La novità delle solite cose

L'arte di Morandi saluta il centenario con una ribalta mai vista. Il segreto di uno stupore senza fine.
Arte

Ad un secolo di distanza, gli esordi pittorici di Giorgio Morandi vengono celebrati in grande stile con una sventagliata di mostre monografiche. Dopo un successo clamoroso la grande retrospettiva del Metropolitan Museum of Art di New York è approdata a Bologna, la città dell’artista. Oltre cento opere raccontano la passione del pittore per le semplici cose; i paesaggi essenziali ed assolati, le nature morte di cuccume e bottiglie – sempre le stesse. Il materiale appare di facile comprensione ma, in realtà, l’opera di Morandi inganna facilmente gli spettatori frettolosi. Il suo mondo lento e silenzioso richiede che la percezione si disponga su tempi lunghi, quasi una meditazione.

Attorno esplodevano le avanguardie artistiche con le loro proposte ardite; in Italia il Futurismo scioccava il pubblico con azioni chiassose. Morandi se ne sta all’interno del piccolo studio che è anche la sua camera da letto; nulla di rivoluzionario o provocatorio, anzi, le sue appannate nature morte appaiono anacronistiche. Gli oggetti che egli sfrutta a sfinimento nelle sue composizione sono di per sé banalizzati dalla quotidianità; sembrano aver perso il loro fascino e il loro potere di seduzione.

Eppure i dipinti, gli acquerelli, i disegni e le acqueforti di Morandi riescono a trasfigurare questo mondo dal profilo basso portandolo dal piano della banalità a quello della scoperta e dello stupore. La meraviglia non sta tanto nelle cose in sé ma nello sguardo di chi le osserva; lo dice lo stesso Morandi: di nuovo al mondo non c’è nulla o pochissimo, l’importante è la posizione diversa e nuova in cui l’artista si trova a considerare e vedere le cose.

E lo sguardo di Morandi non solo coglie la bellezza, ma la sa generare e orchestrare: come un regista che non lascia nulla al caso, il pittore sceglie con cura le bottiglie dai rigattieri, ai mercatini; le introduce all’interno dell’angusta e straripante camera-studio; le colora, le lascia lì per mesi, aspettando che ciascuna vesta un velo di polvere che possa renderla più pacata, senza riflessi, senza luccichii.

Scelto il piano d’appoggio, in base all’incidenza della luce che proviene da un’unica finestra, inizia la messa in posa. Gli oggetti si compongono in una natura morta; l’impronta di ciascuno viene segnata sul piano d’appoggio per non perderne traccia; seguono attenti spostamenti e aggiustamenti minimi che possono apparire quasi maniacali. Solo al termine di questo lento rituale, quando la visione è riconosciuta come tale dall’artista, ha inizio l’atto pittorico. Si capisce come quelle bottiglie così curate e studiate dall’artista assumano ai nostri occhi una nuova percezione, quasi una nuova personalità. Solo dopo aver osservato con attenzione diverse opere di Morandi si riesce a entrare in quel mondo silente e, in parte, a comprenderne il segreto.

Gli oggetti che ritroviamo in tanti quadri, sempre gli stessi, non sono mai uguali; come attori impegnati in sceneggiature sempre diverse ci appaiono nuovi; l’accordo fra forme, colori, luce è unico e irripetibile. La stessa sorte spetta alle assolate case di Grizzana, anche loro, per decenni, sempre le stesse, eppure artefici di una pacata meraviglia. Trovandoci a Bologna, val la pena prolungare ed approfondire l’esperienza della mostra con la visita al Museo Morandi. Al termine del percorso un po’ dello sguardo di questo artista si è travasato nel nostro: meno smanioso di cose nuove, più sensibile nel vedere nuove le cose di sempre.

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