Il mantello dei poveri

Paul, bambino keniota, forse non sognava neppure più di vivere l’accoglienza, dopo che l’Aids gli aveva strappato i genitori e lo aveva lasciato in balia della strada e della vita, una vita dura e tagliente. Invece per lui si sono aperte le porte della Talitha Kum Children’s Home, dove avrebbe appreso la logica del dono. Paul è uno dei primi fra i bambini che hanno trovato riparo e sostegno presso la casa costruita dal Saint Martin, associazione di robusta struttura e di elevata storia umana e sociale della realtà keniota, nella città di Nyahururu, a 200 km da Nairobi. I suoi volontari e i suoi dipendenti si occupano dal 1997 di rispondere alle necessità della comunità con azioni di spessore socio-sanitario. I programmi sono vasti e si raggruppano in varie sezioni: assistenza di disabili, malati e bisognosi, accoglienza e supporto socio-affettivo dei bambini di strada, lotta per i diritti umani, prevenzione della violenza, dell’abuso di alcool e droga e dell’Aids, risposta nelle emergenze, cura della pratica capillare del microcredito, una delle espressioni efficaci della presenza matura del volontariato europeo nel continente africano. Laura e il microcredito Il Saint Martin è nato dall’intuizione di Don Gabriele Pipinato, sacerdote missionario in Kenya, della diocesi di Padova, nella sua articolazione e nelle sue attività. Sono 800 i volontari, 90 i dipendenti, nella quasi totalità africani, impegnati a condurre i vari fronti di lotta alla sofferenza, affiancati da missionari della diocesi padovana, di cui fa parte anche Laura Di Lenna, da poco tornata a Padova da Nyahururu, dove si è occupata delle azioni di promozione e di gestione del microcredito. Credo profondamente in questo progetto – osserva Laura in uno dei suoi interventi -. Dare credito, credere nelle persone che andiamo a servire è una delle urgenze in tutti i progetti di cooperazione allo sviluppo, in particolare in Africa. Noi lo facciamo attraverso dei piccoli prestiti in denaro, aiutandoli ad avviare micro-progetti per attività generanti reddito. In questo modo, sono in grado di alzarsi con le proprie gambe, si sentono responsabilizzati e con il lavoro delle loro braccia riescono a rispondere alle necessità primarie della loro famiglia. Per troppo tempo li abbiamo abituati a ricevere gratuitamente dall’uomo bianco… I kikuyu, che costituiscono la maggioranza della popolazione di Nyahururu, hanno una grande tradizione contadina, sono molto orgogliosi delle loro abilità nel coltivare la terra. Ricevere un prestito vuol dire che c’è qualcuno che crede nelle loro possibilità e questo li motiva a dare il massimo. Una fiducia che può cambiare la loro vita. Non siamo così anche noi: tiriamo fuori il meglio quando vediamo che c’è qualcuno che crede in quello che siamo e che possiamo fare?. Laura aggiunge: Ho capito anche quanto importante sia la autosostenibilità del Saint Martin. Attualmente su novanta dipendenti pochi sono europei, il resto sono tutti locali, perché è la comunità di Nyahururu che deve farsi carico dei propri esclusi e provare a costruire una società più giusta. Il mio è stato solo un affiancamento convinta che in un semplice scambio e nel camminare insieme ci sia ricchezza. Scholastica e il computer Il suo stare a Nyahururu nella realtà del Saint Martin, si è rivelato un continuo apprendere, una scuola di vita intensa e ai limiti, come quando ricorda… quando Scholastica è venuta per l’ultima volta in ufficio da me a risparmiare qualche scellino. Era un venerdì e lei è morta di Aids il mercoledì successivo. Beh, mi ricordo che mi ha chiesto un consiglio su quale scuola di computer fosse abbordabile per lei: Mi sono resa conto che è importante saper usare il computer anche per trovare qualche lavoro oltre a lavorare i campi, diceva. In confronto a lei, proprio non so cosa voglia dire avere speranza nel futuro e non farsi abbattere dalle difficoltà. Spesso non ci rendiamo conto della grande missione che hanno di cambiarci il cuore: li guardiamo sempre come problema e mai come risorsa. Ed è appunto in questa realtà, sul campo, che Laura constata, pur tra molte fatiche, quanto intuito e abbracciato anni prima, nel suo studio per il master universitario di Studi interculturali: la logica del dono definito come ogni prestazione di beni o servizi effettuata, senza garanzia di restituzione, al fine di creare, alimentare e ricreare il legame sociale tra le persone. La scoperta teorica – affascinante – degli studiosi del Mauss (Mouvement Anti-Utilitariste dans les Sciences Sociales) viene calata da Laura in un’immediata concretezza. Racconta ancora: Durante una specie di asta, c’era un sacco pieno di mais, circa trenta chili. Uno degli ospiti ricchi ha comprato il sacco e l’ha dato in regalo a una donna di mezza età, vestita poveramente. La donna si è alzata e senza pensarci un secondo l’ha preso e l’ha portato a noi e ha detto che lo dava ai bambini di strada perché sapeva che noi avevamo dei centri di recupero. Alla fine è stata una catena e siamo tornate a casa con quasi tutto il bottino dell’asta: cinque galline, uova, zucchero, biscotti, una torta ecc. Agire in una logica del dono significa riconoscere che tutti abbiamo qualcosa da dare e abbiamo bisogno di ricevere qualcos’altro. Nel rapporto con persone provenienti da Paesi e culture diverse dalla nostra, sia che avvenga nel loro Paese di origine, all’interno di un progetto di cooperazione, sia che avvenga in Italia, l’approccio interculturale è quello che, nella consapevolezza delle reciproche debolezze e potenzialità, si è disposti ad entrare nella spirale del donare, ricevere e ricambiare. L’altra Africa non sa che farsene della nostra sollecitudine interessata; ha bisogno di riconoscimento, di fiducia, di comprensione, di dignità piuttosto che di razioni alimentari. Chiedendo all’altra Africa di aiutarci a risolvere i nostri problemi materiali, sociali e culturali noi la riconosciamo come un vero partner. E così che possiamo contribuire a rafforzarla nel modo migliore. Se l’Africa è povera di quello di cui noi siamo ricchi, in compenso, essa è ancora ricca di quello di cui noi siamo poveri. L’indebitamento reciproco Prosegue ancora Laura: Nella mia esperienza personale, seppur limitata, ritengo di poter rilevare nei rapporti e nei legami interpersonali della società keniota l’esistenza di una logica dell’agire che si può delineare come logica del dono. All’interno della famiglia allargata è importante il rapporto personale, umano tra i singoli, ma è anche molto sentito il ruolo che ciascuno svolge, o è chiamato a svolgere in base alla tradizione culturale. Se un parente ha avuto fortuna nel lavoro ed è più benestante degli altri, sarà chiamato a condividere parte dei propri beni con i familiari che sono in necessità. In questo donare credo ci siano tutti gli elementi di gratuità, spontaneità, ma nello stesso tempo di obbligo e di interesse tipico del dono come definito dal Mauss. Il legame interpersonale che nasce dall’atto del dono, dalla scommessa senza garanzia di restituzione, va al di là del legame di sangue e fa entrare entrambi nella spirale del donare, ricevere e ricambiare. Se ci spostiamo all’esterno della famiglia nei rapporti all’interno della comunità le dinamiche sono simili. Mi è capitato di assistere alla richiesta da parte di alcuni rappresentanti della comunità a una famiglia del luogo, di prendere in affidamento un bambino di strada. Mantenere e crescere un bambino è un costo, anche molto alto, ed è un dono che la famiglia fa non solo al bambino, ma all’intera comunità. Non c’è garanzia di restituzione e soprattutto l’importante è l’indebitamento reciproco con la comunità. Atantemani Quella di Laura è una delle voci appassionate dell’Associazione Saint Martin, che si avvale anche di un folto gruppo di giovani padovani che da anni ne sostiene l’attività missionaria, in un’ottica di cooperazione. Il gruppo si è organizzato in associazione dalla denominazione limpida: Atantemani, il cui sito ci ricorda che la parola amani significa pace in lingua swahili e, unita all’aggettivo italiano tante, vuole sottolineare lo stile e l’atteggiamento di più persone che insieme si sporcano le mani per promuovere lo scambio umano e la condivisione con i fratelli africani. A chiarirci il cammino del Saint Martin è di questi giorni la pubblicazione del volume Il mantello dei poveri (Emi) che delinea la storia di quest’esperienza. Scritta a quattro mani dal suo fondatore, don Gabriele Pipinato, e dalla collaboratrice e volontaria olandese Ans Van Keuler, per anni in missione a Nyahururu, il volume è un’occasione per rivivere una storia segnata da grandi squarci di provvidenza, dal coraggio e dalla fede di molti e dalla certezza che davvero è benedetto l’uomo che confida nel Signore. Il messaggio è controcorrente e alternativo, riservato a chi non ha paura e scavalca l’incertezza, compagna scomoda dei nostri tempi. Un appuntamento, fra le pagine di questo nuovo libro, allora, per respirare e aprire il cuore! Info: www.saintmartin-kenya.org e www.atantemani.org.

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