I maniscalchi delle foreste.

Facendo attenzione, possiamo cogliere il risveglio canoro legato all’arrivo della primavera. Ma se ascoltiamo meglio, ci accorgiamo che il concerto non è fatto solo di canti. Così come una sinfonia è frutto di diversi strumenti, l’esecuzione agreste è merito sì delle corde vocali delle singole specie, ma non manca l’apporto di note provenienti da colpi… di becco o di coda. Questo strano contributo sonoro ha come artefici alcuni originali maniscalchi adattati non solo all’ambiente della foresta, ma anche alla macchia o al singolo giardino, purché sempre ben alberati. Per svolgere il compito loro assegnato nell’equilibrio naturale, a primavera usano tambureggiare sul materiale più vario, a condizione che l’impatto sonoro lasci percepire una cavità, una presenza d’aria all’interno. Attirati da queste strutture, i picchi non si trattengono dal prodursi in una scarica di colpi su tronchi, rami e cortecce. Ecco quindi che nel fascino di un’alba in ambiente boschivo, tra le melodie di usignoli e capinere percepibili nel folto delle fronde, scoppiettano fra i tronchi le scariche veloci e secche dei percussori musicanti. Sono soprattutto il picchio rosso maggiore e il picchio verde i maestri più tenaci. Il primo, presente un po’ ovunque nella nostra penisola dove vi siano strutture arboree di sufficiente altezza e robustezza cui aggrapparsi, è un frenetico solista. La scarica di colpi è breve, veloce e ritmica. Dopo il primo colpo sferrato con il puntello di zampe e coda sulla corteccia, gli altri seguono velocissimi quasi a rimbalzo in risonanza del primo. Poi attimi di tregua e ripresa della scarica dall’albero accanto o dal vicino tronco secco. Più lenti e radi i tocchi del picchio verde. Di dimensioni più grandi del rosso, non disdegna di accompagnare la percussione con un successivo caratteristico richiamo, una cascata di note rassomigliante a una squillante risata. L’intervallo canoro viene emesso in genere in volo durante lo spostamento tra un tronco e l’altro. Anche il picchio rosso minore si aggiunge al coro. Più piccolo, raro ed elusivo rispetto i precedenti, tambureggia con scariche di battiti più tenui ma non meno veloci di quelli del cugino maggiore. Ama sostare sempre in disparte, nascosto sul lato opposto del tronco rispetto a chi cerca di osservarlo. Meglio non insistere troppo nella ricerca, pena l’allontanamento dell’animale col suo simpatico comportamento: tanto vale quindi semplicemente ascoltarlo. Un altro picchio,ma tale solo per il nome e per la comunanza di nicchia frequentata, cioè il tronco dell’albero, contribuisce alla corale. È il picchio muratore. Parente stretto delle cince, non ha il becco per tambureggiare, ma per usarlo in attività edilizia, naturale s’intende, con tanto di fango e humus. Il contributo sinfonico non è però trascurabile. Supporta il gruppo dei fiati, cioè delle corde vocali. Le sue melodie forti, schiette, ma estremamente variegate, danno un contributo armonico al coro organizzato dai cugini. L’opera dei picchi, maniscalchi di foresta utilizza il mestiere quale strumento di comunicazione. Il tambureggiare per rompere la corteccia alla ricerca di bruchi e larve si traduce pure in un messaggio comportamentale, la scelta territoriale delle singole coppie, ma costituisce anche un contributo per arricchire il fascino e l’armonia di un’alba di primavera in un bosco o in una foresta. PICCHI NOSTRANI Il rosso maggiore è forse il più numeroso tra i picchi che vivono nella nostra penisola. Sono stimate attualmente tra le 10 e le 30 mila coppie. È legato ad ambienti anche non di foresta, ma con presenza almeno di qualche albero con il tronco di diametro superiore a 20 centimetri. Utilizza il tronco per nidificare e per nutrirsi. Lo buca e lo spacca infatti per creare una nicchia interna ove costruire il nido e carpire artropodi forestali suo cibo preferito. Le altre specie sono meno diffuse in Italia e sostanzialmente assenti dalle isole principali. Hanno comportamenti similari al picchio rosso maggiore, ma con alcune diversificazioni di habitat. Utilizzano comunque i buchi dei tronchi per nidificare e le fessurazioni delle cortecce per predare le larve di insetti silofagi.

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