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Italia > Difesa nonviolenta

I corpi civili di pace in un mondo in guerra

di Laila Simoncelli

- Fonte: Città Nuova

Previsti dallo stato dal 2014, ma attivi da 30 anni con Operazione Colomba

Corpi civili di pace Foto APG23

A partire dal riconoscimento dell’obiezione di coscienza al servizio militare e l’istituzione del servizio civile alternativo, avvenuto 50 anni fa con la legge 772/1972, si è fatta strada la consapevolezza che è possibile adempiere al “sacro dovere di difesa della Patria”, definito nell’articolo 52 della Costituzione, non solo con mezzi militari, ma anche con interventi finalizzati alla trasformazione nonviolenta dei conflitti e alla costruzione della pace con mezzi pacifici.

Sono due gli istituti finalizzati a questa funzione: il servizio civile e la sperimentazione dei corpi civili di pace. Il servizio civile, che ha conosciuto in questi 50 anni diverse fasi ed evoluzioni tra cui il passaggio dall’obbligo di leva alla scelta volontaria e l’apertura alle donne, è finalizzato alla difesa civile non armata e nonviolenta mediante attività di natura sociale culturale e politica, utili a trasformare positivamente i conflitti e realizzare condizioni di giustizia e inclusione sociale.

I corpi civili di pace sono una sperimentazione istituita con la legge di stabilità del 2014, che ha autorizzato per la prima volta la spesa di 3 milioni euro annuali (2014, 2015 e 2016) destinato alla formazione e alla presenza di 500 giovani volontari da impegnare in azioni di pace non governative nelle aree di conflitto o a rischio di conflitto o nelle aree di emergenza ambientale.

I corpi civili di pace sono gruppi di operatori civili che intervengono come terze parti, anche a sostegno di attori locali, nella prevenzione e trasformazione dei conflitti, e nella protezione delle vittime del conflitto e dei difensori/e dei diritti umani spesso vittima di attacchi fisici, campagne di diffamazione, arresti, torture, sparizioni forzate o altri tipi di abusi.

Ad oggi sono state realizzate, in ritardo, le prime due annualità, con l’avvio di 228 volontari. La sperimentazione dei corpi civili è stato un passo in avanti verso il superamento della logica per cui la difesa armata è l’unico strumento possibile per la gestione dei conflitti, anche violenti. La costruzione di relazioni positive con la popolazione locale, lo sviluppo e il sostegno di reti, la nonviolenza come fondamento di ogni azione, sono solo alcuni degli elementi positivi sperimentati in questi anni seppur vi sono ancora alcune criticità da superare.

Tra le diverse realtà attive in questo campo c’è la Comunità Papa Giovanni XXIII, operativa fin da subito con la progettazione del servizio civile anche riguardo i corpi civili di intervento attraverso “Operazione Colomba” attiva ormai da 30 anni. Operazione Colomba è nata nel 1992 dal desiderio di alcuni volontari e obiettori di coscienza della Comunità, di vivere concretamente la nonviolenza in zone di guerra. Inizialmente ha operato in ex-Jugoslavia dove ha contribuito a riunire famiglie divise dai diversi fronti, proteggere (in maniera disarmata) minoranze, creare spazi di incontro, dialogo e convivenza pacifica.

In seguito l’esperienza maturata sul campo ha portato Operazione Colomba ad aprire presenze stabili in numerosi conflitti nel mondo, dai Balcani all’America Latina, dal Caucaso all’Africa, dal Medio all’estremo Oriente coinvolgendo, tra volontari e obiettori di coscienza, oltre duemila persone.

A questa si aggiunge la recente presenza civile a cui partecipa con #stopthewarnow, un cartello di associazioni che cercano di promuovere un’alternativa all’intervento militare, restando a fianco alla popolazione civile Ucraina, promuovendo interventi di aiuto umanitario, chiedendo con forza il cessate il fuoco.

Certamente il tempo presente mette in evidenza la necessità di politiche che sostengano tutte le azioni possibili per la pace e a vari livelli, anche affidando ai Ccp o agli enti della società civile, la prevenzione dei conflitti, il mantenimento della pace e la protezione dei civili e ciò, sia preventivamente, che durante il conflitto, e nella fase post con percorsi di rielaborazione e trasformazione del conflitto.

Dall’esperienza maturata in questi anni è emersa la necessità di arrivare a un approccio strutturale nazionale di larga scala per il mantenimento e la promozione della pace, con un nuovo assetto anche dell’organizzazione ministeriale. Da qui la proposta dell’istituzione del Ministero della pace che potrebbe promuovere un nuovo paradigma della sicurezza. Si tratta di sostenere e mettere a sistema le buone pratiche che la società civile ha messo in campo negli ultimi 30 anni, con strumenti e le metodologie che hanno permesso di aumentare i livelli di sicurezza nelle aree di conflitto. Una proposta che nasce dunque dall’esperienza concreta che ha raccolto l’adesione di diverse espressioni della società italiana. Tra queste anche Centro di Ateneo per i Diritti Umani “Antonio Papisca” dell’Università di Padova. Come afferma il suo direttore professor Marco Mascia, «violenza, guerre, terrorismo, riarmo, tendenze autocratiche e dittatoriali stringono sempre più la condizione umana nella morsa dell’insicurezza. Ora si tratta di spezzare questa catena di morte».

 

 

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