La cosa giusta al momento giusto

Avrò avuto 12 anni quando un responsabile regionale della Jec (Jeunesse Etudiante Chrétienne) ci ha fatto una domanda alla quale si poteva rispondere omettendo il proprio nome: Pensi di poter fare qualcosa di grande nella tua vita?. Io, timido e con un certo complesso di inferiorità rispetto agli altri ragazzi, ho pensato: Pur non essendo niente, Dio in me può fare tutto. Ed ho risposto di sì. Sono stato l’unico. Pierre Le Vaslot, 68 anni, dei quali oltre due terzi passati lontano dalla Normandia, sua terra natale, mantiene da sempre un atteggiamento molto riservato, anche se racconta fatti di un certo rilievo riguardanti la sua giovinezza e la maturità. Nonostante appartenessi ad una famiglia non praticante, ho frequentato scuole cattoliche ed ancora bambino mi è venuto spontaneo stabilire un profondo rapporto con Maria. Dio, infatti, mi appariva sì buono, ma lontano, mentre mi era più spontaneo pregare la Madonna. Posso veramente dire che la sua presenza materna ha costantemente alimentato la mia fede, specie quando, ad esempio, vedevo alcuni miei compagni d’infanzia gradatamente allontanarsi dalla pratica religiosa. E forse è stata lei ad indirizzarmi alla costante lettura della Bibbia. Ogni giorno due o tre pagine: così per vari anni, alla fine dei quali, proprio mentre stavo leggendo e meditando la preghiera di Gesù al Padre per l’unità, ho incontrato il Movimento dei focolari. A 17 anni – continua Pierre -, dopo l’esame di maturità, mi ero trasferito a Versailles per i primi tre anni di Economia e commercio; poi a vent’anni mi sono trasferito a Parigi per concludere gli studi. Ed è stato proprio lì che una sera, al termine di un incontro organizzato dal cappellano, essendomi fermato per riordinare la sala, ho conosciuto alcuni focolarini. È scattato un invito a cena che ho accettato volentieri data la mia solitudine. L’atmosfera del focolare mi ha immediatamente affascinato: c’era aria di famiglia e tutti parlavano di Dio come di un amico presente. Nel ’61, laureatosi, Pierre può disporre di qualche mese prima di partire per il servizio militare, e pensa così di impegnare questo tempo mettendosi a viaggiare in autostop per tutta l’Europa. Sarà un periodo di contatto con la natura, di nuove conoscenze, di aiuti imprevisti, di poche spese, ma soprattutto di tanta preghiera, diventata sempre più un tu a tu con Dio, un mezzo per allargare l’anima su tutta l’umanità. Finché arriva il momento, ormai inderogabile, del militare, che si preannuncia una esperienza lunga e impegnativa, anche per la guerra in corso in Algeria. Avevo ormai 23 anni – continua a raccontare – ed alla vigilia della partenza mi sono chiesto: E dopo, quale sarà la mia strada?. Incominciavano infatti per me le domande esistenziali più profonde, ma non capivo ancora bene verso quale scelta orientare la mia vita. Mi sono comunque proposto di mettermi in disposizione di amore e di servizio. Ho scelto l’arma del Genio e mi sono così trovato ad Angers in una scuola di formazione per ufficiali dove sono stato nominato furiere della sezione, un posto ideale per servire concretamente. Il rapporto con gli altri militari del mio gruppo era molto positivo e anche nello studio che dovevamo fare siamo risultati i migliori, con la conseguenza di poter poi scegliere le proprie destinazioni per i rimanenti mesi di servizio. Evitando di propormi per la guerra in Algeria, ho chiesto di andare nel Sahara – era una delle possibilità – dove in un oasi a 800 chilometri a sud di Algeri c’era la base della Première Compagnie Saharienne du Génie alla quale ero assegnato: 300 chilometri di pista non asfaltata da mantenere in efficienza, con la responsabilità di un centinaio di persone e di quaranta veicoli o macchinari vari. Ma soprattutto lì, nel deserto, sentivo fortissima la presenza di Dio, avvalorata anche dal contatto con i luoghi frequentati da Charles de Foucauld, e mi trovavo bene. Mi arrivava anche regolarmente Nouvelle Cité che manteneva viva in me la realtà dell’ideale dell’unità che avevo conosciuto, mentre una proposta, drastica ma affascinante, continuava ad interpellare la mia coscienza: Vieni e seguimi. Poi, con la proclamazione dell’indipendenza dell’Algeria, il 3 luglio del 1962, terminava la guerra e così, dopo soli 17 mesi – al posto dei 27 previsti di servizio militare – ho potuto tornare a Parigi. A Parigi inizia per Pierre un lavoro in banca; piccole ma basilari esperienze evangeliche diventano il suo pane quotidiano, manifestando sempre più il richiamo interiore ad una vita di donazione totalitaria. Contemporaneamente, però, arriva una prova: ha un forte crollo di salute, forse dovuto al brusco passaggio dall’aria pura del deserto ad un lavoro, spesso stressante, sempre sotto la luce artificiale degli uffici bancari. Non si arrende, anche perché sente che, nonostante tutto Gesù intensifica i suoi richiami. Ed è così che, non molto tempo dopo, si trova alla scuola di formazione di Loppiano, quella per i focolarini, da poco iniziata. L’incantevole natura del luogo ed il clima spirituale nel quale è immerso contribuiscono non poco al suo ristabilimento ed a confermarlo nella sua scelta. Poi una svolta imprevista: nel 1966 circostanze particolari inducono il movimento ad aprire un centro a Tlemcen, in Algeria. A Pierre viene proposto di farvi parte. Aderisce all’idea immediatamente, con entusiasmo. È infatti rimasta in lui una grande attrazione per il mondo musulmano. E parte presto, con Ulisse e Salvatore. I primi tempi, durante i quali si deve ristrutturare e adattare un monastero benedettino divenuto loro abitazione, sono molto impegnativi. A Tlemcen – racconta – i lavori che ci aspettavano erano molti e complessi. Per fortuna Ulisse aveva mani d’oro, sapeva fare di tutto: muratore, fabbro, idraulico, elettricista… Tutto ciò, naturalmente, accanto al lavoro quotidiano in una fabbrica tessile e allo studio dell’arabo. Io ho invece trovato lavoro come insegnante di inglese in un liceo: quattro classi di 40 ragazzi l’una, tutti algerini. Naturalmente il nostro primo impegno era quello di tenere sempre vivo tra di noi il più genuino spirito di famiglia e un rapporto di grande apertura e comprensione nei confronti di tutti, in una cultura assai nuova per noi. Ho visto così formarsi e maturare un bellissimo gruppo di giovani che, nel rispetto delle loro convinzioni, condividevano il nostro ideale. Pierre si reca pure in Libano, per un incontro estivo del movimento, a Champville. La Mariapoli – spiega -, ha avuto un carattere ecumenico e interreligioso per la presenza di cattolici, ortodossi e musulmani. E ho intuito che anche il Libano reclamava la presenza stabile dei focolarini. Così, nell’ottobre del 1969, Pierre Le Vaslot lascia l’Algeria e si trasferisce a Beirut. Altro Paese, altra avventura. Faccio l’esperienza che in tempi di fondazione (com’era allora il movimento) arriva sempre tanta provvidenza. Mentre si provvedeva a riadattare la nuova sede, i Fratelli maristi ci hanno ospitato nel loro convento di Champville ed io ho subito trovato lavoro in un’azienda di import- export a cinquanta metri da casa. Dato che poi l’appartamento completamente sprovveduto di ogni cosa, abbiamo visto arrivare mobili, frigorifero, fornello, batteria da cucina, piatti, letti, coperte, lenzuola… Erano tempi di scontri, e spesso ci siamo trovati in situazioni esplosive. Nella città c’era il coprifuoco; pattuglie di polizia giravano ovunque e le raffiche erano all’ordine del giorno; eppure non ci è mai capitato niente di male. Ci veniva da pensare che Dio aveva avuto un bel coraggio a mandarci così lontani dalle nostre rispettive patrie, in ambienti culturalmente così diversi e per di più in una situazione quasi di guerra. Questo primo periodo in Libano sarebbe stato purtroppo solo un assaggio della guerra vera e propria, scoppiata nel 1975 e durata fino al 1990. Ma intanto i Focolari rinsaldarono la loro presenza, sempre disponibili ad aiutare tutti, collaborando con la Croce Rossa o sistemando i profughi… In quel clima di tensione, si approfondiva in Pierre una convinzione: Vivere per costruire dei ponti. E così, per 16 anni, Pierre Le Vaslot si è trovato in Libano ad essere un ingegnere di… cuori e anime!

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