Il futuro di Gerusalemme

«Soltanto nuovi accordi politici e un dialogo costruito dal basso consentiranno di riaprire il processo di pace in Terrasanta».  Intervista al rabbino Ronald Kronish, direttore e fondatore del Consiglio di Coordinamento Interreligioso in Israele

 

«Gerusalemme deve essere condivisa tra ebrei, musulmani e cristiani. Quando avremo un accordo di pace, Gerusalemme potrà essere un punto di riferimento spirituale per il mondo».

ron-kronish-informal-portraitAd inizio del 2018, in occasione di un viaggio a Gerusalemme, ho avuto modo di incontrare il rabbino Ronald Kronish, direttore e fondatore del Consiglio di Coordinamento Interreligioso in Israele (ICCI), che ha diretto per 25 anni. Formatosi negli USA come rabbino nella religione ebraica riformata, liberal-progressista, vive a Gerusalemme da 38 anni ed è promotore del dialogo interreligioso insieme ad altri educatori musulmani e cristiani: «Al momento i politici hanno rinunciato a lavorare ad un processo di pace, non si dice apertamente ma è così. Il peace making, cioè il processo politico, diplomatico e legale volto a coltivare le relazioni di pace tra i Paesi – sostiene Kronish – non è sufficiente. Occorre il peace building cioè il processo di costruzione della pace, che comprende il lavoro delle persone che costruiscono relazioni di pace e cercano di vivere pacificamente gli uni con gli altri».

Il primo passo fondamentale, secondo Kronish, è stato conoscersi per superare gli stereotipi negativi: «La prima scoperta che abbiamo fatto quando palestinesi ed ebrei hanno cominciato a dialogare è stata rendersi conto che anche l’altra persona è un essere umano, la seconda è che le religioni condividono gli stessi valori; invece di aprire Facebook o Twitter dovremmo tutti aprire i testi sacri con dei bravi insegnanti».

Nel corso del dialogo sono emerse alcune domande per l’intervista che segue.

Considerato che non abbiamo ancora un vero accordo di pace, cosa possiamo fare per arginare il potere delle industrie di armamenti il cui interesse è che la guerra prosegua?

Innanzitutto abbiamo bisogno di un accordo di pace. Anche se non è perfetto è necessario per mettere fine alla violenza da entrambe le parti; io credo che lo avremo, non accetto l’dea diffusa per cui combatteremo per sempre; teniamo presente però che solo allora inizierà il nostro lavoro; quello del costruttore di pace è il lavoro della prossima o delle prossime due generazioni che costruiscono nuove relazioni, dobbiamo prendere l’energia di tante persone che possono costruire la pace ad ogni livello. Condivido il punto di vista sulle armi, siamo parte di un’organizzazione internazionale qui in Israele, e siamo impegnati a limitare la produzione di armamenti.

Nel cristianesimo ci sono molte tradizioni, ci siamo combattuti anche per centinaia di anni, cosi come tra i musulmani; perché tra gli ebrei, fra i quali pure ci sono molte differenze, non ci sono stati tutti questi scontri? Esiste un movimento ecumenico anche tra gli ebrei?

Gli ebrei hanno avuto guerre civili, combattimenti interni nell’antichità ma mai uccisioni l’uno con l’altro; il principale motivo è che non avevamo abbastanza armi e potere; quando si è formato lo stato di Israele ci sono stati gruppi estremisti ma non si sono mai scontrati con le armi; in questo momento c’è molta divisione tra la destra che vuole continuare a combattere una guerra e la sinistra che vuole fare molti sacrifici per la pace. Quanto alla seconda parte della domanda se non c’è un vero e proprio movimento ecumenico è bene che ci sia perché se non abbiamo un punto in comune che ci tiene insieme abbiamo un problema nel capire la ragione per cui siamo qui. La condividerò con il nostro ministro dell’educazione, non so se non mi ascolterà, ma è una buonissima idea.

Attraversando le strade di questa città ci si rende conto di quanto Gerusalemme sia unica proprio per le sue differenze. Qual è il valore aggiunto che Gerusalemme può dare al mondo?

Gerusalemme ha diverse dimensioni: una dimensione politica, spirituale, culturale. Se parliamo dei problemi politici a Gerusalemme abbiamo un grosso problema. Il 6 dicembre il Presidente degli Stati Uniti d’ America ha formalizzato il suo annuncio di spostare l’ambasciata americana a Gerusalemme; all’inizio ha detto che Gerusalemme appartiene agli ebrei e dovrebbe essere la capitale dello Stato di Israele e subito dopo: “Dovremmo avviare un processo di pace con i palestinesi”. E’ un ragionamento che non si può spiegare con la logica. Chi dice che Gerusalemme appartiene solo ad una delle parti in conflitto decisamente non sta avanzando nel processo di pace; in questo momento Gerusalemme è come un campo di calcio; ad alcuni ebrei piace la proposta di Trump ma chiunque ha lavorato nei processi di pace sa che Gerusalemme deve essere condivisa tra ebrei, musulmani e cristiani. Quando avremo un accordo di pace, Gerusalemme potrà essere un punto di riferimento spirituale per il mondo in cui tutti potranno venire a pregare separatamente e insieme, accade già adesso ma nel piccolo.

 

 

 

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