La rinascita sportiva di Alain

Intervista al pallavolista cubano Roca, tornato protagonista dopo un lungo periodo di inattività.
Alain Roca

«Sono cresciuto in una famiglia sportiva. I miei genitori hanno giocato entrambi a pallacanestro, in nazionale, e mio padre ha anche vinto la medaglia di bronzo alle Olimpiadi di Monaco ’72». L’allenamento è appena terminato. Coach Prandi, “il professore”, che allena in serie A dal 1976 e che in questa stagione è alla guida dell’Andreoli Latina, ha fatto sudare i suoi ragazzi. Quando però incontriamo Alain, nonostante la stanchezza, ci sorride e quando ci parla della sua famiglia i suoi occhi si illuminano di una luce particolare.

Roca, nell’ambiente della pallavolo, è considerato un vero fuoriclasse. Arrivato giovanissimo a essere un punto fermo della nazionale cubana «in una squadra composta da una generazione di grandi atleti», questo ragazzo partecipa ai Giochi di Atlanta del 1996. «Poi è arrivato un progetto nuovo, quello che permetteva a noi nazionali cubani di giocare all’estero con dei contratti speciali che aveva sottoscritto il nostro governo. Così, sono arrivato in Italia nella stagione ’98-’99 (a Cuneo) e ci sono rimasto anche in quella successiva (a Montichiari). Il vostro campionato è stato sempre un punto di riferimento a livello mondiale, una fantastica occasione di crescita per un giocatore giovane com’ero io allora».

 

Tutti pensano che Roca possa diventare presto una delle stelle del nostro campionato, ma nel 2000 Cuba improvvisamente chiede a tutti i suoi giocatori che militano all’estero di rientrare in patria: «Una scelta che non mi è piaciuta ma che ho dovuto accettare». L’anno seguente la nazionale cubana di pallavolo ottiene ottimi risultati e lui è sempre tra i migliori della sua squadra. Nel mese di dicembre però, dopo una partita giocata ad Anversa, alcuni suoi compagni (in pratica tutte le altre stelle della squadra) decidono di fuggire dall’albergo in cui alloggiavano per andare a continuare la loro carriera all’estero: considerati dal loro Paese come dei “disertori”, non possono più mettere piede in patria.

 

Alain, invece, fa una scelta diversa: «Sai, io in quel momento ho rispettato la scelta di ognuno, ma nel mio caso ho fatto un’altra valutazione; sono cresciuto in una famiglia molto unita, mio figlio era nato da poco, non me la sono sentita di allontanarmi da loro solo per continuare la mia carriera sportiva ad alti livelli. Certo, sono situazioni difficili, ma è stato sempre chiaro dentro di me quale fosse la cosa giusta da fare». In seguito alla scelta dei suoi compagni di lasciare Cuba, la squadra è andata un poco in difficoltà: «Ho cominciato a lavorare con uno staff tecnico nuovo con il quale non mi sono trovato a mio agio, giocando in un ruolo che non sentivo mio (palleggiatore), e così ho deciso di lasciare la nazionale».

 

A Cuba però non esiste un campionato regolare, chi si allena nella pallavolo lo fa solo per la nazionale e chi la lascia, di fatto, non può più giocare. «Per uscire dal Paese, sia per giocare sia per andare a vivere all’estero, dovevo avere un permesso speciale. Nel frattempo sono rimasto a Cuba, non ho più praticato nessuno sport, ho attraversato un momento difficile, ma dentro di me sono sempre stato convinto che se un giorno avessi avuto la possibilità di tornare a giocare a pallavolo sarei anche potuto tornare a giocare in Italia».

 

Il tempo passa e il permesso tarda ad arrivare. «Poi, improvvisamente, ecco che la vita ti dona una seconda occasione: dopo cinque anni finalmente ho avuto il permesso e ho potuto quindi riprendere la mia carriera. Ho ricominciato in Brasile nel 2007 e ora eccomi qui a Latina, dove mi trovo benissimo».

«Certo – aggiunge Roca –, sento molto il distacco dalla mia famiglia, è normale, ma appena posso torno a trovarli, loro capiscono che il mio lavoro adesso è qui e quindi mi appoggiano in pieno». Già, la sua famiglia. E gli occhi di Alain tornano a splendere di quella luce particolare.

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