Koen, c’è tuo padre

Koen, un ragazzo speciale. Poco dopo la nascita ha subìto una grave emorragia cerebrale che lo ha lasciato menomato. Ma non si sente handicappato. “Sei minorato – dice – se sei pigro, triste, aggressivo, oppure se sei molto ricco e non hai nulla per un altro”. Oggi racconta ai lettori l’incontro con i suoi genitori naturali. La mia vera mamma era molto giovane quando mi partorì. Aveva 15 anni. Non era in grado di prendersi cura di me. Così, quando ebbi sei anni (mia mamma ne aveva 21), ricevetti il cognome dei miei genitori adottivi, che sono diventati miei genitori a tutti gli effetti. Se ti prendi cura di un bambino, diventi sua mamma o suo papà; per questo anch’io li chiamo così. Sono molto riconoscente nei loro confronti. Non mi conoscevano, ma lo stesso mi hanno scelto e mi hanno riempito di cure. Papà diceva: “Siamo noi a doverti dire grazie, Koen. Abbiamo imparato tantissimo da te, e siamo felici che sei venuto ad abitare con noi. Sei un ottimo figlio”. E mamma mi disse un giorno: “Ringraziamo Dio che ti ha mandato qui da noi, e che ci ha dato la possibilità di prenderci cura di te”. Quando ebbi 14 anni, volli conoscere la mia mamma naturale. I miei genitori allora presero contatto con l’assistente sociale che li avrebbe aiutati a trovarla. Passarono molti mesi, finché nel 1994 finalmente la ritrovarono, e così ebbi la possibilità di vederla per la prima volta coscientemente. L’incontro avvenne nell’ufficio dell’assistente sociale. Guarda caso, abitava proprio vicino a casa nostra. La prima volta che ci vedemmo, ci guardammo a vicenda con sorpresa: ci assomigliavamo proprio tanto. Sia a me che a lei piace guardare i fulmini quando c’è il temporale. Tutti e due, invece, abbiamo paura quando scoppiano i fuochi d’artificio. Mia madre mi ha detto di aver pensato a me molto spesso nella sua vita. “È stato un momento benedetto “, mi disse l’assistente sociale al termine dell’incontro. Dopo mia madre, volli conoscere anche il mio padre naturale; sentivo un desiderio fortissimo di farlo. Abbiamo parlato a lungo di lui. Ma chi era? Dove abitava? Com’era fatto? Tutte queste domande mettevano in difficoltà mia madre, era evidente. Ma alla fine cedette: mi disse dove abitava e mi comunicò anche il suo nome. Mio padre ha sette anni più di mia madre. Trovammo il suo numero di telefono nell’elenco. Mia madre gli telefonò. Lui rimase molto sorpreso, dicendoci comunque che avrebbe preso contatto con noi. Ma non successe nulla. Sei mesi più tardi, mio papà (quello adottivo) gli scrisse una letterina. Questo fece sì che il giorno dopo lui stesso si trovasse alla porta di casa nostra. In quel momento stavo guardando la tivù con uno dei miei amici, che ad un tratto mi dice: “C’è un uomo alla porta. È già da un po’ che è lì e ogni tanto sbircia dentro”. Io non mi ero accorto di nulla. Finalmente suona il campanello. Mamma va ad aprire. Il mio padre naturale era molto arrabbiato per la lettera che papà gli aveva scritto. Mamma invece rimaneva calma e cordiale. “Vorresti vedere Koen?”, gli fece. E lui: “No, non ne voglio sapere di lui”. E si diresse verso la sua auto per andarsene. Mamma reagì spontaneamente gridandomi: “Koen, c’è tuo padre, sbrigati”. Gli corremmo dietro. Riuscii ad arrivare alla sua auto, e mamma mi stava accanto. Egli ingranò la marcia, ma poi all’improvviso spense il motore. In quel momento ebbi la sensazione che Dio mi fosse vicino. Mio padre scese dall’auto e mi diede la mano. Venne poi con me dentro casa per parlare un po’ con me, nella mia stanza. Parlammo per circa sette minuti: un colloquio molto tranquillo. Poi se ne andò. Ero molto contento di averlo visto e di avergli parlato per qualche istante. Sentivo di dover ringraziare Dio, per avermi fatto incontrare mio padre. Da quel momento mi sento davvero fortunato, anche se non mi aspetto di rivederlo. Adesso mi sento più sereno, perché adesso so quali sono le mie radici. Qui dove abito ora mi trovo a casa. E va tutto bene così com’è.

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