I nostri carcerieri

Per gli psicologi, come nasce la sofferenza mentale?. Pierpaolo – Messina ¦ La domanda è molto impegnativa, e necessiterebbe di una altrettanto impegnativa risposta, ma mi limito a raccontare la seguente metafora: Era una delle più grandi tragedie di tutti i tempi. Erano stati imprigionati per un crimine che non avevano commesso. I loro carcerieri si rifiutavano di far sapere loro quale fosse e, ciononostante, li tenevano prigionieri. Certo, i loro bisogni più elementari venivano soddisfatti, ma la loro vita era un vero inferno. Per la maggior parte del tempo erano torturati e trattati orribilmente. Venivano insultati continuamente e accusati di essere dei buoni a nulla. I loro carcerieri facevano in modo che stessero molto male ogni volta che commettevano uno sbaglio. Ogni cosa li riempiva di paura e di angoscia. Divennero insicuri, non sapendo più chi fossero e di che cosa fossero capaci. Passavano il tempo ad autocommiserarsi e a sfogare le loro frustrazioni gli uni sugli altri. Anche quando venivano loro concessi dei momenti di libertà, non si trattava mai di libertà vera. In fondo in fondo, sapevano che presto avrebbero dovuto tornare a soffrire. Così anche la loro salute peggiorava. Molti non riuscivano più a dormire. Si aggiravano, ansiosi, spaventati, stressati e frustrati da ogni cosa. Dunque, chi erano costoro e chi erano i loro carcerieri? Loro erano il genere umano e i carcerieri le loro menti: in sintonia con quanto diceva il grande filosofo romano Epitteto, non sono le cose in sé a farci ammalare, ma le opinioni e i giudizi che abbiamo sulle cose. Un consiglio che si può dare, sempre valido, è quello di coltivare l’ottimismo e un pensiero positivo. pasquale.ionata@tiscali.it

I più letti della settimana

Mediterraneo di fraternità

La forte fede degli atei

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons