La 25a ora

Si potrebbe discutere se “Spike Lee è tornato grande”, come recita lo slogan scelto per promuovere l’uscita de La 25ª ora sugli schermi italiani, o se grande lo è sempre stato. Ma, al di là delle infelici scelte pubblicitarie, La 25ª ora è un bel film che, anche se non può essere considerato il capolavoro del regista newyorchese, segna forse un passaggio importante della sua carriera di cineasta, una svolta verso la piena maturità artistica. Da questo punto di vista La 25ª ora sta a Spike Lee come Tutto su mia madre e La stanza del figlio stanno rispettivamente a Pedro Almodovar e Nanni Moretti. Perché, come hanno fatto i suoi due colleghi europei, anche Spike Lee abbandona le tematiche tipiche del suo cinema, incentrato sulle tensioni sociali e i conflitti razziali, per affrontare un terreno a lui nuovo e affrancarsi così da etichette e stereotipi che, a lungo andare, avrebbero potuto rappresentare una gabbia stilistica con scarse possibilità di crescita artistica. Così il regista di Fa’ la cosa giusta e di Summer of Sam sceglie di dirigere un cast composto quasi completamente da attori bianchi (una vera rivoluzione per lui) per raccontare le ultime ventiquattr’ore di libertà di uno spacciatore, Monty Brogan, arrestato dalla Dea e condannato a sette anni di prigione. Monty trascorre questi ultimi momenti da uomo libero in compagnia dei suoi due migliori amici e della ragazza, riflettendo sulla sua vita passata, recriminando per gli errori commessi, cercando di prepararsi ai sette anni di inferno che lo attendono. Monty non è un criminale nel senso compiuto del termine, ma una persona intelligente e brillante che non ha saputo resistere alla tentazione di accelerare il cammino verso il successo imboccando la scorciatoia dello spaccio di droga. Il suo sconcerto per la sorte che incombe è sincero, il suo pentimento autentico, ma sa che non c’è alternativa al carcere e che la sua vita è ormai segnata. La venticinquesima ora non esiste, è un sogno di una vita diversa e forse impossibile che riesce a cancellare il dolore della realtà solo nel breve tragitto che Monty percorre in macchina con il padre, un ex pompiere, verso il carcere. E la realtà è una New York ancora segnata dall’ 11 settembre (Spike Lee è il primo regista che affronta in un film il dramma delle Torri gemelle), dagli scandali finanziari (Enronn e Worldcom in testa) che hanno gettato sul lastrico milioni di risparmiatori, dalle mille etnie in perenne conflitto che ne rappresentano la forza e la debolezza. La 25ª ora diventa così una dichiarazione di amore e di odio per questa metropoli, e non a caso Spike Lee gira il film in tutti e cinque i quartieri della grande mela: Manhattan, Queens, Brooklyn, Staten Island e Bronx. New York come palcoscenico privilegiato per gettare uno sguardo intenso e inquieto su un mondo in cui la fortuna di pochi, siano essi spacciatori o manager di multinazionali, è costruita sulla desolazione di molti. E in questo contesto il passo verso la guerra preventiva appare tragicamente breve. Regia di Spike Lee; con Edward Norton, Philip Seymour Hoffman, Barry Pepper, Rosario Dawson, Anna Paquin, Brian Cox. Cristiano Casagni

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