Terroristi si nasce in carcere non in moschea

Anche la vicenda di Anis Amri, ucciso questa notte dalla polizia a Sesto San Giovanni, dice che la radicalizzazione di certi musulmani border line avviene in prigione. Il rischio dei radicali "fai da te"

Da tempo qui in Europa tanta gente è combattuta da un dilemma: dobbiamo dare spazio alle moschee? Dobbiamo permettere a tanti musulmani poco alla volta di integrarsi nelle nostre società? Non è che prima o poi questa gente che accogliamo ci si rivolterà contro e ci caccierà dalle nostre conquiste sociali, culturali e anche politiche? Ha ragione Houellebeq quando in Sottomissione preconizza nel 2018 un presidente della repubblica francese di religione islamica (è di oggi la notizia di una possibile premier rumena di religione musulmana, si chiama Sevil Shhaideh)? Non dobbiamo piuttosto difenderci, cacciando tutti gli immigrati clandestini che sono potenziali terroristi?

 

Chi si pone queste domande, purtroppo cerca le risposte in massima parte su quei giornali e quelle tv che hanno risposte chiaramente orientate alla xenofobia e al respingimento di ogni fedele musulmano. Viene data la parola agli imam (più spesso a pseudo-imam) più ignoranti che ci siano in circolazione, si instilla il sospetto contro ogni musulmano, visto come un potenziale violento, un jihadista in pectore, si scava con malcelata soddisfazione negli atti di delinquenza commessi da persone di religione islamica, si sottolinea la schiavitù morale delle donne…

 

La vicenda di Berlino, e l’attentato commesso da un tunisino di 24 anni – arrivato a Lampedusa da minore, incarcerato in Italia per quattro anni per aver contribuito a una rivolta nella comunità nella quale era stato accolto e per altri reati – parrebbe tipica dell’attuale minaccia terroristica contro l’Europa. Ma attenzione: arrivato come uno sbandato, si è radicalizzato non in moschea ma in carcere, arrivando a minacciare altri detenuti cristiani di fare una brutta fine. Poi la fuga in Germania mentre aspettava l’espulsione, ritardata per via di difficoltà burocratiche con la Tunisia. Infine il contatto con altri estremisti, fino all’attentato. Anis è un “cane sciolto”, anche lui, ed ha un passato torbido e sbandato, come gli attentatori di Parigi, Nizza e Bruxelles. Non pare il membro di una filiera terroristica, tanto meno un affiliato a una cellula del Daesh legata a qualche moschea.

 

Ecco, si critica tanto la costruzione di moschee, e invece il miglior modo per evitare la radicalizzazione dei giovani sbandati provenienti dal Medio Oriente (terra dove milioni di giovani hanno conosciuto solo violenza, soprusi e guerra) è costruire moschee, metterle sotto il controllo sociale di prossimità, esigere una formazione per gli imam come la si chiede ai preti e ai pastori, controllare che gli edifici di culto non siano costruiti col finanziamento di potenze mediorientali, lavorare perché i sermoni (e non la preghiera propriamente detta) siano pronunciati sempre più in lingua italiana, continuare nella via dell’accoglienza di prossimità e di lavoro, evitando ghettizzazzioni pericolose.

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