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Israele e la contesa dell’acqua

di Bruno Cantamessa

Bruno Cantamessa Autore Citta Nuova

C’è una grande sete d’acqua in Giordania e in tutta la regione. Anche il fiume Giordano è ormai quasi scomparso, risucchiato dall’accaparramento dell’acqua. L’accordo della Giordania con il gruppo francese Merdiam prevede la costruzione di un mega-impianto di desalinizzazione sul Mar Rosso (Aqaba). Ma è solo una “goccia” rispetto alle dimensioni del problema.

Israele acqua diga
Persone che si rinfrescano nell’acqua di una diga che collega il lago del Mar di Galilea e il fiume Giordano, nel nord di Israele. Ansa, EPA/ABIR SULTAN

Il fiume Giordano è quasi scomparso: il flusso d’acqua che segna il confine orientale di Israele, e in particolare tra la Cisgiordania palestinese, occupata da Israele nel 1967, con il regno di Giordania, si è ridotto alla fine del 2024 a meno del 10% del suo volume storico. Le dimensioni che l’alveo del Giordano poteva avere al tempo del Battesimo di Gesù sono percepibili ad occhio nudo visitando l’affascinante sito archeologico, patrimonio Unesco, di Al-Maghtas (nel Vangelo: Betania oltre il Giordano). Ho visitato il sito per la prima volta qualche anno fa e già allora mi colpì il rigagnolo fangoso che, almeno nel mio immaginario, era stato il fiume cristallino dell’immersione e della purificazione battesimale, il fiume del Battista dove era iniziata la rivelazione del Messia. Dal 1967, inoltre, il rigagnolo, che scorre ad una certa distanza da al Maghtas non evoca certo sentimenti spirituali o pacifici, controllato com’è su entrambe le sponde da torrette irte di mitragliatrici.

Il problema del Giordano è evidentemente la mancanza d’acqua. Quell’acqua che un tempo proveniva naturalmente dal lago di Genezareth e ancora più a monte dalle sorgenti dell’Hermon, la montagna che segna il confine fra Libano e Siria. Il prelievo d’acqua dal Monte Hermon e dallo stesso lago di Genezareth è la principale causa, insieme ai cambiamenti climatici, della quasi estinzione del fiume e del sempre più rapido prosciugamento del Mar Morto, di cui il Giordano è l’unico immissario.

Ma il problema della carenza d’acqua nella regione è noto da tempo, e non è certamente limitato al Giordano. Già il fondatore del sionismo, Theodor Herzl (1860-1904), aspirava ad includere il Libano meridionale nel futuro Stato ebraico, proprio a causa dell’acqua del fiume Litani. Va sempre tenuto presente che tra i paesi del mondo più colpiti dalla carenza idrica ci sono Qatar, Israele e Libano, seguiti dalla Giordania.

Non sorprende quindi che con la guerra scatenata dopo l’attacco di Hamas (7 ottobre 2023), gli israeliani si siano assicurati un ampio controllo delle principali (pur se insufficienti) risorse idriche da cui dipendono Libano, Siria meridionale, Cisgiordania, Giordania e Israele stesso. Dopo l’avanzata israeliana dal Golan verso Damasco, attraverso la diga di Al-Wehda, il bacino dello Yarmouk, e la diga di Al-Mantara presso Quneitra, Israele controlla qualcosa come il 40% delle risorse idriche condivise da Siria e Giordania.

Negli ultimi 20 anni Israele ha fatto molti e notevoli passi avanti per aumentare la produzione di acqua potabile tramite desalinizazione, e i prelievi di acqua dolce destinati all’agricoltura sono scesi dal 64 al 35% dei prelievi idrici totali grazie ad un grande incremento del recupero delle acque reflue utilizzate proprio per l’irrigazione.

Per alimentare però i consumi crescenti di grandi città come Tel Aviv e Gerusalemme, e per fornire acqua alle colonie (vecchie e nuove) stabilite da Israele in Cisgiordania, l’accaparramento e il controllo delle risorse idriche del confine siro-libanese è ritenuto indispensabile. Essendo però la coperta molto corta, incrementare il prelievo per Israele significa diminuire quello a disposizione dei vicini. Un indicatore di questo è il fatto che la quantità d’acqua per il consumo idrico pro capite in Israele si aggira sui 60 metri cubi l’anno, mentre nei territori palestinesi della Cisgiordania la disponibilità non arriva a 20 metri cubi (in Italia la media è di 155 metri cubi).

La storica e grave carenza idrica della Giordania si era fra l’altro acutizzata con le rivolte siriane contro il regime di Bashar al Assad (a partire dal 2011) proprio a causa dell’enorme afflusso di profughi e rifugiati (1,3 milioni) in fuga dalla guerra: un esempio per tutti il campo profughi di Za’atari, 10 km ad est di Mafraq, in Giordania, dove ancora oggi vivono almeno 80 mila siriani (ma sono arrivati a 120 mila), metà dei quali bambini, e dove almeno il 30% dei prefabbricati non riceve acqua o ne riceve pochissima. Comunque, secondo fonti governative giordane, la disponibilità idrica pro capite in Giordania è attualmente inferiore a 97 metri cubi l’anno. Ma, attenzione, bisogna estrarre da quella cifra l’acqua necessaria per l’agricoltura.

C’è dunque una grande sete d’acqua in Giordania. Ma in un paese dove il 60% della popolazione è di origine palestinese (figli, nipoti e pronipoti dei profughi fuggiti dalla Palestina dopo la Nakba del 1948 e la Naksa del 1967), il progetto del 2021 di accordi con Israele per ottenere più acqua, anche desalinizzata, fornire energia solare prodotta nel deserto giordano, e collegare il Mar Rosso con il Mar Morto, è stato bloccato dai giordani sotto il peso dell’indignazione per la repressiva politica anti-palestinese, il rifiuto di stabilire uno Stato palestinese e la politica coloniale in Cisgiordania.

Si è così avviato un nuovo progetto, formalizzato di recente. L’accordo con il gruppo francese Merdiam (costo 5 miliardi di dollari, realizzazione in 4 anni) prevede la costruzione di un mega-impianto di desalinizzazione sul Mar Rosso (Aqaba) in grado di fornire 300 milioni di metri cubi di acqua potabile l’anno, una conduttura di 450 chilometri per il trasporto dell’acqua a nord e installazioni per la produzione di energia rinnovabile in grado di alimentare il sistema.

L’acqua potabile così ottenuta dovrebbe raggiungere più di tre milioni di giordani, aumentando di quasi il 60% l’approvvigionamento idrico domestico annuale disponibile. Per il ritorno dell’acqua nel Giordano, però, non si vedono prospettive. E il vero problema, quello del riscaldamento globale, dei cambiamenti climatici e della scarsità di precipitazioni continua ad essere ignorato o ritenuto fuori portata. Entro una trentina d’anni, dicono gli esperti, la regione inizierà a diventare sempre più invivibile: dove andranno i migranti in fuga dalla siccità è un problema che per adesso sembra molto lontano.

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