In uno specchio. Ricordi di un’isola

UN UOMO Un uomo di notte conduce la barca verso un punto esatto del mare. La sua rotta è il risultato di un’attenta e sapiente osservazione del mondo. Ha imparato da suo padre e da altri pescatori più anziani di lui. All’inizio li imitava semplicemente nello scegliere il punto in cui gettare le reti. Col tempo, poi, aveva imparato a mettere insieme le numerose notizie che il mare in parte rileva e in parte nasconde, sviluppando così un suo criterio, basato, tra l’altro, su segrete convinzioni che nascono nel profondo dell’anima. Questa sera, prima di uscire, ha guardato a lungo il mare. Ha visto le onde allungarsi a riva, segno che avrebbe trovato un po’ di mare grosso.Ma la luna ha avuto parole buone per lui. Non ci sono dubbi, i pesci sono lì e lui li troverà, a costo di spezzarsi la schiena li troverà. Invece niente. Ha già buttato le reti due volte ed ha raccolto solo una cassetta di calamari e qualche busta di pesci di poco valore. L’esperienza gli insegna che, se una serata è cominciata male, finirà male.Ma lui ha deciso che andrà fino in fondo, con ostinata perseveranza, ben sapendo che anche quest’ultimo tentativo è predestinato all’insuccesso. Ormai già pensa al ritorno. È triste tornare con le mani vuote, proprio lui che la settimana prima era stato la meglio barca dell’isola. Ma in mare la sorte è mutevole ed ogni gloria momentanea. È quasi l’alba, pallida e incerta, una brezza leggera porta speranze di terra. UNA DONNA Una donna affacciata al balcone guarda il mare e aspetta. È l’alba e lei aspetta il suo uomo, l’uomo che ama e venti anni fa ha sposato non sapendo che in quel giorno avrebbe sposato anche il mare, che lei non ha mai amato.Tra poco tornerà, pensa, se il mare vorrà restituirmelo tornerà anche questa volta. Poi si rivolge al mare e dice: cosa te ne devi fare tu di un uomo? Niente. Per me è tutto, quindi lascialo tornare. Ridammelo. Quest’ultimo è un imperativo, detto con dolcezza ma è comunque un ordine. Perché quella donna ha imparato a parlare con il mare, nelle notti solitarie di sonno frammentato, guardando da dietro i vetri quelle piccole luci per cercare di distinguere la sua; una distinzione impossibile per l’occhio comune ma non per lei che ha imparato a decifrare quel firmamento parallelo, dove una luce si può spegnere all’improvviso, come una stella cadere e non riaccendersi più, ma questo non deve mai accadere, non a lei. Ed ha imparato ad ascoltare il mare, la ripetizione del suo canto famigliare che tutte le sere ritorna con ostinazione, quasi per volerla convincere che non c’è crudeltà e non è poi così terribile distrarsi in quel motivo, dolcemente abbassare ogni difesa e finalmente arrendersi, lasciare che il mare estenda i suoi illimitati domini fin dentro gli occhi e se è possibile nel cuore, sentire l’immensità che lentamente ti invade, mentre tu ti liberi di tutto e non ci sono più paure, né speranze, nessun pensiero, nessun ragionevole pensiero oltre un infinito e muto orizzonte. E quando lui tornerà con il volto sporco di sale, la schiena piegata, le mani vuote, e senza dire una parola si butterà sul letto, lei ringrazierà il Signore, questo farà.

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