Il futuro tra i banchi

Tre storie di scuola, tre classi, tre finali diversi
scuola studenti

Mentre l’anno scolastico muove i primi passi, ripenso all’anno passato. La storia di un insegnante è fatta di quelle dei propri studenti. Egli vorrebbe averne in mano le trame, indirizzarne le linee di sviluppo. Non sempre tutto va come previsto. Quasi mai, nel bene e nel male. Per quanto mi riguarda, tre classi, tre storie, tre finali.

 

La prima è la storia di una sconfitta. Purtroppo non ci sono altre parole. Con un senso d’insuccesso che pervade ogni valutazione, ogni considerazione, ogni ostinazione alla promozione a oltranza del consiglio di classe sovrano. A fine anno regnano i verbali redatti in gommoso burocratese e quando i numeri sarebbero costretti a salti oltre ogni buon senso, ecco sfumare il discorso verso la situazione familiare, la malattia all’inizio dell’anno, è un bravo ragazzo… E così, per il suo bene (?!), un giovane è trasformato in un caso umano e la scuola in centro di recupero, senza sapere però che cosa in definitiva debba essere recuperato. L’insegnante (non il consiglio sovrano!) fa i conti con ciò che avrebbe potuto o dovuto fare di più e se ne va a casa, pensieroso.

 

Nell’operazione difficilissima di metamorfosi delle conoscenze in numeri (i voti), la seconda storia s’è conclusa con una processione: tutti gli studenti in fila davanti alla cattedra, intenti ad accertarsi che al professore non venga in mente di non dar loro ciò che è dovuto: la media. Semmai qualcosa in più per incoraggiare: «Io ho studiato!». Un velo di tristezza s’insinua nell’animo. Guardo le righe e le colonne dei registri. Dove sono i miei studenti? Dove i loro desideri? Dove il loro futuro? Non qui. «Voi valete di più dei vostri voti!», vorrebbe gridare l’insegnante che se ne va questa volta furibondo e duro, pervaso da un senso d’ingiustizia. In medi(a) non stat virtus (e i miei colleghi di latino mi perdonino!).

 

E poi gli esami di Stato, attesi con un desiderio spasmodico di andare oltre. Per loro è la resa dei conti (ancora voti!). Nelle ultime settimane erano indaffarati a mettere insieme le loro tesine, improbabili e strategiche ipotesi di collegamento. Gli insegnanti, chiamati in causa a prendere in esame le produzioni dell’ultimo minuto, non possono non notare che quegli studenti che fino a qualche giorno prima non sapevano accordare un verbo con il soggetto, come d’incanto, scrivono ora in un italiano fluido e corretto, utilizzando un lessico più che appropriato in una forma stilistica gradevole e chiara.

 

Per di più – qui però sorge un po’ d’inquietudine – ne sanno più di noi di fisica, matematica, letteratura italiana e straniera, di storia e di filosofia. Una breve ricerca su Internet svela il segreto: copia-incolla dal primo sito indicato dal loro motore di ricerca preferito. Sospiro di sollievo: «Per fortuna non ne sanno più di me». Domanda fatale: «E se la commissione dovesse avvedersene?». Il timore s’insinua in ciò che l’insegnante non è riuscito a trasmettere ai propri studenti.

 

 

Ultimo giorno di scuola. È il mio giorno libero, ma sono in sala insegnanti. Registri, verbali, relazioni. Un gruppo di studenti si affaccia alla porta. Mi vogliono in classe. La terza storia è immortalata in una foto scattata il giorno prima: il loro regalo “ingrandito”. Li guardo ora, nei loro volti felici, misteriosi, qualche volta enigmatici. L’obiettivo ha fissato un momento tra i più belli vissuto con loro. Un’ultima lezione pensata con un’inversione di ruoli: l’insegnante decide di farsi esaminare dai propri alunni. Mille cose avrebbero potuto chiedere. Hanno scelto domande sull’amore, il dolore, la vita, la giustizia. Aveste visto con che proprietà di linguaggio, profondità, con che senso della realtà! Un’ora di scuola magnifica, uno di quei rari momenti in cui, chi è stato tutto l’anno dietro la cattedra a chiedere da loro il massimo, con commozione può finalmente ringraziarli, perché ha potuto ancora una volta ammirare la loro bellezza. Dietro la foto, accanto alle loro firme, leggo: «Grazie per averci considerato per quello che siamo realmente».

Chi sono realmente questi ragazzi? Come continueranno le loro storie dopo gli esami? A loro, che mi facevano domande sulla giustizia, ho augurato di non scendere mai a compromessi.

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