Haiti. Caschi blu (quasi) partiti

Dopo tante accuse di abusi, e i permanenti sospetti di ingerenze straniere, il Consiglio di sicurezza Onu ha votato giovedì la fine della missione di pace ad Haiti  
EPA/ORLANDO BARRIA

È da tempo controversa, nei Paesi dove svolgono le loro missioni di pace e in quelli da cui provengono, la presenza dei caschi blu delle Nazioni Unite. Troppe le accuse di abusi di diverso tipo – sessuali inclusi – verso le truppe che l’Onu invia in aiuto ai governi nazionali. Per questo, è stata salutato con soddisfazione il voto unanime dei 15 paesi del Consiglio di sicurezza per la ritirata della Minustah, la missione ad Haiti, dopo 13 anni. Dei circa 6 mila effettivi presenti (1.081 civili), in ottobre rimarranno solo 295 poliziotti, con il compito di supporto alle forze dell’ordine locali nella promozione dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani.

«Se sapessi che una missione di pace dell’Onu stesse per giungere vicino a casa mia, a Chattanooga, prenderei il primo volo per tornare là e proteggere la mia famiglia»,

ebbe a dire recentemente Bob Corker, senatore e presidente della Commissione esteri Usa, in visita al Paese dove sono state presentate ufficiosamente (molte di esse sono state raccolte dalle Ong o dalla stampa, e in modo anonimo), oltre 2 mila denunce di violenze sessuali – spesso in cambio di cibo – a militari di sette Paesi in missione di pace. Grande scalpore aveva suscitato a suo tempo la conferma dell’epidemia di una mortale forma di colera propagatasi a causa dell’irresponsabilità del contingente nepalese, giunto ad Haiti nel contesto del rafforzamento della missione Onu dopo l’apocalittico terremoto che prostrò il Paese nel 2010.

La Minustah si attivò nel 2004 per sostenere la stabilizzazione politica dopo il colpo di Stato che depose l’allora presidente Jean-Betrand Aristide.

A quell’epoca, lo sbarco sull’isola di un contingente di 22 mila militari Usa giunti per scopi umanitari e per iniziativa governativa unilaterale del loro governo in 58 aerei e 15 navi provocò l’indignazione popolare e le proteste di vari governi latinoamericani, memori della prima invasione statunitense del 1914.

Quindi il presidente Woodrow Wilson prese il controllo della Banca Centrale di Haiti attraverso un invio di truppe, col pretesto di ritirare 500 mila dollari per “custodirle” a New York.

La forte dipendenza dagli Usa, per motivi strategici militari ed economici, cominciò proprio allora. In seguito, venne cambiata la Costituzione, per permettere a stranieri la proprietà di aziende locali. Le truppe, il cui aiuto fu determinante dopo il passaggio dell’uragano Matthew, sono ancora presenti in numero imprecisato sull’isola, e sono tuttora estranee alla missione Onu.

La stessa Onu, dopo la pioggia di denunce provenienti non solo dalla poverissima isola caraibica, ma anche dalla Repubblica del Congo e dal Centrafrica, contro militari e poliziotti di ben 21 Paesi (tra cui tre europei), ha istituito una commissione d’indagine nel cui rapporto preliminare di giugno 2015 si legge: «Le prove in due Paesi con missioni di pace dimostrano che il sesso “transazionale” è abbastanza comune, ma non viene denunciato» per timore di rappresaglie.

Ad aggravare la situazione delle vittime è lo status legale dei membri civili e militari delle missioni di pace, per le quali non risponde l’Onu, ma i governi che li inviano. E che spesso – specie in ambito militare – minimizzano i fatti e non incriminano nessuno. Tra le poche eccezioni, quattro militari uruguayani accusati di stupro, condannati nel loro Paese semplicemente per “violenza privata”, un capo d’imputazione leggero, poiché, dissero le autorità, si era trattato di uno scherzo che era degenerato, ma senza violenza sessuale.

L’avvocato haitiano Mario Joseph lavora per ottener un indennizzo per le vittime dell’epidemia di colera citata che, secondo alcune stime, ha provocato 10 mila vittime. Attualmente, Joseph cerca di assicurare l’erogazione di somme sufficienti per il sostegno di una decina di donne che i caschi blu hanno lasciate incinte.

«Immaginatevi se l’Onu inviasse caschi blu negli Stati Uniti, violasse minorenni e portasse lì il colera», ha dichiarato l’avvocato all’agenzia Ap. «I diritti umani non sono solo per persone bianche ricche», si è lamentato.

Due casi sono stati divulgati da Human Rights Watch. Una quattordicenne centrafricana ha raccontato: «Passavo dalla base dell’aeroporto della missione di pace quando due soldati armati mi hanno attaccato. Uno di loro mi ha bloccato mentre l’altro mi ha strappato i vestiti». Mentre una diciottenne è stata stuprata quando si è rivolta a una base dei Caschi blu nella Repubblica Democratica del Congo per chiedere da mangiare: «Tre uomini armati mi si sono gettati addosso e mi hanno detto che se li avessi denunciati mi avrebbero ammazzato. Mi hanno violentato uno a uno».

Bene, allora, la partenza dei caschi blu da Haiti, ma non per questo si può condannare senza raziocinio un’operazione di peace-keeping che tanto bene ha fatto e ancora fa, evitando spesso migliaia e migliaia di morti.

 

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