Il lavoro “spiegato” dai fotografi

Nel Festival internazionale di Roma  fino al 28 ottobre le opere di centinaia di artisti di tutto il mondo.
Lars Tunbjork

Il tema scelto è di stringente attualità: il lavoro. Argomento concreto che, prima di essere un soggetto artistico, è anzitutto un imprescindibile valore sociale e universale. L’undicesima edizione del Fotografia Festival Internazionale di Roma indaga tale tema, un classico della fotografia documentaristica del Novecento, e lo rilancia con un ritorno alla centralità dell’uomo, attraverso nuovi linguaggi e nuove narrazioni in fotografia. E ciò senza escludere alcuni maestri del passato più recente come Don McCullin o Joseph Koudelka.

Come si è modificata la “visione” del lavoro manuale nel Novecento, spesso anche intrisa di elementi mitologici, debordante di fatica fisica e grandi masse? E come, in molti casi, resiste accanto a impieghi più sofisticati, spesso solitari, tecnologici e difficili da trasformare in immagini? E come si sposano visioni vecchie e nuove? In queste domande, forse, si nasconde un quadro complessivo del mondo, e anche della fotografia, uno degli strumenti più efficaci per l’analisi della società contemporanea e dei suoi linguaggi. Sia che documenti la realtà, sia che la interpreti.

Cronaca, costume, paesaggio industriale e rurale di ieri e di oggi, mondi lontani e vicini, volti e storie, ci vengono raccontati attraverso gli occhi e la sensibilità di 180 autori in oltre 60 mostre concentrate nel museo contemporaneo Macro Testaccio e in vari spazi e istituzioni della capitale. Immagini dense e laconiche, tra passato presente e futuro, che generano una sospensione del tempo.
 
Nella mostra Hit the crowd, ad esempio, tre artisti indagano come nell’era di Internet l’atto della condivisione sia spesso indistinguibile da quello della creazione, in quanto chi riceve in seconda battuta l’immagine se ne appropria, la modifica e la rimette in circolazione. Le foto di Fosco Maraini (nel centenario della sua nascita), sul lavoro delle pescatrici ama giapponesi specializzate nella ricerca di perle, sono messe a confronto con quelle della giovane tedesca Nina Poppe, in cui tali donne-sirena ancora oggi affrontano il fondo marino con una semplice muta, sostenute solamente dall’esperienza tramandata di generazione in generazione.

Ancora, Alejandro Cartagena, della Repubblica Dominicana, appostato all’alba per mesi sul ponte di un cavalcavia che dà su un’autostrada congestionata dal traffico, ha documentato la pratica degli operai in Messico che viaggiano su camioncini aperti per recarsi sul posto di lavoro. Ne emerge un’acuta osservazione sulla crescita vertiginosa degli agglomerati urbani, che costringe i propri abitanti a maggiori spostamenti e consumi di combustibile.

Tra gli autori italiani ci sono i volti di giovani studenti ritratti in posa da Francesco Neri in un atteggiamento che esprime tutta l’insicurezza del futuro; c’è il progetto sulle esplosioni controllate di Andrea Botto; l’immagine di Lorenzo Durantini con un lavoro sulla Costa Concordia che, dopo il naufragio, rimane mezza emersa e mezza sommersa in tutta la sua verità, caricandosi di nuovi e diversi significati; mentre Francesco Jodice propone il video Dubai Citytellers sul fenomeno del neoschiavismo nella città degli Emirati, in qualche modo un simbolo dello sviluppo economico globale.

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