Il fair-play non basta

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Il mondo dello sport reclama più fair-play per mitigare la crescente dimensione agonistica. Sportmeet, rete internazionale di sportivi, operatori e professionisti dello sport, esce allo scoperto e propone di mettere in moto la fraternità. Ne parliamo con Paolo Crepaz, medico dello sport, che di Sportmeet è presidente. C’è davvero spazio per la fraternità nella cultura sportiva? Espressioni come dialogo, amicizia, pace, fratellanza sono da sempre presenti nella cultura dello sport, auspicate quale frutto della pratica sportiva stessa. Eppure oggi lo sport appare pieno di contraddizioni: su che basi può essere percorso di fratellanza? Oggi, non solo nello sport, sono enfatizzati al massimo la cultura del- la performance, la ricerca di sempre nuovi record e il superamento di ogni limite. Il fair-play, spesso disatteso, si sta dimostrando strumento debole ed insufficiente. E non si può imporre: per questo la proposta, nel calcio, del cosiddetto terzo tempo, la stretta di mano obbligatoria a fine partita, fatica ad essere accettata. Questi comportamenti virtuosi sono l’espressione di una cultura (lo dimostrano il rugby e gli sport di combattimento) che va interiorizzata e maturata nel tempo e che solo nella libertà può essere testimoniata. In questa direzione, i Focolari, da cui è scaturita l’esperienza di Sportmeet, ha fatto nascere una rete mondiale, modesta certo, ma autentico laboratorio internazionale di testimonianza e di lavoro culturale comune sullo sport, orientato alla fraternità. Se il fair-play è un’indicazione morale, la fraternità quale contributo può dare allo sport? È patrimonio dell’umanità, iscritto nel Dna di ogni uomo. Immaginiamo la fraternità non come qualcosa che si aggiunga alla sport, ma come qualcosa che ne ispiri direttamente metodi, contenuti e fini, e porti conseguenze concrete nella progettazione e nello svolgersi quotidiano dell’attività sportiva. Cosa significa nello sport la fraternità come metodo? Non è semplice e formale rispetto delle regole e dell’avversario, come il fai-play: è condivisione con l’altro, fino alla reciprocità, è tensione a tenere insieme e valorizzare esigenze di persone, associazioni e istituzioni che altrimenti rischiano, visti i crescenti interessi, di finire in conflitti insanabili. Begli auspici, ma sono i soldi a dettare legge nel mondo dello sport! Lo sport è oggi strettamente intrecciato all’economia: la fraternità è riferimento cardine affinché tale intreccio sia costruttivo e rispettoso dei valori veicolati dallo sport. Oggi è diffuso l’imperativo del no-limit: l’ottica della fraternità può favorire una cultura della sconfitta per una nuova cultura della vittoria, saper perdere per sapere vincere. Può far crescere una sana cultura del movimento, riscoprendo la bellezza dell’ambiente naturale, senza dimenticare che l’ambiente migliore è comunque quello in cui è vivo un clima di fiducia e di rispetto reciproco. Una pedagogia sportiva illuminata dalla fraternità pone l’obiettivo sullo sviluppo della persona umana e non solo sullo sviluppo delle specifiche qualità motorie. E l’intreccio fra sport e comunicazione si è dimostrato reciprocamente vantaggioso.Ma la fraternità è chiave di volta affinché la spettacolarizzazione esasperata non faccia svanire il valore della pratica sportiva in sé. Alla politica e alle istituzioni di governo sportivo, se anch’esse ispirate dalla fraternità, andrà il compito di favorire universalmente il diritto al gioco ed allo sport, di garantire, per i diversi aspetti, che le normative e le risorse economiche siano guidate in modo efficace da intenzionalità educativa. La fraternità può essere un fine nello sport? In che modo? Uno sport orientato alla fraternità ha come fine quello di contribuire efficacemente, accanto ad altre realtà, alla crescita integrale ed armoniosa della persona, alla costruzione dell’unità della famiglia umana. SPORT ANCORA CREDIBILE? La parola ai testimoni di diverse discipline, italiani e stranieri. Marco Pinotti Ciclista professionista, maglia rosa al Giro d’Italia 2007, campione italiano a cronometro. Il fair-play nel ciclismo esiste nelle regole non scritte. Quando il percorso presenta, ad esempio, tratti pericolosi è buona norma non rischiare, ma aspettare ad accendere la miccia agonistica: è capitato lo scorso anno al Giro in una tappa che prevedeva i primi 60 chilometri sulla costiera amalfitana, con strade strette, ricche di curve e insidie. Oppure quando il leader cade e gli avversari non lo attaccano: è avvenuto proprio nella stessa tappa, quando la maglia rosa Gasparotto è caduta e il gruppo ha rallentato finché non è rientrata. Vorrei raccontare un episodio di fair-play, sempre lo scorso anno, nella tappa del Giro di Spoleto. Mi trovavo in fuga con un compagno con un vantaggio tale da diventare leader della corsa. Quando mancavano 15 chilometri dalla fine ho comunicato all’ammiraglia che era mia intenzione lasciare che il compagno tagliasse per primo il traguardo. La risposta è stata positiva e così ho fatto. Ciò che mi ha spinto è stata la lezione appresa pochi giorni prima nella stessa situazione al Giro di Romandia: in quella circostanza volevo sia la vittoria di tappa che la maglia di leader ed ho cercato di staccare il mio compagno di fuga, che mi ha ripreso, battuto, ed in più non ho indossato la maglia per tre secondi. Lì ho capito che voler mangiare troppo causa indigestione; mentre una torta divisa è una festa per tutti. Horacio Marcelo Elizondo Argentino, arbitro di calcio, ha diretto la finale Italia-Francia nell’ultimo Campionato mondiale in Germania. Nel 2006 è stato premiato come miglior arbitro dell’anno. Nonostante commercio e spettacolo esasperati, lo sport rimane fondamentale per molti aspetti. Anzitutto sul piano dell’educazione: che i bambini possano apprendere, attraverso il gioco, i contenuti educativi e soprattutto i valori, mi sembra fondamentale. L’attività fisica è vitale per la salute. Lo sport, infine, aiuta a diventare buoni cittadini: tramite il gioco si impara a rispettare le norme che rinsaldano la convivenza civile. Lo sport può offrire speranze di pace, perché riesce ad aprire un dialogo anche in situazioni estremamente difficili. Il senso dello sport è anzitutto migliorare sé stessi, consapevoli che senza l’avversario non possiamo giocare. In secondo luogo, se non sono contento dei miei risultati, sono io che devo migliorare senza dare la colpa all’avversario, all’arbitro, agli altri. Dan Peterson Ex-allenatore di basket, oggi commentatore televisivo. Ci sono ancora episodi che rendono lo sport credibile. Lo sport è capace di costruire la pace anche dove c’è la guerra: le immagini della squadra di calcio dell’Iraq, composta da giocatori di tre gruppi etnici che hanno festeggiato abbracciati la vittoria nella Coppa d’Asia resterà nella memoria. Gli sportivi devono però essere consapevoli che le loro gesta sono amplificate dai media ed assumersi un ruolo di testimoni per chi li guarda. Lo sport è e rimane uno straordinario percorso di crescita umana. Penso al mio primo allenatore, nella piccola cittadina dove vivevo vicino a Cincinnati. Mi ha dato fiducia, mi ha fatto giocare, ha creduto nelle mie possibilità anche se io non ero assolutamente un talento: non lo dimenticherò mai! Gli allenatori hanno un ruolo importantissimo. Non sopporto di vederne che urlano parolacce ai ragazzi: possono incidere non solo sul rendimento sportivo dei ragazzi, ma sulla loro intera vita. Karl Unterkircher Gardenese, alpinista da 8 mila, in due mesi è salito su Everest e K2. Il fair-play è di massima importanza per il successo dell’impresa: il sostegno morale e psicologico reciproco, fin dal campo base, quando si studia la strategia di salita, fa superare i momenti più difficili, di paura e di incertezza. Nella mia ultima spedizione al Gasherbrum 2 ci siamo motivati e caricati a vicenda per raggiungere la vetta e siamo stati premiati. L’alpinismo può insegnare qualcosa di specifico al mondo dello sport in materia di fair-play e di fraternità. Ad esempio, nell’alpinismo, a volte, si deve fare dietrofront, bisogna saper rinunciare, che vuol dire perdere. Nell’alpinismo saper perdere significa salvaguardare la propria vita. L’esperienza che porti a casa è la cosa più importante, quella che ti sarà di aiuto nella prossima sfida. UN MONDO CHE CAMBIA Raffaella Ferrero Camoletto, sociologa all’Università di Torino, ha pubblicato il libro Oltre il limite (2006), studio sulle nuove tendenze dello sport. Emerge un quadro in trasformazione. Commercializzazione e la spettacolarizzazione ne hanno fatto un settore di mercato le cui logiche spesso sembrano prevalere su quelle strettamente sportive, enfatizzando la spinta alla competizione e alla vittoria a tutti i costi. Il consumo passivo di sport attraverso la fruizione televisiva ha rafforzato la quota dei sedentari, oggi il 40 per cento della popolazione nazionale. La tecnologizzazione dello sport, con la continua innovazione sul versante dei processi e dei prodotti, ha colonizzato il corpo dello sportivo, trasformandolo in un corpo-macchina. La medicalizzazione dei corpi sportivi rimanda a modelli di super-uomo e spiega la diffusione a macchia d’olio del doping, dal professionismo alle competizioni amatoriali fino ai settori giovanili. Uno scenario a tinte fosche? No, queste trasformazioni aprono anche possibilità inedite. C’è un ritorno alla dimensione rituale dello sport. L’innovazione tecnologica risponde anche a domande sociali: l’evoluzione dalla bicicletta alla mountain-bike, per esempio, esprime il bisogno di abbandonare gli spazi congestionati della città per immergersi nella natura. Cresce un uso espressivo dello sport: mentre cala l’interesse per sport agonistici tradizionali, è in netta crescita la pratica sportiva intesa come ricerca del benessere fisico, rapporto con la natura e attivazione di nuove forme di socialità. È in atto un processo di riappropriazione dello sport e del corpo da parte della gente. Queste pratiche testimoniano una ricerca della autotrascendenza, di un uscire da sé, di una qualità di vita migliore. Uno sport vissuto in questo modo può aprire orizzonti alla fraternità? Il passaggio da uno sport agonistico ad uno sport a più dimensioni rispecchia la natura complessa dell’uomo, che è alla ricerca di slanci di trascendenza come di cura del proprio corpo, di autocompetizione come di abbracci di socialità, di dispendio di sé come di gratuità.

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