La Nato e l’Italia al centro delle polemiche sulla Liberazione

Aumento record delle spese militari mondiali nel 2021 mentre la politica della Nato irrompe sulle celebrazioni del 25 aprile e il conflitto in Ucraina rischia di espandersi. La solitaria missione diplomatica del segretario generale dell’Onu Antonio Guterres
Festa della Liberazione 2022. Foto Francesco Ammendola/Ufficio Stampa Quirinale/LaPresse

Tra 10 e 25 mila persone, a seconda delle fonti, si sono incamminate il 24 aprile da Perugia e Assisi in un’edizione straordinaria (di solito si tiene ogni 2 anni) della Marcia della pace dedicata all’emergenza della guerra in Ucraina condividendo il messaggio di ridare spazio ad un’iniziativa politica di pace alternativa alla logica delle armi.

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Gli organizzatori della marcia, in stretto rapporto con gli enti locali e il convento francescano di Assisi, non hanno voluto contrattare per le polemiche sulla presunta ambiguità della grafica del manifesto che è stato identico all’altra marcia straordinaria del 1999 legata alla guerra del Kossovo dell’ex Jugoslavia. Nel messaggio finale hanno espresso «incoraggiamento al Segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres ad avviare in prima persona un negoziato globale per la pace anche coinvolgendo l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite».

Da Assisi è, perciò, partito uno dei pochi segnali di sostegno alla missione diplomatica che Guterres ha, in effetti, intrapreso il 25 aprile recandosi a Mosca per incontrare Putin  e poi, a Kiev, Zelensky. Ma proprio dal governo ucraino sono arrivate critiche severe nei confronti dell’iniziativa del massimo esponente delle Nazioni Unite.

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Nelle stesse ore il segretario alla Difesa statunitense, Lloyd Austin, ha convocato nella base Usa di Ramstein in Germania i rappresentanti di 40 Paesi per definire una linea di condotta comune di lungo termine nei confronti della guerra in corso a partire dall’analisi della situazione attuale, concordando, come riporta Giuseppe Sarcina sul Corsera, «su come mobilitare l’industria della difesa nei diversi Stati per assicurare un flusso continuo di rifornimenti a Kiev». Per l’Italia ha partecipato il ministro della Difesa Lorenzo Guerini che ha ribadito «la nostra volontà di continuare a sostenere le Forze Armate di Kiev», annunciando che «presto invieremo equipaggiamenti militari».

Lo stesso Austin, dopo aver incontrato il presidente ucraino Zelensky assieme al segretario di Stato Anthony Blinken, ha affermato che «la resistenza ucraina può prevalere se avrà l’equipaggiamento e l’assistenza necessari», dichiarando che «la Russia ha già perso molta della sua forza militare e, detto francamente, anche un gran numero di soldati».  L’intenzione degli Usa è stata esplicitata dal capo del Pentagono senza mezzi termini: «Noi vogliamo che la Russia non sia in grado di ricostruire rapidamente la sua forza».

La festa del 25 aprile in Italia, giorno della Liberazione dal nazifascismo, è stata inevitabilmente attraversata dalle spaccature aperte dalla scelta del governo italiano di concorrere alla fornitura di armi all’Ucraina. Una decisione che ha avuto la conferma autorevole del presidente della Repubblica Sergio Mattarella nei suoi diversi interventi pubblici in occasione della festività nazionale che gli hanno permesso di ribadire la totale condivisione con l’operato di Mario Draghi, il presidente del Consiglio nominato dal Quirinale non solo per affrontare, con una massiccia maggioranza, la crisi della pandemia e il Pnrr, ma anche per ristabilire un chiaro indirizzo di politica estera in senso atlantista.

Mattarella alla celebrazione del 70° anniversario della NATO Foto Quirinale/LaPresse

Basterebbe riascoltare il discorso di Mattarella pronunciato a Napoli il 17 settembre 2021 per celebrare i 70 anni della Nato e sottolineare l’importanza del «nuovo concetto strategico atteso per il prossimo Summit a Madrid, per una Alleanza militarmente forte e, al contempo, politicamente sempre più efficace nel perseguimento di una politica di pace e di affermazione dei diritti dell’uomo».

La grande questione sollevata dall’invasione russa dell’Ucraina non è la resistenza armata che tutti, più o meno, ritengono legittima e giustificata, ma la fiducia o meno nella strategia seguita dalla Nato in quell’area critica del nostro continente.

Per la stragrande maggioranza dei commentatori sui principali mezzi di informazione, l’Alleanza militare guidata dagli Usa è intoccabile perché persegue una finalità di difesa nella salvaguardia dei valori occidentali di libertà allo stesso modo in cui le forze alleate intervennero nella seconda mondiale per sconfiggere il nazifascismo. Una “guerra giusta” per definizione, vinta tuttavia assieme al “nemico” della successiva “guerra fredda” e cioè la Russia di Stalin che pagò il terribile prezzo di 20 milioni di morti ricordati nella oceanica “marcia degli immortali” che si svolge a Mosca il 9 maggio di ogni anno.

Prima della guerra in Ucraina, la questione della Nato non è stata minimamente affrontata nel dibattito politico, tanto che è ignorato il “nuovo concetto strategico di difesa” che sarà approvato nella riunione dei 30 Paesi dell’Alleanza che si terrà a fine giugno a Madrid.

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Per una parte minoritaria dell’opinione pubblica, non solo i residui nostalgici dell’ex Urss, la Nato non persegue affatto strategie orientate alla pace ma è uno strumento guidato dagli Usa con finalità egemoniche, estranee alla retorica democratica, nonostante la regola formale del consenso unanime necessario per le sue deliberazioni.  Lo dimostrerebbero tutte le guerre promosse dagli Stati Uniti negli ultimi 30 anni che hanno messo nell’angolo la funzione dell’Onu. Un’icona del mondo “pacifista” come il missionario comboniano Alex Zanotelli sostiene, ad esempio, la necessità di sciogliere la Nato.

E il caso emblematico resta sempre la guerra generalmente rimossa dell’ex Jugoslavia e in particolare il conflitto per l’indipendenza del Kosovo del 1999 che ha coinvolto il nostro Paese con il governo D’Alema, primo ex comunista a ricoprire il ruolo di presidente del Consiglio, che sostenne il bombardamento di Belgrado protrattosi per oltre 2 mesi a partire dal 24 marzo di quell’anno. Nell’esecutivo di centro sinistra guidato da Massimo D’Alema, durato dal 21 ottobre 1998 al 26 aprile 2000, Sergio Mattarella, tra i fondatori del Ppi, ha ricoperto l’incarico di vicepresidente del Consiglio con delega ai servizi segreti e poi quello di ministro della Difesa.

Anche nel caso della tragedia dell’Ucraina esiste, perciò, una radicale diversità di visione tra chi riconosce o meno il ruolo attivo e di provocazione della Nato nella genesi di un conflitto armato potenzialmente senza controllo fino all’uso, niente affatto remoto, della bomba nucleare.

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Le diverse visioni sul ruolo dell’Italia in tale contesto internazionale ha portato alle polemiche e agli scontri durante le celebrazioni del 25 aprile.  A Roma ad esempio si è tenuta una manifestazione distinta da quella ufficiale dell’Anpi, giudicata ambigua, da parte dei radicali di +Europa e di Azione, assieme all’associazione dei partigiani cristiani, per rimarcare la scelta di sostenere l’invio di armi per la resistenza ucraina con tanto di bandiere della Nato che i radicali di Bonino hanno portato in altre piazze d’Italia, Torino e Milano, suscitando tafferugli con i centri sociali che si sono indirizzati anche verso il segretario del Pd Enrico Letta, reo di aver schierato il suo partito convintamente sulla linea Draghi-Mattarella.

Pochi i dissensi nell’area del centro sinistra come quello ad esempio di Rosi Bindi, Vannino Chiti e altri che si sono dichiarati contrari all’aumento delle spese militari da parte del nostro Paese. Per la Bindi, ex ministro della Sanità e già presidente del Pd, è «eticamente inaccettabile aumentare le spese militari e diminuire la spesa sanitaria rispetto al Pil».

Questo dibattito italiano si colloca all’interno di un quadro generale di continuo aumento della spesa militare che emerge dal nuovo rapporto del Sipri di Stoccolma che riporta lo sfondamento del tetto di 2.100 miliardi di dollari nel 2021. Come fa notare nel dettaglio l’osservatorio Milex «la spesa complessiva dei 30 Paesi della Nato equivale al 55% del totale globale. L’Italia rimane all’undicesimo posto per spesa militare, con una crescita del 4,6% rispetto al 2020».

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Uno scenario che si pone in contrasto con l’appello senza tregua di papa Francesco contro l’aumento degli investimenti in armamenti che preparano nuove guerre. Oltre a citare Francesco resta aperto, dunque, tutto il campo di chi con realismo intende proporre una politica di pace in un contesto che appare sempre più difficile, come ad esempio le associazioni cattoliche italiane che il 26 febbraio hanno rilanciato l’appello al governo italiano di adesione al trattato per l’abolizione delle armi nucleari.

 

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