Italia-Cina sui banchi di scuola

A Montebelluna, in provincia di Treviso, un doposcuola nel weekend per bambini cinesi

Chi tra di voi ha figli in età scolare, provi a proporre loro di andare a scuola anche il sabato e la domenica pomeriggio: nel migliore dei casi riceverà in risposta una sonora risata, nel peggiore proteste di vario tono. Eppure a Montebelluna, in provincia di Treviso, già da diversi anni funziona un “doposcuola” di sei ore settimanali (tre il sabato e tre la domenica) del tutto particolare: quello di storia, cultura e lingua cinese – mandarino per la precisione.

 

Tutto è nato dalla volontà di padre Francesco Pavin, missionario della Sacra Famiglia oggi quasi ottantenne, che ha alle spalle una lunga attività pastorale con la comunità cinese della zona. «Tutto è iniziato nel 1983 – ricorda – quando, parlando con alcuni amici cinesi, ho iniziato ad avvicinarmi alla loro comunità, e a conoscerne la cultura e la lingua, studiandola da autodidatta». Nel 1996 è arrivato dalla diocesi l’incarico ufficiale di curare la pastorale rivolta agli immigrati cinesi: «Allora erano pochi, 300 in tutta la diocesi contro gli oltre 8000 attuali. Sono andato di parrocchia in parrocchia, di casa in casa, anche insieme alle forze dell’ordine: alcuni erano clandestini, e senza alcun sostegno per potersi regolarizzare. Abbiamo fatto le prime feste insieme, tra cui il capodanno cinese; poi c’è stata apertura anche sotto il profilo religioso, sia per quanto riguarda i cinesi cristiani che quelli di altre fedi o senza convinzioni religiose». Padre Francesco assicura di aver sempre trovato una grande apertura, sia per quanto riguarda chi ha accolto l’annuncio evangelico – nel 2000 c’è stata la prima messa in mandarino, e nel 2002 i primi battesimi – sia per quanto riguarda chi ha dimostrato un atteggiamento di dialogo e scambio pur senza abbracciare la fede cristiana; cosa che definisce «la più grande soddisfazione che ho avuto in questi anni, perché mai avrei pensato di sentirmi accolto così bene da una comunità tradizionalmente chiusa come quella cinese. Anzi, molti di loro danno il buon esempio, anche come cristiani».

 

Nel 2005 la comunità, dato il numero ormai consistente di bambini nati in Italia, ha espresso l’esigenza di avere una scuola di cinese in provincia; desiderio condiviso da padre Francesco e dalla diocesi, che si sono attivati – grazie anche ad una donazione del vescovo – per far partire due classi, livello base e livello più avanzato. «Le famiglie non navigavano certo nell’oro – racconta il sacerdote – e così per il primo anno siamo andati avanti grazie al sostegno economico della diocesi, andando anche a prendere i bambini con un pulmino perché venissero a lezione». Ora le classi sono otto – dalla prima alla quinta – per quasi duecento bambini in totale, che arrivano da tutto il circondario. Le lezioni si tengono, come dicevamo, ogni sabato e domenica per tutto il periodo scolastico; e a gestire l’insegnamento è l’associazione Italia-Cina, con insegnanti di madrelingua e con ottimi risultati, tanto che nel 2014 è arrivato il riconoscimento dalla Repubblica Popolare Cinese come uno dei migliori istituti all’estero. La retta è di 300 euro a semestre, ma i genitori, assicura don Pavin, ci tengono molto; così come ci tengono i ragazzi, che si sobbarcano con pazienza e tenacia sette giorni di scuola a settimana. La frequenza è aperta anche agli italiani, e negli anni qualche bimbo “indigeno” tra i banchi s’è anche visto; ma gli orari sono tali da scoraggiare – comprensibilmente, si dirà – i piccoli montebellunesi e le loro famiglie.

 

Anche per questo, secondo padre Francesco, la scuola non ha – almeno per ora – espresso tutte le sue potenzialità nel favorire la reciproca conoscenza: «Purtroppo quello italiano e quello cinese sono due mondi che ancora comunicano poco – osserva –. Noi della Cina non sappiamo nulla, tanto che sento la gente rivolgere ai cinesi sempre le stesse domande; ma anche i cinesi, culturalmente parlando, hanno alle spalle millenni in cui sono vissuti in una sorta di splendido isolamento, e che fanno sì che anche oggi difficilmente un orientale faccia il primo passo nel fare conoscenza. Certo le cose stanno cambiando; ma abbiamo qui una splendida opportunità e neanche lo sappiamo, e ciascuno di noi è chiamato a fare il primo passo per coglierla».

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