I paradossi ucraini

Cresce la tensione politica e militare in Crimea e nell’Ucraina orientale. La diplomazia saprà fermare la furia di Putin? L’Ucraina manterrà la sua integrità territoriale?
Marinai ucraini

Tornare da Kiev e non far paragoni non è semplice. La piazza Maidan e i suoi occupanti, i suoi odori, le sue ferite, i suoi colori, le sue nobili aspirazioni, il suo euro-entusiasmo non se ne vanno dalla mente. Mentre le nostre vie paiono asettiche, le aspirazioni minime e consumiste, l’euro-scetticismo impera.

È pure assai diverso parlare di Crimea in Ucraina o qui da noi. Lì è una ferita aperta, la pressione del grande fratello russo onnipresente, a cominciare dal gas che scalda le case nel freddo inverno, per passare alle banche, alle finanziarie, alla presenza di “oligarchi” che fanno soldi a palate, ai condizionamenti politici… Qui al massimo abbiamo un incubo politico-economico, il rischio di venir penalizzati nelle forniture di gas e l’indignazione per il nuovo zar vetero-Kgb. A Kiev è una questione di sopravvivenza, qui è una questione di discussioni politiche.

E intanto Putin ha messo i sigilli su una presenza russa in Crimea che da sempre, sin dal “regalo” fatto da Kruschev all’Ucraina nel 1954, è nei fatti russa al 70-80 per cento. Ma c’è un problema, non tanto la presenza di un 10 per cento di ucraini, quanto quella un po’ più rognosa di un 20 per cento di tatari (con radici turche e religione spesso musulmana) che i russi non li sopportano proprio. Minacce e controminacce, proclami e smentite si susseguono in questa guerra delle parole in cui la menzogna è regina assoluta. Siamo alle guerre di posizione verbale e mediatica.

Nel frattempo l’Est dell’Ucraina, a maggioranza russa, sembra insorgere contro il nuovo corso governativo e la cacciata di Yanukovich, che era di queste parti. Si susseguono le manifestazioni che però non appaiono ancora decisive, poche migliaia di persone non esprimono il parere della maggioranza della popolazione. Se qualche vessillo russo sventola sui pennoni dei palazzi dello Stato, ciò significa ancora poco: il governo centrale ha nominato dei governatori in queste regioni prendendoli tra i potenti oligarchi che hanno una forte influenza in loco. Grazie ad essi spera di riprendere in mano la situazione. Il timore è che le forze speciali russe, che probabilmente sono già in azione, si scontrino con alcune frange dell’estrema destra nazionalista ucraina, già presenti in piazza Maidan (Terza forza e Settore destro), facendo scoccare una scintilla che potrebbe involontariamente accendere l’intero pagliaio ucraino.

Il nuovo governo ucraino, assolutamente inviso a Putin per la presenza di troppi esponenti dell’Ovest del Paese – tra l’altro con un premier, Yatseniuk greco-cattolico! –, non sa che pesci pigliare, e proclama la propria indignazione sapendo che non potrà mai e poi mai contrastare la forza militare russa, con forze armate ridotte, senza più il deterrente nucleare, a cui ha rinunciato nel 1994, e senza quelle forze speciali che sono state sciolte perché interamente filo-russe: non a caso si parla di un migliaio di ex-membri delle Berkut che si sono arruolati nell’esercito russo in Crimea. Il governo ucraino, insomma, deve sbrigarsi nel legittimare la sua nuova polizia e il suo nuovo esercito. Permane, inoltre, il mistero Tymochenko, la dama di ferro che, riacquistata la libertà, non ha il sostegno popolare ma tesse ancora le sue trame che giungono fino a Mosca.

L’Occidente avanza in ordine sparso, tra minacce di sanzioni e dichiarazioni altisonanti che denunciano gli atteggiamenti «d’altri tempi» assunti da Putin. In realtà non si sa molto che cosa fare e si spera – anche se nessuno lo ammette pubblicamente – che Putin si fermi alla Crimea, senza voler incendiare l’Est dell’Ucraina. Magari facendo pressioni economiche sul governo di Kiev per ottenere una maggior autonomia, quasi una indipendenza mascherata, della Crimea in primis, ma anche delle regioni di Odeaa, Kharkiv e Donetsk. John Kerry vola a Kiev, per riparare qualche errore commesso nella gestione della piazza Maidan, sostenuta certamente anche da loro e poi sfuggitagli di mano.

Le prossime 48 ore saranno decisive per capire se la Crimea sarà definitivamente russificata, se l’Est dell’Ucraina s’infiammerà e se la comunità internazionale saprà portare il presidente Putin a più miti consigli. Mentre i ragazzi restano in piazza Maidan, la loro “rivoluzione della dignità” sta attraversando un’altra prova, l’ennesima.

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