Ici/Imu, le giuste esenzioni

Privilegio o corretto riconoscimento di una funzione sociale?
Istituto scolastico paritario Nazareth

Se ne parla da anni e se ne continua a parlare, e si sprecano i titoli, che spesso sembrano evidenziare o una scarsa conoscenza o, peggio, una volontà di condanna senza appello verso la Chiesa e le sue opere.
Mentre scriviamo, non possiamo formulare un commento definitivo a proposito della nuova normativa Imu, poiché dobbiamo attendere i relativi regolamenti. Ci pare comunque necessaria qualche precisazione, per fare, se possibile, un po’ di chiarezza.

La Chiesa (se intendiamo per “Chiesa” parrocchie, seminari, istituti ed enti religiosi e non Vaticano, che è uno Stato che ha rapporti con l’Italia) paga l’Ici, quando i suoi enti – non profit – svolgono attività di tipo commerciale. Lo ha sempre pagato (salvo singoli casi di false dichiarazioni), sia quando svolge direttamente attività negli immobili, sia quando li concede in locazione.
Il trattamento riservato agli enti ecclesiastici è identico a quello che la legge riserva agli altri enti non profit, a partiti, sindacati, almeno in materia di Ici (le Onlus, infatti, godono di ulteriori esenzioni rispetto agli enti ecclesiastici, in caso di acquisto di immobili).
Gli attacchi alla Chiesa sono –volutamente o no – attacchi a tutto il mondo del non profit (religioso, non solo cattolico, e laico).

E allora, dove sta il privilegio della Chiesa? In attesa di modifiche definitive, guardiamo alla norma finora di riferimento, il DLgs n. 504/92 istitutivo dell’Ici, che all’art. 7 prevede l’esenzione dall’imposta comunale sugli immobili per gli immobili destinati esclusivamente all’esercizio del culto (…) e le loro pertinenze; gli immobili utilizzati dai soggetti di cui all’art. 71 del T.U.I.R. comma 1 lett. c) gli enti non commerciali (…) destinati esclusivamente allo svolgimento di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive.
Sono previsti inoltre una serie di altri immobili esenti, appartenenti allo Stato e ad altri enti pubblici, sedi di comuni, province, regioni, ospedali, scuole pubbliche e i fabbricati di Stati esteri e della Santa Sede (Stato estero riconosciuto).
Si tratta perciò di esenzioni che vengono concesse in funzione della rilevanza sociale e religiosa o di accordi internazionali.
 
Torniamo perciò agli immobili di proprietà di enti non profit. Fino ad oggi, si è guardato all’attività svolta. Se è di tipo commerciale, l’Ici viene pagata. Anzi. Se in una parte dell’immobile si svolga un’attività di tipo commerciale, l’intero immobile è sottoposto a Ici. Se l’attività è di tipo non commerciale, l’Ici non è pagata. È facile comprendere il senso della norma. Non possiamo trattare in modo uguale situazioni diverse: se in un immobile vengono svolte attività di rilevanza sociale, è giusto che tale rilevanza venga riconosciuta dallo Stato, che non è oggi in grado di svolgere queste attività e perciò le delega ad altri enti.
Gli enti ecclesiastici svolgono primariamente attività di tipo religioso e sociale, sono in prima fila nell’accogliere i senza tetto, istituire mense per i poveri, prendersi cura dei diversamente abili. Le attività commerciali sono un di più, utile per il mantenimento dei propri membri o il cui reddito è destinato ad attività caritative. Eppure, sugli immobili in cui vengono svolte tali attività, gli enti religiosi hanno sempre pagato, e continueranno a pagare l’Ici.
La nuova normativa, però, prevede la possibilità di distinguere e pagare l’imposta solo sulla parte di immobile in cui l’attività viene svolta. Un giusto passo in avanti.

Ciò che ancora non è chiaro è se verranno sottoposti al pagamento dell’Ici e dell’Imu quegli immobili che, in base all’attuale legge, ne sono esenti, in quanto vi si svolgono attività «assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive», dietro pagamento di un corrispettivo, necessario per permettere lo svolgimento dell’attività, pagamento dei dipendenti, ecc.
L’emendamento prevede che, per essere esenti, le attività si dovranno svolgere «con modalità non commerciali» o, per dirla con il premier Monti, in «modo concretamente non commerciale».
Il timore è che in futuro gli immobili che ospitano tutte queste attività (scuole, asili, ospedali, mense…) saranno soggetti all’Imu, e il rischio è la chiusura di queste attività, con grave danno della società, sia per la perdita di servizi essenziali non coperti dallo Stato (pensiamo ad asili nido e scuole materne), sia per la perdita di posti di lavoro.
Per le scuole, Monti ha formulato alcuni criteri che permettono di mantenere l’esenzione: il servizio scolastico paritario deve essere assimilato a quello pubblico, per i programmi e per l’applicazione dei contratti nazionali; dal bilancio dovrà apparire «in modo chiaro la modalità non lucrativa», quindi «l'eventuale avanzo andrà destinato all'attività didattica».
In attesa della definizione normativa, crediamo necessario uno sguardo aperto e privo di pregiudizi per comprendere il valore che tanti enti non profit sono per la società italiana. Siamo davvero certi che colpire il settore non profit con ulteriori imposte sia una strada buona per migliorare l’economia italiana?

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