Johanne

600 anni fa nasceva Giovanna D’Arco, la pulzella d’Orleans, intramontabile esempio di fede 
La statua di Giovanna D'Arco ad Orleans

All’età in cui i nostri figli si preparano all’esame di maturità, la figlia di Jacques e Isabelle Darc, una ragazza da noi conosciuta come Giovanna D’Arco, si preparava a salire sul rogo. Aveva 19 anni. Condannata da un autorevole tribunale ecclesiastico, con l’accusa pesantissima di idolatra, invocatrice di diavoli, blasfema, eretica e scismatica, fu divorata dalle fiamme in una piazza di Rouen, con gente morbosamente assiepata a seguire il macabro spettacolo.
Sono stato a Rouen. Ho poggiato i piedi sul luogo dov’era stato mandato in cenere il giovane corpo di Giovanna, che un compagno d’armi aveva descritto «alta, bella e ben formata». Sono rimasto a lungo in silenzio nella chiesa che ora s’erge su quello spazio. Ho respirato l’aria, come a poter ancora inalare i fumi letali di quell’orrendo falò.
Eppure proprio quel rogo ha decretato la vittoria perenne della pulzella d’Orléans, indipendentemente dal fatto che il processo che nel 1431 la condannò a morte sia stato dichiarato nullo dopo soli 25 anni (nel 1456). E che quasi 500 anni dopo (nel 1920) ella sia stata proclamata santa e patrona di Francia.
 
La storia di Giovanna ha ispirato tanti film: ragazza di campagna ignorante e analfabeta (sapeva scrivere solo il proprio nome), si mise alla guida di soldati, liberò Orléans durante la disastrosa guerra centenaria fra Francia e Inghilterra, contribuì a salvare le sorti compromesse della Francia e a far incoronare re il Delfino, col nome di Carlo VII. Ma non tutto andò liscio come a volte, per brevità, si racconta. Giovanna all’inizio non fu ascoltata, le sue affermazioni d’essere inviata dall’arcangelo Michele a risollevare le sorti dell’esercito francese, suonavano a molti come sproloqui d’una ragazzina invasata. Dai militari fu rispedita a casa più volte, con un compiacente sorriso o una grossolana risata.
Ma lei non mollò. Non aveva nessuno dalla sua parte, se non Dio. Tornò alla carica. Intanto le sorti della guerra si mettevano male, così male che alla fine anche qualche gran capo militare cedette e acconsentì ad ascoltare quell’impavida pulzella. «Tanto, peggio di così» pensavano. Giovanna aveva 17 anni, dentro di sé l’esuberanza della vita e la travolgente passione d’amore che da tempo la legava, non ad un uomo, ma al creatore degli uomini. A 13 anni gli aveva infatti donato quello che aveva, tutta sé stessa, la sua verginità, «per tutto il tempo che a Dio fosse piaciuto».
Con quell’ardore dentro arrivò dal re. Ma anche qui non fu ascoltata. Sottoposta ad estenuanti esami sulla fede, si sottopose a tutto. Alla fine le concessero, senza posizioni ufficiali, di far parte della guerra. Lei ci cavalcò dentro, era quella la sua missione, dopo che i nemici avevano rifiutato una sua proposta di pace. Anche nella guerra portò la sua fulgida purezza: severa coi soldati, pretendeva disciplina, sobrietà, vita decorosa, coraggio. Loro, dopo un po’ di perplessità, cominciarono a destarsi dal torpore della rassegnazione alla sconfitta e ad entusiasmarsi per lei. Si formò in breve tempo un legame fortissimo fra la giovane, il popolo e i soldati. Sentivano che era una di loro, ma allo stesso tempo emanava una forza non comune, che veniva dall’alto.
 
La vita pubblica di Giovanna – fra campagne militari, prigionia e processo – durò poco, lo “spazio d’un mattino”, dicono in Francia. Se tante lezioni si possono trarre dalla sua breve vita, vorrei sottolinearne tre. La prima: la guerra. Giovanna sentiva che la sua fede la portava non a stare chiusa in sé stessa, ma all’azione politica, a sporcarsi le mani. Nonostante i sorprendenti successi bellici, nonostante il talento che scoprì in sé stessa per le azioni militari, ella s’accorse però con sconvolgimento che la guerra non era solo passione di salvare la patria, non era solo coraggio, ma “guerra”. Vide con orrore il troppo sangue versato, la brutalità alla quale s’abbandonavano i suoi stessi soldati dopo le vittorie. Ogni sera pregava per i morti d’entrambi gli schieramenti, piangeva di nascosto per la violenza che imperversava e che ella non riusciva a limitare. Quando vide un nemico inglese colpito in battaglia, scese da cavallo, lo tenne tra le braccia, lo consolò, lo aiutò a confessarsi e non lo abbandonò sino a che morì. Ma si rendeva conto che, nonostante quei suoi atteggiamenti, lei era in mezzo alla “guerra”.
 
Seconda lezione: il mistero della Chiesa. Benedetto XVI spiega: «Il processo [di Giovanna] è una pagina sconvolgente della storia della santità e anche una pagina illuminante sul mistero della Chiesa, che, secondo le parole del Concilio Vaticano II, è “allo stesso tempo santa e sempre bisognosa di purificazione”». I giudici di Giovanna, pur essendo valenti teologi, in quell’occasione furono privi della carità e dell’umiltà necessarie per «vedere in questa giovane l’azione di Dio». E per di più avevano accettato d’obbedire a logiche umane, dettate dal potere politico. Giovanna mai smise d’amare la Chiesa, anche mentre la stava condannando, perché era convinta fino al midollo che «è un tutt’uno Nostro Signore e la Chiesa».
 
Terza lezione: la fedeltà alla coscienza. Giovanna durante la prigionia e il processo poteva rinnegare le sue idee. Invece si mostrò ostinatamente cocciuta, andando così incontro alla morte. Ella, che amava immensamente la Chiesa, non cedette di fronte alle pressioni degli ecclesiasti. Non tradì la sua coscienza. Sapeva di aver ricevuto messaggi divini, non poteva rinnegarli. Era consapevole che la coscienza è lo spazio in cui Dio abita nella persona, il luogo intimo in cui si snocciola il colloquio con l’Eterno. Se l’avesse rinnegata, cosa le sarebbe rimasto? La miseria d’una vita senza anima, cosa a cui purtroppo molti si piegano. Lei non lo fece. La storia le diede poi ragione: venne la riabilitazione, fu addirittura proclamata santa e innalzata a patrona della sua terra. Ma mentre bruciava sul rogo, con addosso gli occhi dei suoi giudici e della sua gente, lei non lo sapeva ancora. Ma importava? Aveva dentro di sé la certezza della fedeltà a Dio, del suo amore a Gesù che, tra le fiamme del rogo, fissava crocefisso. Se in quell’occasione la Chiesa, com’era lì miseramente rappresentata, non era in sintonia con la verità, lei che ne poteva? Fedeltà, come quella di Giovanna, sono armi che piegano il mondo, che rovesciano i potenti, che scrivono la storia o che la fanno riscrivere.

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