Idlib, il posto della guerra

Gravissima crisi umanitaria nella regione a Nord-Est del Paese da otto anni in guerra. Sul suo territorio sono in azione quasi tutte le grandi potenze regionali e mondiali. Difficile girare la testa dall’altra parte per non vedere…

Il 2 settembre 2018, dopo l’Angelus, papa Francesco disse ai fedeli radunati in piazza San Pietro: «Spirano ancora venti di guerra e giungono notizie inquietanti sui rischi di una possibile catastrofe umanitaria nell’amata Siria, nella Provincia di Idlib». Dopo la tregua mediata dalla Russia sono passati solo 8 mesi e ad Idlib si ricomincia non solo a combattere ma a rischiare la stessa catastrofe umanitaria di cui parlava il papa. Purtroppo per molti italiani ed europei Idlib è uno sconosciuto luogo molto lontano che ben poco ha a che fare con l’Europa e con l’Italia. «A Idlib si può anche rischiare una strage – sembra dire un cittadino medio europeo –, ma io che c’entro? Mi spiace, ma è una questione che non mi riguarda». Questo è il punto: a Idlib gli interessi in gioco e perfino le bombe e i proiettili che si sparano sono internazionali e ci riguardano: solo i profughi e i morti sono siriani, civili in maggioranza.

La provincia di Idlib, nel Nord-Ovest della Siria, è un piccolo territorio, più piccolo del Friuli, e il suo capoluogo dista solo 60 Km da Aleppo e 40 dal confine turco di Antiochia. Per fare un quadro a grandi linee e molto semplificato, la regione di Idlib è controllata dagli oppositori del governo siriano, dopo i trasferimenti con le loro famiglie dei ribelli che si erano arresi altrove (Ghouta, Yarmuk, Homs, Daraa, ecc.). La maggior parte di questo piccolo territorio è controllata da miliziani di Hay’at Tahrir al-Sham (ex al-Nusra) e da altri gruppi qaedisti, che sono ufficiosamente sostenuti dalla Turchia (che ha qui anche postazioni del suo esercito). Comprendendo anche i ribelli siriani filo-turchi, si calcola che i combattenti anti-governativi potrebbero essere complessivamente tra 120 e 150 mila, comprese anche alcune migliaia di stranieri: uiguri, turcomanni, ceceni ed altri. Come insegna la storia recente, l’area è monitorata e facilmente raggiungibile per spedizioni punitive anti Assad da aerei statunitensi, inglesi e francesi, senza contare il rischio di improvvisi blitz aerei israeliani. Tutte cose già viste e collaudate. E non si sa precisamente come sia il sostegno a distanza (soldi e armi) offerto con molta probabilità da sauditi e qatarioti ad alcuni gruppi combattenti.

Sull’altro fronte, lo scontro coinvolge l’esercito governativo siriano e le milizie filogovernative, appoggiati dalla Russia, che ha le sue basi navali e aeree a Latakia, a poco più di 100 Km verso Sud-Est. Ci sono anche gruppi di Hezbollah libanesi e gruppi filoiraniani, oltre ai curdi siriani attestati a Sud-Est di Afrin, poco a Nord di Aleppo. L’appoggio logistico di questo schieramento coinvolge oltre ai russi anche gli iraniani, con una probabile assistenza di intelligence fornita dai cinesi. Ci sono attualmente stipati in quest’area circa 3 milioni di civili, almeno il doppio dei normali abitanti della regione. I bambini sono presenti in gran numero.

Nei giorni scorsi sulla situazione è intervenuto anche il nunzio apostolico in Siria, il cardinale Mario Zenari, sottolineando l’attuale crisi umanitaria che attanaglia la Siria intera, con una povertà che riguarda ormai l’80% della popolazione, schiacciata oltre che dalla guerra dei militari anche e fortemente dalla guerra economica (sanzioni ed embarghi statunitensi ed europei provocano la mancanza di tutto, ma soprattutto di carburante). La nuova escalation di Idlib ha innescato un flusso enorme di sfollati che tenta di sfuggire a raid aerei, missili, bombe e fuoco incrociato. Mons. Zenari ha detto che «nelle ultime settimane 300 mila persone sono fuggite verso il Nord della provincia, dove c’è un campo profughi da tempo stracolmo. Così tanti vivono all’aperto, sotto gli alberi. Il loro numero sta ulteriormente crescendo e in queste condizioni i più deboli, disabili e anziani, sono lasciati indietro».

Come avviene poi fin dall’inizio della guerra, regolarmente salta fuori qualche falco del Pentagono che “sa” dell’uso di armi chimiche da parte dei governativi e minaccia pesanti e durissime ritorsioni, come il lancio punitivo di qualche centinaio di missili dell’aprile 2018, voluto da Trump e attuato dagli Usa con l’appoggio di inglesi e francesi. Non ha alcuna importanza che praticamente tutti, perfino alcune fonti antigovernative, smentiscano che ci siano stati attacchi al cloro da parte dei governativi. Quello che conta è innescare il dubbio, se si rivelassero fake news sarebbe molto difficile smontarle.

 

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