzione dell’identità. Non sottovalutare la forza educativa dell’ambiente.

Accompagnamento

L’accompagnamento sta diventando una necessità, in campo salesiano, ecclesiastico, laico. Invece sembra che l’accompagnamento personale sia abbastanza trascurato. È necessario che l’accompagnamento diventi una “forma” della cultura organizzata delle case salesiane, strutturando a diversi livelli l’organizzazione dei processi e degli ambienti educativi. «Coloro che accompagnano possono essere uomini e donne, religiosi o laici, coppie. Inoltre la comunità svolge un ruolo decisivo». (Instrumentum Laboris Sinodo n.122)

Vocazione

Assistiamo nella Chiesa a una tendenza a non curarsi della pastorale vocazionale lasciando tutto alla grazia di Dio e all’intervento dello spirito santo. La scelta è sostanzialmente una realtà personale, la vocazione invece è dialogica.

La fede, i valori e la vocazione devono essere vissuti in una comunità che li incarna, prendendoli sul serio, una comunità “alternativa” rispetto al contesto secolarizzato. I giovani, infatti, cercano il senso di se stessi in comunità che siano di sostegno, comunità che diano loro un ruolo significativo.

Figli di una società plurale, i giovani sono chiamati a vivere un nuovo stile di cristianesimo. La gioia è strettamente legata alla vita sacramentale. L’unico modo per aiutare i figli a essere felici e saper fare delle buone scelte è educarli nella religione.

Seminatori

Vorrei concludere questo piccolo resoconto del congresso, testimoniando la gioia che si respirava nell’aula magna dell’Università Salesiana, nelle sale riunione, nelle sessioni di comunicazione, nei corridoi, durante i pasti, ovunque. Anche nel momento di scambio di domande e risposte con il cardinal Lorenzo Baldisseri, segretario generale del Sinodo dei vescovi che si svolgerà in Vaticano in ottobre proprio sul tema giovani, l’atmosfera era fiduciosa, guardava al futuro con speranza.

Forse perché «Gesù non fa calcoli, sparge in larga misura il seme, senza interessarsi di dove cada e quale sia il suo frutto. Regala la sua Parola di vita, offre se stesso con la stessa gratuità del seminatore. Non aspetta che il terreno del nostro cuore sia ben preparato e non guarda se meritiamo la ricchezza della sua parola. Come lui, anche l’educatore sa che, per il gioco della libertà dei giovani, la sua azione potrà incontrare disponibilità, rifiuto o indifferenza. L’azione educativa, infatti, è un’arte che agisce spesso lentamente, di nascosto, in ritardo, e il cui risultato è imprevedibile. Al seminatore viene richiesto di avere cura, di rimanere fedele anche quando non ne comprende il senso, di lasciare che sia la stessa forza misteriosa del seme a far fiorire la vita».

 

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