La Polonia, le istituzioni e i cittadini europei

La procedura per lo stato di diritto, avviata dalla Commissione Ue nei confronti della Polonia, è un’occasione di confronto, come dimostra il dibattito al Parlamento europeo del 19 gennaio scorso. La questione necessita di un dialogo tra le parti sereno e costruttivo, cercando di capirne i veri termini
Polonia

Era uno degli scopi della decisione della Commissione di aprire un dialogo strutturato con la Polonia (e non una procedura di infrazione, che è tutt’altra cosa, e riguarda il non rispetto di regole giuridiche, mentre qui siamo in presenza di interrogativi sui valori): dare la possibilità agli attori coinvolti di parlarsi, di chiarire i fatti e le loro motivazioni.

Una prima tappa di questo processo di dialogo si è svolta il 19 gennaio a Strasburgo, dove la plenaria del Parlamento europeo ha accolto la neo-primo ministra polacca Beata Szydło.

In un clima di grande rispetto, e al tempo stesso di chiarezza sulle posizioni di ognuno, il governo polacco e i vari gruppi politici del parlamento hanno espresso le loro posizioni.

Chi ha ricordato che la Polonia è, per la sua storia («un esempio luminoso di lotta contro il totalitarismo»), la cultura, e l’importanza geopolitica, uno dei pilastri dell’Ue, chiedendo, proprio per questo, di ritirare le leggi controverse (Pittella, del gruppo socialista); chi che il problema non è la Polonia, ma le tentazioni autoritarie, che possono sorgere dovunque, e che «siamo qui per chiarificare i fatti e le azioni», senza giudicare o condannare nessuno (Esteban González Pons del gruppo popolare); chi ha messo in guardia il nuovo governo polacco, «eletto per migliorare la situazione economica del popolo polacco, non per distruggere i pesi e contrappesi democratici» (Sophie in 't Veld dei liberali); chi ha ha chiesto a tutti di fare un passo indietro e lasciare lavorare la Commissione, insieme al governo polacco, per affrontare le problematiche emerse (Syed Kamall del gruppo dei conservatori e riformisti europei).

La premier polacca Szydło, da parte sua, ha iniziato ricordando il mandato conferito dagli elettori che hanno portato al potere Diritto e Giustizia (Prawo i Sprawiedliwość, PiS), cioè riportare maggiore uguaglianza e affrontare i gravi problemi sociali della Polonia, che nonostante la crescita economica degli ultimi anni ha visto crescere le disuguaglianza in modo drammatico.

Apriamo una parentesi per permettere ai lettori italiani una migliore comprensione della recente evoluzione della situazione politica in Polonia: alle elezioni di ottobre 2015 la maggioranza degli elettori polacchi ha deciso di voltare pagina, dopo otto anni di un governo di impostazione piuttosto liberale guidato dal partito di centro destra Piattaforma Civica (Platforma Obywatelska, PO), e dare la maggioranza a PiS, che aveva nel programma la priorità di riportare l’ago della bilancia su aspetti sociali che erano stati trascurati. Va ricordato che PO ha sì promosso politiche di stampo liberale, ma è difficile dipingerlo come un partito ultraliberista: tant’è che, nel parlamento europeo, i deputati di PO siedono nel gruppo politico con i democristiani della Signora Merkel (mentre gli eurodeputati di PiS fanno gruppo, dal canto loro, con i conservatori britannici all’interno dei conservatori e riformisti europei).

Tornando all’intervento di Beata Szydło a Strasburgo, la premier ha messo in chiaro le motivazioni dei due provvedimenti controversi.

Riguardo la legge sulla corte costituzionale, il nuovo esecutivo ha ritenuto necessario riequilibrare l’organo supremo, che aveva visto negli anni la stragrande maggioranza dei suoi 15 membri nominata dal parlamento uscente, a guida PO.

Par quanto riguarda il provvedimento sulla TV e la radio pubbliche, i cambiamenti intrapresi dal parlamento, ha sostenuto la Szydło, hanno l’intento di rendere veramente imparziali i media pubblici polacchi, per rafforzare il pluralismo e l’onestà dei mezzi di comunicazione.

Tutto bene, quindi?

Dal punto di vista del dialogo, ci pare di sì. Per quanto riguarda il rispetto dei valori Ue, andranno chiariti i fatti e la loro portata.

Se, cioè, nell’intento di riequilibrare la composizione della corte costituzionale, si siano mossi nei limiti della separazione dei poteri sia il nuovo governo, quando non ha tenuto conto del parere della corte costituzionale stessa, che aveva annullato solo tre delle cinque nomine effettuate dal governo precedente; sia il nuovo parlamento, quando ha adottato la legge che prevede che la corte costituzionale decida a maggioranza dei due terzi (il che implica che i cinque giudici nominati da PiS avranno un potere di veto sulle deliberazioni di tale organo).

E se la nuova legge sui media pubblici, che fa scadere con effetto immediato i mandati dei membri delle direzioni e dei comitati di sorveglianza della televisione e radio pubbliche, finora scelti per concorso e che saranno d’ora in poi nominati e revocati dal ministro del tesoro, sia tale da garantire effettivamente il pluralismo e l’indipendenza dell’informazione.

La neo-primo ministra polacca Szydło ha affermato il 19 gennaio di fronte al parlamento europeo che la costituzione polacca non è stata violata. Se la procedura intrapresa dalla Commissione europea servirà a chiarire che anche i valori alla base del progetto di integrazione europea sono stati rispettati, sarà tanto di guadagnato per tutti.

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