La mia “bolla” personale (e di gruppo)

Tendiamo tutti a selezionare ciò che conferma le nostre opinioni, specialmente in Rete

Walter Quattrociocchi, 36 anni, coordinatore della Scuola alti studi (Imt) di Lucca, è ormai un personaggio noto a livello mondiale. L’hanno invitato alla Casa Bianca, alla Nato, al Global security program, ai festival di giornalismo, alla Camera dei deputati, ma appare spesso anche in tv, radio, riviste per il grande pubblico. La sua notorietà è esplosa dopo che ha pubblicato, in collaborazione con Antonella Vicini, il libro Misinformation (Franco Angeli 2016), dove riporta i risultati dei suoi studi sui flussi di notizie e opinioni che girano sui social media.

Bolle

In pratica su Internet le persone finiscono sempre per trovare conferma a quello che desiderano (inconsciamente) trovare.

Il meccanismo è semplice: trascuriamo ciò che è contrario alle nostre convinzioni per scegliere solo le notizie che ci danno ragione (anche se false!).

Tendiamo a costruirci storie e credenze infondate, a sostituire la verità con la nostra “post verità” privata, rafforzando le convinzioni che ci fanno comodo (confirmation bias). Creiamo intorno a noi una vera e propria “bolla” personale che ci conferma e ci protegge, un piccolo specchio narcisistico (echo chamber) dove trovano posto solo le notizie e gli amici che condividono la nostra visione del mondo. I social (Facebook, Twitter, Instagram, LinkedIn, Whatsapp, Google ecc.) fanno la loro parte diffondendo alla velocità della luce bufale, teorie del complotto, narrazioni strampalate, false notizie che “vogliamo” sentirci raccontare.

Secondo il World Economic Forum, la disinformazione digitale è un “rischio globale”, per le sue disastrose conseguenze politiche e sociali.

Tribù

Quattrociocchi nel suo studio dimostra anche che in Rete tendiamo a frequentare solo persone che la pensano come noi, mentre ignoriamo (e critichiamo) chi non è d’accordo con noi.

Questo porta, molto più che nella  vita  reale,  a  rinchiudersi in “bolle di gruppo”, in tribù composte da persone che hanno lo stesso nostro orientamento  in politica, calcio, moda, valori etici, giustizia sociale, arte, filosofia, religione e così via. I gruppi digitali, poi, tendono a rafforzare la propria identità isolandosi, radicalizzandosi (polarizzazione), escludendo “gli altri” e i diversi, fino a scontrarsi. Il gruppo, infatti, è più radicale del singolo e porta inesorabilmente alla guerra fra tribù. Avete fatto caso come nelle discussioni sui social, al crescere dei commenti la tendenza è verso stati d’animo sempre più negativi e di  disprezzo reciproco? E che chi grida più forte trova ascolto? Conta l’emozione, non la riflessione, mentre il 50% delle persone non è in grado di comprendere le notizie che legge in Rete! Fin qui Quattrociocchi, che non è ottimista sul fatto che si riesca a capovolgere la situazione.

Fragili

Il motivo forse ce lo spiega la psicologia cognitiva: siamo tutti fragili, insicuri della nostra immagine, bisognosi dell’approvazione degli altri. Anche chi sembra più felice e brillante, alla fine cerca solo di difendere il proprio equilibrio psicologico che sente precario, modificabile e insoddisfacente (Marraffa, Paternoster, Sentirsi esistere, Laterza). Tutti abbiamo bisogno di essere accettati, per questo nei social recitiamo in continuazione, “vendendo” noi stessi e la nostra immagine. E nei messaggi ricevuti al cellulare cerchiamo la conferma che la nostra vita ha un senso. I media digitali, infatti, sembrano offrire una risposta alla paura di rimanere soli, ma è una risposta finta, insoddisfacente. Anche le ultime ricerche, per esempio, confermano che più tempo si passa su Facebook, più ci si sente infelici. La tecnologia si limita a distrarci, a frammentare la nostra attenzione: vuole reazioni veloci ed emotive, perché sono quelle più influenzabili dai signori del marketing che ci devono vendere qualcosa.

Fatica

A questo aggiungiamo che cambiare idea è faticoso, mentre il nostro cervello vuole risparmiare energia. Preferisce quindi i processi di pensiero automatici (cioè inconsapevoli), che sono facili e rapidi, mentre quelli coscienti richiedono l’impegno volontario, controllato, lento e faticoso. I media digitali fanno sviluppare proprio la parte superficiale e automatica del cervello. La conseguenza è che non sappiamo più meditare e andare in profondità nei rapporti. Ci manca la vita reale, il tempo perso a stare insieme, parlare, scherzare, guardarci negli occhi senza distrazione tecnologica, riflettere in comunità. Scarseggiano gli strumenti intellettuali necessari per leggere in modo critico la sterminata offerta di Internet, distinguendo il vero dal falso.

Milioni di persone in Rete passano il tempo a scambiarsi messaggi sul nulla, postando giudizi emozionali su tutto, senza il tempo o la capacità di leggere un libro, in un concentrato di superficialità e ignoranza.

Che fare?

Uscire dalla bolla, personale e di gruppo. Non leggere quindi solo il giornale o il sito o il tg che la pensano come me, ma cercare altri punti di vista. Sviluppare lo spirito critico, per verificare le fonti delle notizie e smontare le bufale (Quattrociocchi e tanti altri stanno lavorando per rendere questo più facile). Frequentare anche chi non la pensa come me, cercando di capire quali sono le ragioni ideali alla base delle sue convinzioni.

Far parte di più gruppi. Bilanciare reale e virtuale, salvando il tempo per le proprie amicizie e relazioni reali. Soprattutto dialogare con tutti. Questo significa avere una propria opinione sugli argomenti, ma anche saper ascoltare, con l’umiltà di mettersi in discussione e non prendersi troppo sul serio, disposti a cambiare idea, senza irrigidirsi nelle proprie posizioni. Significa rischiare, lasciarsi influenzare dall’altro, fargli posto: in ogni caso, alla fine del dialogo magari io rimarrò della mia opinione e lui della sua, ma nel sostenere le mie ragioni da ora in poi avrò lui dentro di me, per cui sarò più rispettoso, delicato e inclusivo. Per star bene in Rete e nella società globalizzata di oggi, dobbiamo insomma diventare cittadini del mondo, capaci di apprezzare l’idea e la cultura altrui come la nostra. Capaci di metterci nei panni degli altri, cercando di vedere le cose dal loro punto di vista. Empatia è la parolina magica. Conviene cercare  il positivo, il bene comune, e cercarlo insieme, perché la felicità da soli non si trova, neanche nei social.

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Contagio sociale ed emotivo nelle echo chamber

Quattrociocchi è riuscito a misurare come si radicalizzano i gruppi digitali intorno ad una specifica narrazione. In particolare ha confrontato il comportamento degli utenti dell’area alternativo/complottista (andamento dei sentimenti generalmente negativo), con gli utenti dell’area di discussione scientifica (andamento stabile e, nel caso dei like, addirittura positivo). Se però continuiamo ad osservare l’andamento al crescere dei commenti degli utenti, notiamo che «si manifesta una forte tendenza verso la negatività. Verrebbe da dire che si interagisce principalmente per esprimere stati d’animo negativi. La positività/propositività pare infatti avere la peggio». Coloro che commentano, lo fanno soprattutto all’interno del proprio gruppo: «Ci si lamenta, ci si arrabbia, ci si indigna fra simili». Se infine proviamo a far interagire i due gruppi digitali sullo stesso argomento, notiamo (vedi figura sotto) che «il trend dell’emotività si sviluppa in negativo molto di più che all’interno della singola echo chamber. Quindi, dato ancora più sconfortante del precedente, quelle poche volte che due realtà diverse si incontrano, producono dinamiche peggiorative dal punto di vista emotivo.

(Walter Quattrociocchi, Antonella Vicini – Misinformation – Franco Angeli)

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