Il mondo che verrà

La hall che ospita il Vertice mondiale sulla società dell’informazione (Wsis 2005, al Kram di Tunisi) è un immenso capannone brulicante di quella fauna umana che si riconosce in un mondo denominato Ict (Information Communication Technology). Negli stand c’è chi propone lo sviluppo del Burkina Faso attraverso un’iniezione massiccia di Ict, chi si concentra sul movimento ecologico che si sviluppa in Internet, e non mancano coloro che parlano del radicale cambiamento del giornalismo (in grave crisi) causato dalla piattaforma tecnologica in espansione. E poi c’è chi cerca di difendere le lingue minori grazie al web (altro modo di definire Internet, la Rete), chi invece protegge i bambini dai pedofili online e chi professa il pensiero tutto-tecnologia. Per non parlare dei padiglioni privati, che propagandano ogni tipo di prodotti. Un universo in ebollizione. Nessun monopolio Nella cinquantina di aule di convegno, istituzioni nazionali e internazionali, Organizzazioni non governative (Ong) e aziende private presentano prodotti e strategie con profusione di grafici e proiezioni, cercando di convincere i presenti della bontà del proprio operare, prima ancora della convenienza del proprio affare. Una convinzione sembra infatti regolare l’insieme: nessuno ha il monopolio di nulla. Come su Internet, siamo in democrazia partecipativa: non vince chi partorisce l’idea più geniale o chi vanta il supporto del miglior gruppo di finanziatori, ma chi meglio sa transitare per i gangli vitali della Rete e convincere quella inafferrabile entità che è il web. Astratta entità, forse, ma concreta democrazia. Un esempio: l’Mit (Massachusset Institut of Technology) presenta al vertice un computer da 100 dollari, quasi un giocattolino (dalla carrozzeria di plastica gialla e verde), che usa programmi gratuiti (il mitico Linux, quello del pinguino), che ha una manovella per ricaricare le batterie (si può così usare anche in zone rurali sprovviste di energia elettrica), e che può collegarsi via satellite con la Rete. Al di là delle critiche, la gente ci crede, e sosterrà il progetto che in pochi anni potrebbe rivoluzionare il mercato informatico. La Rete per questa gente non è solo qualcosa di virtuale, di esclusivamente tecnologico, ma anche l’esempio di un modo di essere al mondo , come direbbe Heidegger, una filosofia sistemica di vita. Le tre regole della community Gli spazi per il Wsis erano stati previsti dalle autorità per 12 mila persone, mentre ne arrivano più del doppio. L’organizzazione alla tunisina, gentile e avvolgente, aggiunge un po’ di allegra confusione nella hall del Kram, tra orari non rispettati ed ettolitri di caffè. Nel gran calderone il ministro è come il giornalista, la segretaria dell’Ong come l’affarista. Nessuno ha più diritti di un altro. In fondo le tre rivendicazioni della rivoluzione francese appaiono qui più che un auspicio una realtà: la libertà è un assioma per la gente che popola la hall (guai a mettere le mani su Internet); l’uguaglianza è palpabile, come nel web, tutti uguali (il sito della Casa Bianca ha lo stesso peso potenziale di quello privato di mio fratello); ma anche la fraternità, benedetta fraternità, qui non è assente, non solo e non tanto perché illustri oratori l’invocano (dal presidente tu- nisino al premier della Mongolia), ma soprattutto perché la gente si sente realmente membro di una stessa comunità. C’è voglia di crescere nella libertà, nell’uguaglianza e nella fraternità: voglia che passa ormai per la comunicazione, interpersonale e mediatica insieme, non solo concentrata sul web. Ma un paradosso è emerso al Wsis 2005: chi comunica di più e meglio sono i paesi che hanno meno mezzi tecnologici; serve infatti la voglia di comunicare e il contenuto, oltre alla tecnica. L’occidente non difetta di questa, mentre voglia e contenuti spesso latitano. Per comunicare sul serio serve un’adesione all’etimologia della parola stessa comunicazione: mettere in comune, fare comunità, creare comunione. Termini che in altre epoche e altri luoghi avrebbero fatto rizzare i capelli a tanti, per la loro chiara associazione al messaggio evangelico (ma anche altre religioni usano lo stesso linguaggio). Ebbene, parole come community e communion sono sulla bocca di tutti in questo mondo dell’Ict. Connect the world, connettere tutto il mondo, era scritto ovunque. La comunicazione è sempre stata un bisogno dell’uomo. Crediamo che sia anche un diritto umano, suggeriva una pubblicità dell’Itu (International Telecommunication Union), l’agenzia Onu per le telecomunicazioni, artefice di Tunisi 2005. Mi diceva il direttore generale dell’Isesco, una sorta di Unesco dei paesi arabi e musulmani, il dott. Altwaijri, marocchino: Le nostre attività sono finalizzate alla crescita della comunità internazionale e della fraternità tra i popoli. E ciò passa attraverso la creazione di piccole comunità locali che abbiano la coscienza di lavorare insieme, per assicurare una Rete libera e fraterna. Da non credere. E che dire della presenza africana, naturalmente comunitaria? Spesso, in stand ipertecnologizzati, li si vedeva sedere per terra, tra cavi, prese e depliant, e fare comunità, o mettersi in comunione (tra l’altro con una sorprendente competenza tecnica). Virtualità e realtà Altro problema per il mondo dell’Ict, è l’accusa ad esso rivolta da tanti moralisti: si starebbe creando un mondo virtuale che nulla ha più a che fare con la realtà. Televisione, videogiochi, relazioni virtuali via Internet… Ma l’Ict è oltre questi mezzi. Vive più nella virtualità una casalinga che si propina dosi massicce di telenovela che l’informatico che sta tutto il giorno sul suo computer. Tutti i partecipanti al Wsis, in un modo o nell’altro, sono curiosi di qualcosa: della comunicazione e dei suoi strumenti, ovviamente, ma non solo; della relazione, che sia informatica o radiofonica, o interpersonale. Importante è che sia reale. Mai come in questo vertice, dove sembra regnare la virtualità, il vero trionfo è riservato alla realtà. Quella quotidiana, della solidarietà e dell’ecologia, dei diritti umani e dell’interdipendenza. Non per niente si parla ad ogni pié sospinto di sviluppo, di tecnologia che indurrebbe una crescita inusitata dei paesi poveri (sempre che ci sia comunione di tecnologia tra ricchi e meno ricchi), di collegamenti satellitari che permetterebbero a tali paesi di accedere al mondo dell’Ict senza quegli investimenti spaventosi che i paesi occidentali hanno sopportato per le reti tradizionali. Assisto ad un forum intitolato Internet of things, Internet delle cose, che affronta le prospettive degli strumenti usati per connettersi. Fantascienza e nello stesso tempo attenzione alla realtà, con una forte tendenza a risolvere i veri problemi della gente, e non le strane virtualità di qualche sognatore. Privati e Ong, istituzioni e ricercatori convengono sulla necessità di miniaturizzare e integrare le cose di Internet, ma nel contempo di umanizzarle e renderle strumenti al servizio della community . Una esigenza di realtà che le cerimonie inaugurale e finale, i soliti discorsi ufficiali, non ha potuto nascondere. Anche le parole di Ben Ali, presidente algerino, o del segretario dell’Onu Kofi Annan, o del segretario generale dell’Itu, Yoshio Utsumi. Giustizia Ma quale realtà? Al vertice si discute sull’avvenire della Rete, sul suo controllo e sul suo finanziamento, oltre che sulla eliminazione del digital divide, cioè della ingiusta distribuzione delle risorse informatiche e tecnologiche tra paesi ricchi e poveri. Ma si scopre che tale differenziale non è proprio solo a tali paesi, ma è presente anche in quelli più industrializzati, come la nostra Italia, che conosce almeno 14 province poco cablate. Se ne discute animatamente, ovunque, ma seguendo una logica che lascia all’inizio perplessi: nulla o poco dei fronti contrapposti dei nostri politici, nulla o poco delle invettive gratuite che oscurano i problemi. Finché non si intuisce che si è nella logica della e e non della o. Non la e del compromesso diplomatico, ma quella della community voluta e sperata. Non è una logica cartesiana quella della Rete, ma una spirale in crescita costante, in cui ogni contributo diventa base per il successivo, che lo ingloba e lo supera, senza annullarlo, però. Non è come un muro, in cui i primi mattoni sorreggono gli altri sempre identici a sé stessi. Qui i mattoni di base si confondono con quelli suc- cessivi, dando vita a qualcosa di diverso e nuovo, in cui è impossibile capire chi ha fatto cosa, ha dato cosa. Tra fratelli si dà e non si conta. Anche al Wsis. Lo stesso documento finale, che taluni hanno sbrigativamente qualificato di vittoria americana, è stato il frutto di questa logica: se la protezione tecnica della Rete resta in mano all’Icann, la gestione politica di Internet passa per un periodo di cinque anni di prova sotto il controllo di un forum di paesi che assicureranno la sua indipendenza e la sua aderenza ai dettami dei diritti dell’uomo. E il problema della distribuzione degli indirizzi Internet sarà più condiviso (cf. www.itu.int/wsis). È questo un frutto, pur con luci e ombre, di un’altra qualità del popolo della Rete: la gratuità. Perché tanta gente è sensibile al problema della libera disponibilità dei programmi informatici? Perché un sistema operativo come Linux, e le sue applicazioni, vengono potenziati gratuitamente da informatici del mondo intero? Esclusivo e inclusivo Qualcuno dice che un nuovo mondo è nato. Non esageriamo. Problemi aperti ne restano: il rischio di un inghiottimento delle buone intenzioni da parte del business, la ancora scarsa base teorica di un modo di pensare ed operare innovativo, il rischio del relativismo etico e teorico, la non ancora sufficiente analisi dell’influenza della tecnologia sulla psiche dell’uomo… Tuttavia mi sembra che in qualche modo stia venendo alla luce una logica basata sulla relazione. Non a caso l’aggettivo principe in questo summit è risultato inclusive, che, pur essendo un barbarismo per i puristi della lingua, dovremo abituarci ad usare anche in italiano. È un aggettivo che propone una direzione ad una società che vuol superare la logica del potere per il potere e la filosofia del tutto-tecnologia. Si include, non si esclude. Come un’impressione di futuro. PIÙ LIBERTÀ PIÙ RISPETTO Il giudizio di Dominique Wolton, francese, uno dei massimi massmediologi al mondo, su Tunisi 2005. Un bilancio sostanzialmente positivo. Innanzitutto c’è stata una reale promozione e valorizzazione della tendenza dei paesi più sfavoriti ad una progressiva integrazione nella comunità internazionale. Se due anni fa si parlava ancora di digital divide, ora l’accento è stato messo sulla organizzazione della rete informatica. È un segno che si avanza nell’integrazione. Di recente, poi, all’Unesco è stato firmato un importante documento sulla salvaguardia delle diversità culturali. Qui è parso evidente come ogni paese abbia la sua strada di sviluppo economico, tecnologico e culturale, pur in presenza di una forte e non riducibile mondializzazione. Infine mi sembra di potere affermare che la libertà avanza, e che tutti la vogliono, e che l’ideologia tecnologica può favorire tale espansione. UNA RETE DI TELECONFERENZE Una delle grandi novità del Wsis di Tunisi è stata la collaborazione tra istituzioni, privati e Ong. L’iniziativa tra Esa (istituzione), Alcatel Alenia Space (settore privato) e New Humanity (società civile). Nello stand della Alcatel Alenia Space, un semplice schermo attira l’attenzione di tanta gente. Di schermi nei grandi hangar del Kram ce ne sono in effetti migliaia, ma questo pare aprire su mondi lontani e diversi. Questa è la finestra del mio laboratorio a Cannes – mi fa Jean-Christophe Honnorat, uomo Alcatel -, e questo è uno spazio di formazione degli ospedali di Nizza. Quest’altro è un amico dei Focolari in Italia che sta parlando di adozioni a distanza…. La finestra di Cannes mostra un mare mosso e spumeggiante, sembra quasi di toccarlo. Le équipe di medici di Nizza e dintorni sono prese dalla lezione d’un luminare. E le parole sulle adozioni a distanza giungono nitide. Noi cerchiamo di offrire una piattaforma – mi spiega Honnorat – sulla quale convergono segnali con standard diversi: a volte collegamenti a una via, a volte andata e ritorno, ci si può collegare con una webcam via Adsl o persino con un telefonino Gprs. Poi il tutto può essere ritrasmesso con uno o più satelliti. Da dove sia nata l’avventura, lo spiega Cesare Borin di New Humanity: In accordo con le strategie dell’Ue, l’Esa ha promosso una serie di iniziative che a partire dall’Europa possano aiutare a colmare la domanda di servizi di comunicazione a basso costo per le organizzazioni che operano nel sociale e nell’umanitario. La mancanza di ritorni commerciali per questo genere di applicazioni ha limitato la quantità di investimenti privati a questo scopo. I progetti Media Space e SpaceForScience nascono per fornire alle istituzioni no-profit e agli istituti di ricerca dei servizi di comunicazione affidati a delle industrie coordinate da Alcatel. E che c’entra New Humanity, la Ong dei Focolari riconosciuta dall’Onu? Essendo il movimento diffuso in tutto il mondo – precisa a sua volta Maria Rosa Logozzo -, abbiamo sempre cercato di utilizzare tutti i media possibili. Uno di questi strumenti è la conferenza telefonica per tenere collegati i vari centri. Siamo venuti in contatto con MediaSpace proprio quando stavamo studiando la possibilità di aggiungere all’audio anche l’immagine. La nostra collaborazione con Alcatel Alenia Space, e in particolare con il team di Cannes, inizia così nell’ottobre 2002: attualmente stiamo completando le installazioni in 40 punti (19 in Europa, 8 in Africa e 13 nelle Americhe). In 8 punti sono stati installati sistemi satellitari bidirezionali. I servizi che utilizziamo sono la diffusione di eventi con contenuti di tipo formativo e più tardi integreremo anche contenuti multimediali. Un aspetto importante da sottolineare è il tipo di collaborazione e di confronto instauratosi. Ci siamo trovati a fare un test di questo tipo di collaborazione auspicata dai documenti dell’Onu – riprende Cesare Borin -, nei quali si indica l’interazione tra società civile, industria e istituzioni come indispensabile per la società dell’informazione. Jean-Christophe Honnorat annuisce: Posso dirvi che la collaborazione con le Ong come New Humanity per noi sono importanti, perché ci mettono in contatto con esigenze reali di gente reale che ha come finalità la vita in società degli uomini reali. Si capisce di che qualità dei segnali c’è bisogno, di che infrastrutture, di quale idealità umanitaria. Noi dell’industria, oltre ad essere così più motivati, impariamo a venire incontro ai bisogni migliorando il rapporto qualità-prezzo. Cerchiamo di dare risposte intelligenti ai bisogni di una comunità.

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