La questione immigrazione esige giustizia. L’esempio boliviano

Quale la risposta all’ondata di migranti che premono alle porte dell’Europa? Mentre si discute di emergenza sicurezza, come creare condizioni di sviluppo che evitino che milioni di persone debbano abbandonare la propria terra per cercare altrove un futuro? L’esperienza della Bolivia
niger

Quando in Europa si parla di cooperazione, che senz’altro è uno strumento importante, lo stesso a me viene in mente il caso della Bolivia. Il Paese era fino a qualche anno fa il fanalino di coda del ranking dello sviluppo ed uno dei più poveri dell’America Latina, superato solo da Haiti. Non che gli mancassero risorse, dato che abbondano minerali ed idrocarburi. Eppure, la povertà era immensa, al punto da essere un Paese tradizionalmente di emigranti. Le cifre ufficiali dicono che due milioni e mezzo di boliviani vivono all’estero, la quarta parte dei dieci milioni di residenti. Senza contare i lavoratori stagionali. Il presidente Evo Morales racconta che la prima volta che dormì in un letto vero fu proprio da lavoratore stagionale in Argentina.

Le cose sono cominciate a cambiare non con la cooperazione ma a partire da un atto di giustizia. Quando il governo decise di cambiare i termini commerciali per lo sfruttamento delle risorse naturali. Le compagnie petrolifere lasciavano all’erario il 18 per cento dei proventi mentre tenevano per se l’82 per cento. Il governo di Evo Morales impose l’inversione della proporzione nella percentuale: 82 allo Stato ed il 18 alle compagnie private. Apriti cielo! Anatema! Come osa questo populista? «La Bolivia è sull’orlo del baratro, sarà trattata come paria e noi ce ne andremo via» Ma il governo non ne volle sapere ed avanzò lo stesso. Nessuno se ne andò. Rimasero le compagnie petrolifere perché lo stesso era un buon affare. Vi immaginate quanto ci stessero guadagnando? I governi amici dell’Argentina e del Brasile compresero poi che era necessario aggiustare il prezzo del gas, fino ad allora troppo conveniente per loro. Era uno sforzo che potevano sostenere. Oggi continuano ad essere buoni clienti.

Cosa è successo? Nel giro di sette-otto anni le entrate erariali per la vendita degli idrocarburi si sono moltiplicate per dieci. Il pil procapite dei boliviani si è raddoppiato. Gli investimenti dall’estero si sono moltiplicati per cinque (cioè non solo nessuno è andato via ma sono arrivati altri investitori). Il maggiore consumo ha favorito lo scambio con i vicini Perù, Argentina, Cile, Brasile… Tutti gli indicatori sociali sono nettamente migliorati. Gli obiettivi del Millennium goals sono stati raggiunti. Anche nelle zone più remote si costruiscono strade, scuole, ospedali, arriva l’acqua potabile, il sistema fognario, l’elettricità. A partire dal 2013, i dati ufficiali dell’emigrazione si sono invertiti ed i rientri superano le uscite di boliviani dal Paese.

Credo che quando si parla dell’Africa, prima ancora della cooperazione andrebbe fatto un atto di giustizia rivedendo i rapporti commerciali e stabilendo nuovi criteri in merito ai proventi che derivano. Perché, altrimenti, si mantiene solo il livello di utilità delle grosse compagnie invece di creare giusti e reciproci benefici col Paese produttore delle risorse. Dovremmo chiederci come mai la Repubblica Democratica del Congo, che ben potrebbe essere una potenza mondiale, languisce in mezzo a una guerra permanente con una parte del territorio occupata e saccheggiata delle sue risorse. Come mai in Nigeria, che dovrebbe beneficiarsi del suo petrolio è invece difficile trovare benzina, mentre nel Delta del Niger viene compiuto uno scempio ambientale apocalittico, con popolazioni la cui vita media è scesa al di sotto dei 50 anni. E possiamo continuare con tutte le ex colonie europee produttrici di beni necessari ai mercati Occidentali…

Certo, è una questione complessa, non facile da affrontare. Ma non è un problema di cooperazione quanto piuttosto di giustizia.  

 

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