La geringonça di Costa

Indiscutibile vittoria delle sinistre nella tornata elettorale portoghese. Il premier uscente deve ora scegliere il partner, o i partner, di governo

«Ai portoghesi è piaciuta la geringonça e vogliono che si continui con la soluzione politica attuale, ma con un Partito socialista più forte». La frase è del rieletto Antonio Costa dopo la giornata elettorale di domenica, e rileva appunto che la parola con cui è stata definita, e popolarmente conosciuta, l’ultima legislatura nel Paese, geringonça, cioè aggeggio inutile, o accozzaglia, con una certa connotazione umoristica, non era poi da disprezzare.

La definizione era nata nel novembre 2015, quando Costa si era messo d’accordo con altre due forze della sinistra, il Blocco di sinistra (Be) e il Partito comunista (Pc), per cacciar via dal governo il conservatore Pedro Passos Coelho con una mozione di censura. Fu Paulo Portas, allora vicepresidente, a battezzare la manovra politica come geringonça, e pochi auspicavano una lunga durata di quella legislatura, che però ha poi avuto ancora modo di arrivare al suo termine naturale.

Che si possa ripetere negli stessi termini il “pasticcio” di allora non sembra probabile. Con i 106 seggi ottenuti dai socialisti (86 nel 2015) basterà l’accordo con solo uno dei soci precedenti per arrivare ai 116 della maggioranza assoluta, e sia il Blocco (19 seggi) sia i comunisti (12 seggi) sono in grado di farlo. Inizia ora una tappa di negoziati per capire con chi formare il governo, con un Costa convinto che l’elettorato ha dato allo Ps un «voto di continuità» perché «garantisce stabilità, equilibrio e buon senso».

Chi si era espresso senza mezzi termini è stato il Pc, uscito però dalle urne con uno dei peggiori risultati della sua storia. Jerónimo de Sousa ha annunciato che non concederà supporto al Ps se le condizioni dei comunisti non verranno accettate. In campagna i comunisti avevano insistito che non avrebbero più sostenuto Costa se non si fosse realizzato un aumento del salario generale (un salario di riferimento) di 90 euro mensili, una corrispondente crescita del salario minimo dagli attuali 600 euro a 850 e la sospensione della riforma del lavoro imposta dalla troika (Bce, Commissione europea, Fmi). Le condizioni messe dal Be sono altrettanto esigenti, ma chi sa mai se la prospettiva di far parte del governo renderà i due partiti minori più disponibili a modificare i termini del negoziato, che comunque non si annuncia facilissimo.

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