La difesa europea dopo il Trattato di Aquisgrana

L’accordo per la cooperazione e l’integrazione franco tedesca rafforza il legame tra le forze armate dei due Paesi oltre che nel settore produttivo dell’industria militare e dell’export di armi. Pietra tombale per l’Unione europea o stimolo all’integrazione tra i diversi Paesi?

Pochi giorni fa ad Aix-la Chapelle per i francesi e Aachen per i tedeschi, cioè la storica Aquisgrana del Sacro Romano Impero, i due leader Macron e Merkel hanno siglato il Trattato tra la Repubblica francese e la Repubblica federale tedesca sulla cooperazione e l’integrazione franco-tedesca, sollevando diverse critiche sia all’estero sia interne.

Cosa dice veramente questo trattato, firmato oltre mezzo secolo dopo quello storico franco-tedesco del 1963 sottoscritto da Konrad Adenauer e Charles de Gaulle, che intendeva porre fine a decenni di scontri tra i due Paesi?

In 28 articoli, oltre a riaffermare genericamente principi generali sull’Unione europea e sull’Onu, l’accordo prevede in particolare una crescente collaborazione nel campo della politica estera, di difesa e della sicurezza (esterna ed interna), tesa a rafforzare la capacità d’azione autonoma dell’Europa (cap. 2, art. 3).

Pertanto si stabilisce la costituzione di un Consiglio franco-tedesco di difesa e di sicurezza (cap. 2, art. 4-1), che si riunisce regolarmente ai massimi livelli almeno una volta all’anno, con lo scopo di cooperare più strettamente sia nel settore produttivo dell’industria militare, sia in quello della regolamentazione dell’export dei materiali di armamento per i progetti comuni, sia in quello delle forze armate (cap. 2, art. 4-3).

Oltre a riaffermare il reciproco impegno nella difesa da minacce esterne, viene deciso di formare équipe comuni per le rappresentanze all’Onu, con la prospettiva di un seggio permanente della Germania nel Consiglio di Sicurezza (cap. 2, art. 5 e 8).

Seguono poi altri articoli relativi al settore della cultura, dell’istruzione, della ricerca e della mobilità (cap. 3), nonché sulla cooperazione regionale e transfrontaliera (di particolare rilievo per le zone di confine) (cap. 4), per concludere poi sulle questioni dello sviluppo sostenibile, sul clima, sull’ambiente e sulle questioni economiche (cap. 5). Viene inoltre previsto, nell’ambito organizzativo, che almeno una volta a trimestre un ministro di un Paese partecipi al Consiglio dei ministri dell’altro governo (cap. 6, art. 24).

Criticato da più parti e definito da alcuni anche la pietra tombale dell’Ue per l’iniziativa unilaterale dei due Paesi, esso rispecchia un tentativo di risposta al crescente sovranismo (versione moderna del nazionalismo di antica data), che minaccia una vera cooperazione in ambito europeo, già indebolita dagli storici interessi particolari dei diversi Stati.

Se l’Unione europea ha fatto dei passi in avanti nel settore della difesa e sicurezza comune, essi restano ancora largamente insufficienti. Non esiste ancora la capacità di parlare con una voce unica e diversi governi – compresi quelli di Parigi e Berlino – in più occasioni si sono mossi autonomamente, dalla crisi libica a quella ucraina sino a quella recentissima del Venezuela, emarginando di fatto il ruolo e le competenze dell’Alta rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza.

Le recenti iniziative a livello Ue coordinate e strutturate, volte al rilancio dell’integrazione difensiva come la Card Coordinated Annual Review on Defence (meccanismo di revisione annuale delle spese destinate al settore della difesa), l’Edf European Defence Fund (teso a incentivare la cooperazione strutturata permanente) e la Pesco Permanent Structured Cooperation (volta all’integrazione strutturale delle forze armate di 25 dei 28 stati membri), rimangono comunque subordinate al potere decisionale degli Stati, gelosamente detenuto dai singoli governi.

Il Trattato di Aquisgrana si muove nella linea di principi e decisioni adottate dall’Ue già da tempo, sia nell’ambito delle Forze armate (i famosi Battlegroups composti da 18 battaglioni, di cui 14 con 1.500 soldati e 4 con 2.500 soldati), sia in quello della produzione militare e del relativo export. In questo ultimo campo esiste già la Posizione Comune Ue del 2008 che dovrebbe regolamentare e armonizzare l’export dei vari Paesi dell’Unione, la quale tra i primi dieci esportatori a livello mondiale ne vede ben sei del Vecchio Continente e nel suo insieme si presenta come secondo esportatore mondiale di armi, subito dopo gli USA. Inoltre è in vigore anche l’Arms Trade Treaty dell’ONU del 2014, firmato da tutti i membri Ue.

Il Trattato di Aquisgrana comporta novità rilevanti nell’ambito delle rappresentanze diplomatiche e della rivendicazione del seggio tedesco nel Consiglio di Sicurezza dell’ONU, senza far cenno ad un possibile seggio unitario per l’UE. Esso esprime la volontà dei due governi di fare dei passi avanti concreti rispetto alle esitazioni, alle lentezze e alle contraddizioni europee.

Le recenti polemiche del governo italiano con l’Eliseo, ad esempio, dimostrano come le difficoltà a cooperare anche da parte dei padri fondatori del sogno europeo siano rilevanti. A parte un cenno sull’Africa e sull’impegno per prevenire e risolvere le crisi, non si parla della questione migratoria, elemento fortemente divisivo della compagine comunitaria e che ne ha mostrato ancora una volta la debolezza politica.

Un’Europa a due o addirittura a tre velocità? Una fuga tanto in avanti da seminare tutti gli altri al punto da precludere ogni prospettiva di collaborazione comunitaria? Un’azione volta a tirarsi appresso gli altri ancora esitanti? Oppure, alla vigilia delle elezioni europee, una delle tante dichiarazioni politiche, più o meno formali, che poi alla prova dei fatti non troveranno riscontro concreto?

“Ai posteri l’ardua sentenza” si potrebbe dire. Ma ad oggi dobbiamo prendere atto della volontà unilaterale di questi due Paesi di fare un passo in avanti a fronte della Brexit e delle tendenze isolazioniste di molti stati. Se sarà una scossa dagli effetti benefici o altro, lo sapremo solo nei prossimi anni.

I primi dieci esportatori mondiali di maggiori sistemi d’arma 2013-2017 (mn $)

 

1. USA 50.062
2. Russia 31.722
3.       Francia 9.706
4.       Germania 8.469
5. Cina 8.312
6.       GB 6.952
7.       Spagna 4.262
8. Israele 4.248
9.       Italia 3.590
10.                         Olanda 3.101
11. Altri 15.198

Legenda: in corsivo i paesi membri UE

Fonte: SIPRI 2019

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