Guerra commerciale Usa-Cina?

L’annuncio di dazi su importazioni dalla Cina per un totale di 60 miliardi di dollari da parte dell’amministrazione Trump ha suscitato reazioni nell’ambiente economico e commerciale. Ma Pechino non ha ancora risposto
EPA/JIM LO SCALZO

I quotidiani nazionali e esteri riportano, da circa due settimane, il dibattito in corso su dazi doganali minacciati dagli Usa ad alcune nazioni, soprattutto la Cina. Gli Usa da sempre sono gli alfieri di un’economia liberale, del libero scambio, favorendo i loro prodotti di alta qualità in uscita e al tempo stesso applicando restrizioni sui prodotti di minor qualità in entrata.

Ma da decenni scorsi, per ragioni commerciali e talvolta politiche, non poche aziende statunitensi hanno trasferito la loro produzione in Cina, trovando l’ovvio vantaggio di far produrre i loro prodotti da lavoratori cinesi pagandoli meno della metà di quanto avrebbero pagato in madre patria. Ma non è stata la sola ragione. La Cina, più di ogni altro Paese sulla terra, ha fortemente investito in infrastrutture, vale a dire in porti, aeroporti, strade, autostrade, reti internet, sale per confernenze e fiere internazionali, alberghi e quant’altro possa essere necessario per agevolare il commercio internazionale.

Un esempio? Un container che parte da una fabbrica situata a Shanghai viene imbarcato in pochissime ore sulla nave oceanica per la sua destinazione in Europa o Usa. Oppure si vuole inviarlo in Germania via treno? Senza problema, anzi, e l’arrivo a destianzione sarà più veloce ancora. Ed i container che arrivano dall’estero per aziende e consumatori cinesi? In poche ore possono essere scaricati e consegnati a destinazione in qualsiasi città cinese, con procedure doganili tra le più veloci al mondo. Sono in effetti circa 130 i porti cinesi aperti a navi che provengono dall’estero (la Cina ha un totale di 2 mila porti) e ne ricordiamo solo alcuni, annoverati tra I 50 porti migliori al mondo: Shanghai, Shenzhen, Qingdao, Tianjin, Guangzhou, Xiamen, Ningbo e Dalian. La Cina è in effetti diventato un ottimo mercato per molti prodotti statunitensi, tra cui frutta secca, soia (di cui la Cina è il più grande consumatore al mondo), gli aerei Boeing, i jeans Levi’s… La capacità di acquisto dei consumatori cinesi fa letteralmente gola a qualsiasi azienda nel mondo per la vastità del suo mercato.

Al momento, per dare un altro esempio delle correlazioni sino-statunitensi, circa un quinto del debito statunitense detenuto da Paesi esteri è nelle tasche cinesi: 1,17 trilioni di dollari, cioè 1.170.000.000.000 di dollari. Ed è destinato ad aumentare. La Cina vorrebbe importare molto più meteriale altamente tecnologizzato dagli Usa, il che aiuterebbe a diminuire il debito; ma gli Stati Uniti non vogliono esportare tali prodotti verso la Cina, per paura di essere col tempo “copiati” e, più grave, “sostituiti” da prodotti autoctoni cinesi. È la storia che lo dice. Allora, che cosa suggeriscono gli Usa alla Cina per diminuire il debito commerciale? Di sostituire il gas liquido russo – la Cina ne consuma immense quantità – con quello a stelle e strisce, salvo considerare il dettaglio che Mosca vende a prezzi molto più bassi di Washington. Tanto più che la Russia lo consegna via gasdotto. Anche l’Unione Europea è sempre più dipendente dal gas naturale liquido russo per il suo riscaldamento e per le sue industrie. Tra il resto, la Cina ha già firmato contratti miliardari sia con la Russia ed altri Paesi per quanto riguarda il gas naturale liquido. La Russia, attraverso la Gazprom, sta costruendo un centro di produzione a Kovyktinskoye, che sarà unico al mondo nel suo genere, con riserve di gas per 2,7 trilioni di metri cubi di gas e con gasdotti che da lì partono proprio per la Cina: la Gazprom ha già in atto un contratto di 30 anni con l’azienda statale cinese, la China National Petroleum Corp, per 1,3 trilioni di metri cubi di gas liquido naturale all’anno. La Russia fornisce l’Unione Europea e la Cina, suscitando non poche gelosie anche a livello politico. La Terza guerra mondiale non viene giocata solo con le truppe al suolo e coi bombardieri, ma anche ai tavoli economico-commerciali.

Allora, cosa risponderà la Cina a Trump per i 60 miliardi di dollari di dazi annunciati? I prossimi giorni ce lo diranno. Non saranno parole dolci.

 

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