La bellezza della Sapienza

La chiesa beneventana di Santa Sofia: un gioiello altomedievale, che l’Unesco ha dichiarato patrimonio dell’umanità

Non sono un tifoso di calcio, ma date le mie origini campane non ho potuto che rallegrarmi per l’ingresso in serie A del Benevento, dopo la meritata vittoria dell’8 giugno scorso sulla squadra del Carpi. Una promozione attesa da molti decenni, che ha lasciato interdetti i frequentatori del grande calcio, pressoché ignari di questa squadra di provincia approdata in serie B da appena un anno.

A me, fra l’altro, vedere in tv le immagini di una intera città impazzita dalla gioia ha fatto venire in mente il suo bellissimo centro storico dove ho scoperto gioielli come il Museo del Sannio e la chiesa di Santa Sofia, quest’ultima dichiarata dall’Unesco patrimonio dell’umanità insieme ad altri sei siti d’Italia ricchi di testimonianze architettoniche, pittoriche e scultoree di epoca longobarda. La notizia, il giugno 2011, di questo prestigioso riconoscimento ha senz’altro solleticato l’orgoglio dei beneventani, per chi l’ha saputa. Ma non mi risulta che abbia suscitato manifestazioni entusiastiche come quelle per la squadra giallorossa…

Detto ciò, mi accingo a rivisitare, stavolta idealmente, Santa Sofia. Voluta dal duca Arechi II come simbolo del suo potere, fu intitolata come l’omonima basilica costantinopolitana alla Divina Sapienza di Cristo (in greco Aghian Sophia) e consacrata nel 768, divenendo il secondo polo religioso dopo la cattedrale. Dopo la caduta del regno longobardo di Desiderio ad opera dei franchi (774), quando il ducato di Benevento venne elevato a principato e la città assurse al rango di seconda Pavia, essa divenne il tempio nazionale della gens Langobardorum. Arechi l’arricchì con le reliquie di molti santi e vi aggregò anche, retto dalla sorella Gariperga, un monastero femminile benedettino alle dipendenze di Montecassino, le cui strutture ospitano oggi il Museo del Sannio.

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Più volte rimaneggiata nel corso dei secoli, in seguito ai danni provocati da due terremoti e dalle bombe dell’ultima guerra, Santa Sofia fu riportata per quanto possibile all’aspetto primitivo con i restauri degli anni Cinquanta del secolo scorso, che lasciarono però quasi immutata la facciata barocca dal bellissimo portale romanico con lunetta del XIII secolo.

Stranamente il massiccio campanile quadrangolare che svetta nella medesima piazza Matteotti non è collegato alla chiesa. È perché, crollato due volte su di essa ad opera dei terremoti, fu riedificato dove ora si trova, a distanza di sicurezza.

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Poiché l’esterno non lascia affatto immaginare l’aspetto interno, chi entra in questo piccolo tempio passa di sorpresa in sorpresa. Intanto la pianta è qualcosa di unico. Siamo in una rotonda? No, perché la curva della zona presbiterale, in cui si aprono tre piccole absidi, invece di continuare con andamento circolare improvvisamente si spezza, si frastaglia a zig zag, dando luogo ad una forma stellare interrotta dal portone, con quattro nicchie ricavate negli spigoli.

Altro elemento insolito è la combinazione, nello spazio centrale, di due anelli concentrici diversi tra loro: il più interno, formato da sei antiche colonne provenienti dal famoso tempio di Iside, è esagonale; il più esterno invece, con otto pilastri di pietra calcarea bianca, decagonale; collega colonne e pilastri una serie di archi che sostengono le volte degli ambulacri e il tiburio esagonale su cui si imposta la cupola centrale. Un’originalità architettonica dovuta al confluire di due tradizioni: la bizantina e la longobarda.

L’interno, immerso in una suggestiva penombra che favorisce il raccoglimento, presenta nude le pareti che dobbiamo immaginare un tempo sontuosamente affrescate a colori vivaci. Ne rimangono alcuni frammenti nelle due absidi laterali, relativi alle storie di Cristo e della Vergine. Questo ciclo pittorico, realizzato tra la fine dell’VIII secolo e gli inizi del IX da un ignoto artista di probabile formazione siro-palestinese, è tra le pochissime testimonianze di pittura longobarda e altomedievale conservatesi a Benevento.

Qui dentro la bellezza ti sovrasta, ti avvolge, senza che tu riesca ad averne una visione d’insieme. Moltiplichi le visuali, indaghi i particolari, e ancora ti sembra di inseguirla nel dinamico variare dei giochi prospettici prodotti da colonne, pilastri e archi. Come la Divina Sapienza, cui essa è intitolata: più la cerchi e più ti sorprende, più la gusti e più ti fa aprire sulle cose riguardanti Dio, facendoti contemplare col suo stesso sguardo le meraviglie del mondo creato.

 

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