Il pianeta che scotta

A Cancun in Messico la prossima (inutile?) maratona sul cambiamento climatico. Capire il dibattito.
Mappa temperature pianeta

Ci risiamo! Giusto ad un anno di distanza dalla conferenza mondiale di Copenhagen, che non ha prodotto molti risultati concreti sul fronte della riduzione delle emissioni dei gas serra, l’argomento torna di moda con l’approssimarsi della prossima conferenza Onu, la sedicesima, che si terrà a Cancun, in Messico, dal 29 novembre al 10 dicembre prossimi.

L’obiettivo principale del vertice è quello di trovare un’intesa su un documento ufficiale che sostituisca il protocollo di Kyoto, in scadenza nel 2012. Ma prudenza o pessimismo sono giustificabili: i temi del cambiamento climatico e delle modalità per contrastarlo sono ancora oggi controversi. Va ricordato che Paesi come Stati Uniti e Cina hanno cominciato a muoversi verso la riduzione dei gas serra solo in occasione dell’ultimo vertice, a Copenhagen, mentre nella stessa Unione europea, che ha proposto un ambizioso piano di riduzione dei gas serra, alcuni Stati membri osteggiano con forza tale piano e la revisione al rialzo degli obiettivi per il 2020.

 

Nonostante tutto, i lavori della conferenza di Cancun potrebbero portare a decisioni concrete sui punti chiave del nuovo trattato, come tagli alla CO2, sostegno finanziario ai Paesi poveri, trasferimenti di tecnologia e misure per preservare le foreste. Una tale “architettura di funzionamento” potrebbe ridare speranza, fornendo strumenti concreti per combattere il riscaldamento climatico. Molto dipenderà dalla reale volontà dei Paesi di affrontare in modo serio e concreto le sfide ormai note. Il problema è che in tempo di crisi non ci sono soldi a disposizione per le costose (e socialmente controverse) riconversioni necessarie per ridurre le emissioni di CO2, e nessun politico ha interesse a perdere le prossime elezioni. Cambiare modo di produrre e consumare non è facile: negli Stati Uniti, nonostante le promesse della campagna elettorale, in questi due anni Obama non è ancora riuscito a far passare in Parlamento neanche una piccola legge sul clima.

 

Ma, mentre governanti e scienziati discutono, noi che facciamo? Il clima sta cambiando, o meglio evolvendo, e gli effetti li osserviamo direttamente nei luoghi dove viviamo o attraverso le immagini che ci arrivano da tutto il mondo. Uno dei punti ancora aperti è comprendere quanto le attività dell’uomo incidano su questa evoluzione. Nel dubbio, con il buon senso del padre di famiglia, occorre sicuramente modificare il nostro comportamento adottando stili di vita più rispettosi dell’ambiente, riducendo anzitutto il nostro livello di sprechi.

Da qui parte la nostra “evoluzione culturale”, urgente e necessaria per stare al passo con il processo evolutivo del clima e di tutta la vita sul pianeta. Come uomini, infatti, siamo chiamati non tanto ad accettare passivamente gli effetti dei disastri che provochiamo, ma a dare forma al nostro ambiente in modo che diventi sempre più una “casa” accogliente per tutti. Anche perché non ne abbiamo a disposizione un’altra.

 

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Un libro per capire

 

Due domande agli autori del libro Il pianeta che scotta pubblicato recentemente da Città Nuova. Luca Fiorani, ricercatore all’Enea, dove si dedica a misure laser di inquinamento atmosferico, è coordinatore dell’iniziativa interdisciplinare EcoOne. Antonello Pasini, ricercatore del Cnr esperto di modellistica climatica, sistemi complessi ed intelligenza artificiale, è autore di libri e articoli, oltre a tenere un blog: Il Kyoto fisso.

 

Perché un nuovo libro sul clima?

«L’uomo della strada è disorientato di fronte al problema dei cambiamenti climatici. I mezzi di comunicazione lo bersagliano con titoli ad effetto che vanno da: “In realtà non sta succedendo niente” a: “La fine del mondo è vicina”. Vorremmo invece introdurre anche il lettore non particolarmente competente alla comprensione delle complesse relazioni che legano i vari elementi del “sistema Terra”. Allo stesso tempo, vogliamo dare un’idea del modo di agire della scienza, dei suoi limiti e dei suoi successi».

 

Perché la polemica mediatica?

«Dietro ci sono interessi economici enormi e uno scontro di visioni del mondo. Nello sviluppo delle società occidentali, ad esempio, si è sempre considerata la natura come qualcosa di inerte e plasmabile a piacere dal volere dell’uomo. Ora la scienza scopre invece che madre natura evolve dinamicamente insieme a noi e dunque non possiamo considerarci padroni assoluti, bensì custodi amorevoli e coscienza critica del creato».

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