La ripresa? Magari!

I dati smentiscono le impressioni di un'ottimistica opinione pubblica. Napolitano, Bankitalia e vescovi invitano ad un rigoroso impegno.
La ripresa? Magari

Beati italiani! Cresce nell’opinione pubblica la convinzione che «i momenti peggiori siano passati e le prospettive future, anche a breve termine, siano assai migliori». Nel dicembre scorso solo un italiano su cinque (il 21 per cento) si azzardava a prevedere una ripresa economica nei mesi successivi. Secondo le rilevazioni di fine maggio, «questa percentuale ha raggiunto la maggioranza assoluta con il 55 per cento», commentava qualche giorno fa l’esperto Renato Mannheimer sul Corriere della Sera.

Una maggioranza di inguaribili ottimisti? Più semplicemente, una maggioranza influenzata dalle ricorrenti dichiarazioni di una parte dei leader politici e rilanciate dalla televisione. Peccato, però, che i dati diffusi negli ultimi giorni di maggio fotografino una diversa situazione. Il Rapporto annuale dell’Istat riferisce che la disoccupazione aggredisce sempre più i capi-famiglia, soprattutto quelli di mezza età, per i quali è arduo ritrovare un lavoro anche se residenti nel Centro-Nord. Vivono in stato d’apprensione oltre otto milioni di famiglie (il 36 per cento degli italiani), perché sostenute da un solo occupato, mentre altri 5,3 milioni di famiglie (22 per cento della popolazione) hanno difficoltà a pagare affitto e bollette, per non parlare dei nuclei in cui nessuno adesso lavora, balzati repentinamente a 530 mila.

A sottolineare come stanno andando le cose ci ha pensato pure una persona cauta come il governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi. Nell’annuale assemblea dell’istituto di fine maggio ha presentato un quadro aggiornatissimo: «Si prevede che la crescita riprenderà nel 2010», e «per i prossimi mesi si prospettano ancora riduzioni di occupazione, di reddito, con riflessi negativi su consumi e investimenti». Con altrettanto realismo, ha indicato che la ricchezza dal Paese – il cosiddetto prodotto interno lordo (Pil) – quest’anno subirà «una caduta attorno al 5 per cento» e i lavoratori in cassa integrazione e disoccupati potrebbero salire dall’attuale 8,5 per cento al 10. Draghi, di conseguenza, ha sollecitato il governo a realizzare riforme strutturali, iniziando da quella degli ammortizzatori sociali, e a varare con urgenza provvedimenti di sostegno al reddito per chi non è coperto.

 

Dati eloquenti, che hanno spinto il presidente della Repubblica a lanciare un messaggio alle autorità di governo sul territorio – i prefetti – sulla tenuta del Paese in questo momento di crisi. Napolitano ha auspicato che «lo stesso spirito di coesione e di generosità della comunità nazionale» dopo il terremoto d’Abruzzo riemerga ora, nella difficile fase economica che alimenta «persistenti gravi difficoltà e molteplici inquietudini». Il presidente nutre timori sulla tenuta della coesione sociale e lo preoccupano i segnali di scontro, che potrebbero sfociare in violenze, com’è successo in diversi Paesi europei.

In questo frangente, la voce dei vescovi s’è levata in modo fermo. Nella recente assemblea della Cei, il card. Bagnasco ha dedicato ampio spazio alla situazione economica. «È il momento in cui la crisi tocca in modo più diretto, quasi cruento, la realtà ordinaria delle famiglie», e «a patire le maggiori ripercussioni è la fascia dei precari». Ma il presidente della Cei s’è spinto più in là, facendo presente al governo che per i precari «gli ammortizzatori sociali sono davvero modesti», e per le famiglie «torniamo ad auspicare un fisco più equo». Due palesi richiami, ai quali si aggiunge un monito. Bagnasco riporta alla cautela e al realismo: «Non mancano le voci che si arrischiano in previsioni quasi rasserenanti, che tutti naturalmente vorremmo vedere confermate», ma la verità è che «la crisi sta ora producendo i suoi effetti più deleteri sull’anello più debole della nostra popolazione».

Pensando proprio alle famiglie in difficoltà, il 31 maggio s’è svolta in tutte le chiese una colletta per costituire il Fondo di garanzia, promosso dalla conferenza episcopale. Servono 30 milioni di euro per offrire un prestito annuale con rate di 500 euro mensili a favore dei nuclei che abbiano perso l’unico reddito, con tre figli a carico o segnate da situazioni di grave malattia o disabilità. Nei momenti di crisi, quando si pensa più a sé stessi, l’iniziativa invita alla solidarietà e alla condivisione. Allora, speranza e ottimismo hanno buoni fondamenti.

 

 

Fiat e il risiko Opel

 

Un pregiudizio anti-italiano? La presenza di una potente lobby russa nell’economia tedesca? Forse hanno giocato anche questi fattori nell’esclusione della Fiat dall’accordo con Opel. Quel che è certo, è che non si è trattata di una vicenda industriale ma di un’operazione politica tra Germania, Russia e Usa. Ben poco poteva allora il pur apprezzato piano industriale di Marchionne, non accompagnato da telefonate del nostro governo e non sostenuto da qualche centinaia di milioni di euro, inesistenti nelle casse statali.

La proposta della Fiat poggiava su tecnologie d’avanguardia, medio termine e una necessaria ristrutturazione degli impianti tedeschi (con relativa riduzione del personale). La Grosse Koalition che governa la Germania ha invece pensato agli interessi immediati: capitali freschi dalla Russia e nessun ridimensionamento degli stabilimenti tedeschi. Opel, dunque, salva nelle mani della cordata russo-canadese Magna-Sberbank? Non è detto. Salve sono invece le elezioni tedesche, che si terranno il prossimo 27 settembre: né i democristiani, né i socialdemocratici volevano arrivare alle urne con i disoccupati Opel tra i piedi. Pazienza, se l’operazione impegna il governo con un finanziamento di sei miliardi: un rischio per il contribuente tedesco. E non importa se Opel, come preannunciano esperti tedeschi, sarà insolvente tra due o tre anni.

Marchionne ha definito la vicenda «una soap opera», della quale è rimasto irritato e disgustato. Adesso guarda avanti: mettere a punto i particolari per il controllo dell’americana Chrysler e avvicinarsi alla svedese  Saab, alle attività della General Motors in Argentina e Brasile e ad altre cose. Il futuro Fiat può fare a meno di Opel.

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