Il dovere di indignarsi

Un saggio sull'importanza morale e civile dell'indignazione, a partire dal suo altissimo significato etimologico attraverso le più esemplari declinazioni da parte dei grandi protagonisti della storia
Foto Pexels

«Ma figlia figlia

non voglio che tu sia felice

ma sempre “contro”

finché ti lasciano la voce…» (Roberto Vecchioni)

Sono le 20.30. Ora di cena, teniamo la tivù accesa di sottofondo. Scorrono immagini di guerra… Le bombe scoppiano; i filmati di guerra si muovono sempre in ambienti grigi, fumosi, polverosi. E poi anche in mare, oggi, è guerra: una spiaggia restituisce corpi. Bambini, donne, uomini. Scarpe, brandelli di vestiti… Non sembra un paesaggio di guerra: siamo in una delle più belle zone d’Italia: la Calabria, Crotone. Spostiamo appena lo sguardo… siamo in casa nostra, una cucina ben illuminata, il nostro fumo è il vapore attraente della pasta appena scodellata. Una bella cena ce la siamo meritata, il lavoro, la giornata pesante. Ma la voce di sottofondo ci turba… così facciamo zapping. Di là incontriamo la pubblicità con la solita canzoncina stupida. Ancora zapping. Cronaca italiana: delle ragazze violentate alle fine di una festa. Cambiamo ancora e ricacciamo quel colpo assonnato allo stomaco, che è frutto della lotta fra la coscienza e la sopravvivenza. Poi la cena finisce.

Nel dopocena, fra le ragnatele del banale offerto dalla tivù, è ancora più difficile intrappolare i pensieri, ricordare, ridare un peso alle immagini. Meglio comprimerle e rimandare. Ce l’abbiamo fatta anche stasera, e siamo sopravvissuti a questa guerra: una guerra che non è tanto violenta in sé, quanto nella ferocia con cui ci spinge a non guardare, a non-vedere, ad abituarsi. Ci spinge nel grigio vuoto, nella palude dell’Indifferenza, come Bastian, il protagonista del film La storia infinita[1]. Il Nulla ci ha vinto?

«Non siamo parenti, ma se si è capaci di tremare d’indignazione ogni qualvolta si commetta un’ingiustizia nel mondo, siamo compagni di vita». (Che Guevara)[2]

Nel mondo antico, invece, indignarsi era un dovere. È nella polis, in cui il valore preminente è la virtus, rispettata e riconosciuta, che si sviluppò il concetto di “indignarsi”. Il concetto passa poi in latino nella parola in-dignatio, dove il prefisso negante “in”[3] e il sostantivo dignitas, indicano quello che fa un uomo probo e meritevole di lode: va verso la dignitas. In una città dove vige la “democrazia” nel vero senso della parola[4], indignarsi è un dovere, una denuncia di ciò che è pericoloso per lo Stato, e quindi anche per il singolo.

Cicerone
Cicerone denuncia Catilina in Senato (Foto di: Cesare Maccari, Pubblico dominio, Wikimedia Commons)

[5]Cicerone, homo novus[6], senza nepotismi alle spalle, si scaglia senza remore in Senato contro il giovane Catilina, aristocratico, assetato di denaro e di potere, reo di sacrilegi, omicidi, ruberìe e complotti[7]. Catilina sa di essere stato scoperto… ma è presente, e lo guarda torvo, senza timore alcuno. Anche tutti gli altri senatori sono presenti. Cicerone lo sa che molte di quelle toghe sono colluse con Catilina… e di questo, soprattutto, non riesce a trattenere lo sdegno. Come può essere? Come è possibile che degli uomini che rappresentano il Mos Maiorum non reagiscano a tutto questo??!

La voce di Cicerone non è isolata, in quel periodo: Giovenale[8], sebbene scrittore di satire, non ha come fine la risata fine a sé stessa. Piuttosto si serve della caricatura per fare una denuncia sociale: si scaglia contro i falsi moralisti, le donne di facili costumi, i filosofi improvvisati, i corrotti. Gente di cui è piena una grande Urbe pletorica, allora come oggi. Usa la satira perché è un linguaggio popolare, una lente di ingrandimento[9] che arriva a tutti. Giovenale non ha studiato oratoria, non è un politico… ma conosce il modo di arrivare al popolo, e allora ben venga la satira!

Scorrono altri secoli, come sabbia fra le dita e arriva il più grande ribelle della storia: Gesù. Lo sa che non deve mettersi in luce, ma non esita a prendere a bastonate i mercanti fuori dal tempio. Ancora qualche millennio, e poi Dante, nel suo cammino oltre la vita… e dopo Foscolo, Manzoni, contro gli italici apatici e indifferenti alle dominazioni e alle tirannidi…

E così via via. L’uomo ha lottato, il genio ha scolpito, dipinto, scritto, tramandato la sua forza.

controcorrente
(Foto: Pixabay)

Certo, non è facile scegliere di indignarsi, andare contro corrente, quando pensi che non serve a nulla, quando vedi il rappresentante della giustizia intervenire a difesa degli amici potenti, quando scopri che i capi di Governo sono essi stessi evasori e corruttori. Si arriva allo scoramento… perché alla fine tutti restano al loro posto, senza dignità, senza rispetto per l’istituzione, che – dicono – vogliono rappresentare. E forse c’è di più ancora, oltre allo scoramento c’è il timore che il marcio sia talmente diffuso ed entrato nella nostra quotidianità che non riesci più a distinguerlo dal resto o ad isolarlo[10]. La mancanza di interlocutori, il senso di inutilità delle proteste, finisce per spingere al silenzio, nella certezza dell’incomprensione. Così, ci si abitua, si cade nella palude dell’indifferenza…

Che fare allora? Forse dovremmo guardare meglio la storia: se leggiamo nelle pieghe del tempo, nelle pagine corrose dei libri, dei codici, se guardiamo dietro al visibile – archeologi del tempo – troviamo un messaggio, forte, vivo, e di tutti: in qualunque tempo viviamo, noi dobbiamo essere testimoni dei nostri tempi, con coraggio, con forza, e non volgere lo sguardo altrove. È il dovere di indignarsi, di denunciare, di portare alla luce. Tocca a noi, ad ogni singolo, con i mezzi che abbiamo, per non cadere nell’errore di pensare che i grandi gesti “appartengano solo agli eroi”. Diceva B. Brecht: «Sventurata la terra che ha bisogno di eroi», e, sempre lo stesso autore ci ammonisce: «Se dobbiamo vivere nei tempi oscuri, allora DOBBIAMO PARLARE DEI tempi oscuri».

E su tutto questo, una grande voce indignata che si alza al di là della storia, del tempo, e delle mode: «A voi giovani dico: non abbiate paura di indignarvi, quando ci vogliono rubare la speranza, quando ci propongono questi valori che sono avariati… questi valori ci fanno male. Dobbiamo andare controcorrente! E voi giovani, siate i primi: andate controcorrente e abbiate questa fierezza…». (Papa Francesco, Angelus, 23 giugno 2013)

 

[1] Michael Ende, La storia infinita, Longanesi, nel libro (così come nel film omonimo) Bastian un bambino bisognoso d’affetto e deriso dai bulli della scuola, si nasconde in una biblioteca, fra i libri che ama. Qui, verrà “ingaggiato” per salvare il regno di Fantàsia, dal nulla che lo soffoca: una nebbia di indifferenza e di dimenticanza.

[2] dalla lettera a María Rosario Guevara del 20 febbraio 1964

[3] Il prefisso IN- in latino, può indicare mancanza, privazione, contrarietà, opposizione, oltre che andar contro e andar dentro

[4] potere del demos, cioè il popolo tutto unito, senza distinzioni di alto e basso, dal momento che, come sappiamo, nella democrazie del quinto secolo a.C. a tutti era permesso, essere eletti per governare lo Stato. Il più alto grado di isonomia, cioè di parità

[5] I°sec. a.C. a Roma

[6] professionalmente cresciuto senza le spinte di nessuno e senza nessun aiuto. Era un homo novus, quando era il primo della sua famiglia ad intraprendere il Cursus honorum

[7] Il giovane Catilina, che si era arricchito seguendo il tiranno Silla e mettendosi alle sue dipendenze, adesso che è tornata la Repubblica, non può sopportare di trovarsi senza soldi, senza aiuti politici, senza la vita facile di prima. Così, con l’aiuto e la complicità di Senatori che egli ha corrotto in vario modo, si dà ai furti, alle rapine, ai complotti. Adesca giovani desiderosi di una vita facile, promettendo loro piaceri e divertimenti. E arriva a tutto, anche ad organizzare un colpo di Stato contro la Repubblica. E un agguato (poi scoperto in modo fortunato e sventato, contro lo stesso Cicerone).

[8] Giovenale (I-II sec. d.C.), ha scritto Satire, ma molto lontane dall’ironia sorridente e benevola di Orazio; nemmeno possiede la serenità moralistica di Cicerone; la sua poesia è tipica di chi non può più trattenersi e riflette piuttosto una visione amara e sarcastica della vita, ricca di acredine. Il poeta vuole apparire sdegnato e desidera suscitare l’indignazione del pubblico.

[9] Giovenale, Satira I: «Se il genio non me lo concede, detta i versi l’indignazione, così come può» (Si natura negat, facit indignatio versum, qualemcumque potest)

[10] «un chicco d’uva marcio genera uva marcia, e una malattia ad una pecora si attacca al gregge» (Giovenale, III, 2), come vediamo, tristemente dalla pandemia dei nostri tempi

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