Sfoglia la rivista

Italia > Società

Il Patto di comunità di Pisa

di Cristina Sagliocco

- Fonte: Città Nuova

Quando la fraternità si fa metodo, e la solidarietà si organizza, allora la comunità diventa davvero casa per tutti. Un percorso concreto ispirato al Vangelo e alla Costituzione, iniziato per dare accoglienza integrata ad alcune  famiglie ucraine , diventato un modello da seguire e inserito nel progetto europeo “Open Business for Community Development”

Patto di comunità Pisa Foto pdc Pisa

Tutto è iniziato da una domanda semplice, nata in una comunità di fede nei giorni più bui di una nuova guerra in Europa: «Come possiamo aiutare davvero?».

Era febbraio 2022, l’invasione dell’Ucraina aveva appena avuto inizio, e l’Unità pastorale di San Martino e San Marco alle Cappelle a Pisa non è rimasta a guardare.

È così che ha preso forma il primo gesto concreto di quello che oggi è il Patto di Comunità: la ristrutturazione di un vecchio appartamento nella canonica di San Marco, per accogliere tre famiglie ucraine in fuga dal conflitto.

Non solo un tetto, ma un vero progetto di accoglienza integrata, nato dall’impegno del parroco, dei fedeli, di qualche associazione e dei primi volontari. Un’ospitalità pensata come percorso: corsi di lingua italiana, supporto all’inserimento lavorativo, accesso alla scuola e alla sanità per i bambini.

Un’esperienza che ha segnato l’inizio di un nuovo modo di “fare comunità”, trasformando la solidarietà in struttura e il Vangelo in pratica quotidiana.

Due anni dopo: una rete che cresce

Da quell’inizio è nata una vera alleanza cittadina, cresciuta nel tempo fino a coinvolgere 12 realtà del Terzo Settore, cooperative, associazioni e oltre 40 volontari.

Così è nato il Patto di Comunità, sostenuto in modo decisivo dalla stessa Unità Pastorale e da Fondazione Pisa e ancora oggi ispirato dallo stesso spirito che oltre al Vangelo si rifà alla Costituzione.

Il 30 maggio 2025, nello spazio dello Sportello sociale Dignitatem in via Cattaneo 145, si è tenuto un incontro aperto alla cittadinanza per raccontare pubblicamente due anni di cammino.

oplus_137363488

Non una celebrazione, ma un gesto di restituzione: mostrare cosa è stato fatto, condividere risultati e difficoltà, guardare avanti insieme. I frutti concreti di questo lavoro sono visibili in due luoghi-simbolo. Lo stesso sportello sociale Dignitatem, cuore operativo del Patto che offre ascolto e orientamento gratuito, grazie all’impegno di volontari professionisti – medici, giuristi, insegnanti, psicologi, consulenti del lavoro – che mettono le proprie competenze al servizio degli altri. È nato inoltre nei dintorni, in via Cattaneo 24,il  laboratorio di tessitura Tessere Fraternità, uno spazio di artigianato inclusivo, dove ogni giorno una maestra tessitrice insegna gratuitamente l’antica arte della tessitura su telai a mano a persone migranti e in situazione di vulnerabilità.

Si tratta di un mestiere prezioso, sempre più raro, che può aprire reali prospettive lavorative: il distretto della moda toscano, in particolare il settore del lusso, è infatti alla continua ricerca di artigiani qualificati. Il laboratorio diventa così non solo uno strumento di inserimento sociale, ma anche un ponte concreto verso il mondo del lavoro, valorizzando le capacità individuali e tramandando una tradizione che rischia di perdersi.

L’esperienza pisana ha iniziato a suscitare interesse anche fuori città: il Patto di Comunità è stato selezionato all’interno del progetto europeo “Open Business for Community Development (OBCD)” come esempio virtuoso di rigenerazione urbana e coesione sociale.

Un riconoscimento che evidenzia la solidità del modello e la sua capacità di rispondere a bisogni complessi, con un approccio concreto, condiviso e replicabile.

Non è solo un progetto locale, ma un possibile riferimento per tante altre realtà in cerca di strumenti per costruire comunità.

oplus_137363488

Lo abbiamo chiesto al coordinatore del Patto, Stefano Biondi, secondo il quale «lo sportello Sociale si è dimostrato una sorta di cartina di tornasole del disagio del territorio in cui opera, ovvero quello della zona stazione che è forse una delle aree più in difficoltà di tutta la città di Pisa. Non abbiamo mai avuto bisogno di fare promozione – racconta – la gente è arrivata da sola. Questo dice molto del bisogno che c’è là fuori: ascolto, orientamento, sostegno concreto. Quindi sì certamente una cartina di tornasole del disagio, ma anche del desiderio di riscatto di tante persone».

Biondi insiste su ciò che fa davvero la differenza: «La rete. Non è una parola vuota: è un sistema vivo in cui ognuno mette in gioco quello che sa fare. Professionisti con esperienze importanti che scelgono di offrire gratuitamente il proprio sapere. Questo dà forza, concretezza e affidabilità a tutto quello che facciamo». Poi aggiunge: «Anche il digitale è diventato parte della fragilità: per questo abbiamo avviato uno sportello digitale con due giovani che aiutano persone – italiane e straniere – a sbrigare pratiche online. È un servizio della Regione Toscana che da noi ha trovato casa. Funziona perché è vicino alle persone, ed è accessibile».

Infine, un riconoscimento a chi ha reso possibile tutto questo, continua Stefano Biondi: «Don Enrico Giovacchini ha creduto nel progetto fin dall’inizio, mettendo strutture, risorse e tanta passione. L’Unità Pastorale ha fatto da traino, la Fondazione Pisa ci ha dato il sostegno necessario per costruire. Ma la cosa più bella è che non ci siamo fermati lì.

oplus_3145728

Continuiamo ogni giorno a costruire insieme, a partire dai bisogni reali, senza dimenticare mai il nostro punto di partenza: dare un segno di speranza, ma soprattutto di Vangelo vissuto e di rispetto dei diritti fondanti della nostra Costituzione. Questo riferimento ai principi costituzionali, accanto a quello evangelico, è ciò che ha permesso al Patto di Comunità di coinvolgere anche tantissimi volontari che non si riconoscono nella fede cattolica, ma che condividono il desiderio profondo di essere utili, di dare una mano, di costruire qualcosa che serva agli altri. Persone accomunate non tanto da un’appartenenza, quanto da un senso civico concreto e operoso. Ed è proprio questo doppio fondamento – Vangelo e Costituzione – che rende il Patto uno spazio davvero inclusivo, accogliente, trasversale, capace di unire le differenze intorno a un bene più grande: la dignità della persona».

L’incontro del 30 maggio ha confermato che il Patto di Comunità non è un progetto da inaugurare, ma un processo che continua a camminare. Una realtà viva, che ogni giorno costruisce inclusione, coesione e dignità, a partire dalle fragilità. Decine di persone hanno partecipato, hanno voluto conoscere la strada percorsa fino ad oggi: perché, quando la fraternità si fa metodo, e la solidarietà si organizza, allora la comunità diventa davvero casa per tutti.

Riproduzione riservata ©

Sostieni l’informazione libera di Città Nuova! Come?
Scopri le nostre riviste,
i corsi di formazione agile e
i nostri progetti.
Insieme possiamo fare la differenza! Per informazioni:
rete@cittanuova.it

Condividi

Ricevi le ultime notizie sul tuo WhatsApp. Scrivi al 342 6266594