Gui, in Europa oltre alla solidarietà ci vuole la responsabilità.

Il parere del’economista Benedetto Gui, professore di Sophia: nel momento in cui l’Italia ha un estremo bisogno dell’aiuto economico dell’Europa è necessario fare autocritica e cercare di capire anche il punto di vista dei nostri partner d’Oltralpe
Filippo Attili/Palazzo Chigi/LaPresse

Sulle imminenti decisioni che è chiamato a concordare l’Eurogruppo nell’incontro del 7 aprile per rispondere alla gravissima crisi provocata dalla pandemia da coronavirus abbiamo chiesto il parere del professor Benedetto Gui

Professore, per spiegare il rapporto dell’Italia con i paesi del Nord Europa, lei cita spesso “il dilemma del Samaritano” dell’economista Buchanan. Cosa c’entra con la situazione estrema che ci troviamo ad affrontare?
In un suo scritto del 1975 James Buchanan, fondatore della Scuola di Public Choice alla University of Virginia e poi premio Nobel per l’economia, mette a nudo uno degli aspetti più delicati delle relazioni di aiuto a partire da un esempio che assomiglia molto alle questioni europee di oggi. Uno squattrinato sta per accettare, per necessità, un lavoro scomodo. Sapendo però che una persona benestante sarebbe disponibile ad aiutarlo se lo vedesse in difficoltà, decide di rifiutare il lavoro. A questo punto il “samaritano” (così lo chiama Buchanan) si trova in un bel dilemma: “Se lo aiuterò, non farò altro che avallare e incoraggiare il suo comportamento opportunistico; ma se non lo aiuterò, sarà alla fame lui e sua famiglia”.

Siamo noi i potenziali opportunisti?
Lo stato italiano, anche lui sempre a corto di quattrini, dopo un decennio di una crisi particolarmente pesante nel 2018 iniziava a rimettersi faticosamente in equilibrio. A quel punto si è proposta la scelta: tenere sotto controllo i conti pubblici, cosa sempre penosa, o tornare ad appesantirli lanciando nuovi grandi provvedimenti di spesa?

E come è andata a suo parere?
Gli italiani scelsero ancora una volta la seconda strada, con il risultato di far crescere ulteriormente il debito dello Stato, portandolo ancor di più sul filo dell’insostenibilità. L’ultimo tragico atto è l’arrivo dell’epidemia da coronavirus, che per le finanze pubbliche è una di quelle emergenze per le quali un Paese responsabile dovrebbe tenere sempre a disposizione un ampio margine di manovra finanziaria. Sono momenti, infatti, in cui lo Stato deve spendere, e molto.

Gli altri Paesi lo stanno facendo infatti..
La Germania, avendo un debito pubblico contenuto, può permettersi di prendere provvedimenti di aiuto alle imprese e alle famiglie per oltre 1.000 miliardi di euro (il 35% del Prodotto Interno Lordo), senza dover chiedere concessioni alla Commissione Europea, né trattamenti di favore alla Banca Centrale Europea. Non molto diversa è la situazione di altri Paesi come l’Olanda, la Finlandia e l’Austria. Certo, si tratta di Paesi ad alto reddito e con finanze pubbliche più solide, mentre nessuno può pensare che l’Italia di oggi possa fare altrettanto. Ma se già al primo provvedimento di spesa, pari a poco più dell’1% del Prodotto Interno Lordo (PIL), si trova a dover chiedere l’aiuto delle istituzioni europee…

Si spiega in tal modo, a suo giudizio, la resistenza dei Paesi nordici verso le richieste italiane di uno speciale intervento europeo?
Questo certamente contribuisce. Se io fossi uno di loro qualcosa da ridire ce l’avrei. “Non più di due anni fa eravate già ai limiti, avevate già una delle spese pensionistiche più alte al mondo, eppure avete impegnato una ventina di miliardi per mandare gente in pensione a 62 anni quando da noi ce ne vogliono 65 o più. Liberi di farlo tagliando altre spese. Su oltre 800 miliardi di spesa pubblica corrente non dovrebbe essere impossibile, ma voi avete preferito farlo a deficit e adesso che è arrivata l’emergenza ci dite che lo Stato italiano non ha più la possibilità di spendere neanche un euro. E quindi che i soldi devono saltare fuori – dal primo all’ultimo! – dall’una o dall’altra istituzione dell’Unione, con la nostra garanzia? Prima vi comportate da incoscienti e poi venite a battere alla cassa comune con grandi appelli alla fratellanza europea!”

Non le sembra di esagerare nell’incolpare noi stessi?
Mi permetta di aggiungere un altro dato. La ricchezza media netta pro capite delle famiglie italiane è superiore a quella della Germania, o dell’Olanda, o della Finlandia, e complessivamente vale la bellezza di 10.000 miliardi. E a fronte di un debito pubblico che viaggia verso il 2.500 miliardi gli italiani hanno un ammontare quasi doppio di ricchezza finanziaria (depositi bancari, azioni, titoli…), e poi oltre 5.000 miliardi in abitazioni, terreni…

Una bella contraddizione vista da questa prospettiva…
Sì. La nostra amministrazione pubblica sempre in deficit e quindi con sempre più debiti, mentre noi, in quanto cittadini, mettevamo da parte ricchezza privata (parlo nell’aggregato, naturalmente, perché nella ricchezza c’è ancora più disuguaglianza che nel reddito). È un po’ come se lo squattrinato di Buchanan in cerca di beneficienza fosse un capofamiglia con le finanze al tracollo perché incapace di convincere i suoi figli, che vivono in casa con lui, a tirar fuori dai loro stipendi una cifra sufficiente a pagare l’affitto, le bollette e i pasti della famiglia. Una strana solidarietà questa tra gli italiani, scaricata sulle generazioni future, o magari anche su qualcun altro.

Da quello che dice, se non scatta una solidarietà interna, non resterebbe altro che una tassa patrimoniale sulle grandi ricchezze?
No, non penso ad una patrimoniale. Ma solo perché è difficile farla bene: chi ne ha la possibilità scapperebbe, molta gente ha delle proprietà ma non avrebbe soldi liquidi per pagarla, il nostro catasto è inadeguato, ecc… Però, mentre chiediamo  l’aiuto europeo dobbiamo fare la nostra parte e tagliare con più decisione sprechi, regalie e spese non prioritarie, perché mai come oggi ci sono necessità estremamente serie e urgenti. I tagli, come quel famoso ricalcolo delle “pensioni d’oro”, vanno fatti proprio nei momenti di emergenza…

Ma così non si avalla la solita distinzione che si fa in Europa tra partner cattivi (tra cui l’Italia) e partner bravi più a Nord?
Le cose sono sempre più complesse di come appaiono. Le descrizioni troppo facili di non reggono. Alcuni Paesi del Nord Europa si avvantaggiano indebitamente attraendo le nostre imprese con trattamenti fiscali di favore. Altri continuano ad esportare molto, troppo di più di quanto importano, violando una delle clausole dei trattati vigenti. Resta però il fatto che la solidarietà europea, di cui c’è un estremo bisogno, non la si fa pretendendo che a fare dei passi sia una parte sola, quella dei Paesi più forti. Oggi a loro è chiesto di condividere i costi di una crisi che sì riguarda tutti, ma mette in difficoltà ancora una volta soprattutto i Paesi più deboli. Questa condivisione è assolutamente necessaria nel momento presente e, per fortuna, un po’ alla volta si sta concretizzando; ma da parte degli altri – e qui penso molto all’Italia – deve esserci altrettanta responsabilità, oltre che qualche esame di coscienza.

Concretamente cosa significa?
Questo è il momento, da un lato, di aprire i portafogli anche a casa nostra e, dall’altro, di prendere seri impegni, prima di tutto morali, di tenere comportamenti fiscali responsabili. Impegni, intendo, con chi oltre le Alpi oggi ci sta dando fiducia. Perché finora ogni volta che siamo a tornare a galleggiare dopo una crisi abbiamo risolto le nostre dispute interne sul bilancio dello Stato aumentando il deficit. A differenza, per esempio, del Belgio, che prima dell’avvio dell’euro aveva un debito pubblico oltre il 130%, peggio di noi, e ora è fuori pericolo. Solo affiancando la responsabilità alla solidarietà potranno via via crescere la fiducia reciproca e, per tutti, i benefici dell’Unione.

Questa intervista rientra nel quadro di un dibattito aperto sulle consegenze economiche della pandemia da coronavirus. Leggi qui gli altri contributi 

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