Guatemala: quando l’ingovernabilità fa comodo

Presidenti che obbediscono come marionette ai centri di potere, povertà endemica, disuguaglianze, uragani e pandemia compongono il quadro di una democrazia instabile come quella guatemalteca e di vari Paesi centroamericani
Proteste in Guatemala (AP Photo/Moises Castillo)

Sono passati appena dieci mesi da quando Alejandro Giammattei è stato eletto presidente del Guatemala e già se ne chiedono – forse a ragione – le dimissioni. Le proteste sono esplose, soprattutto nella capitale, con l’approvazione del bilancio 2021, ottenuta in sordina e senza comunicare il testo a tutti i gruppi parlamentari. La presenza di voci destinate ad opere infrastrutturali tagliando fondi a scuola, politiche sociali e sanità, in piena pandemia, hanno scatenato le proteste nelle piazze.

Le manifestazioni convocate dalla società civile sono state pacifiche, ma l’apparizione di provocatori ha provocato incidenti e una brutale repressione da parte della polizia. Per cercare di calmare le acque, il Parlamento ha annullato il bilancio.

Alejandro Giammattei, presidente del Guatemala (AP Photo/Rebecca Blackwell)

Il metodo di destinare risorse ad opere pubbliche si è spesso rivelato una prassi per alimentare mazzette e bustarelle ai danni dell’erario, il che spiega la protesta, tanto più che essa era stata preceduta da recenti scandali, quali l’ammissione del governo di aver perso le tracce di 17,5 milioni di dollari, mentre nella casa di un ex ministro sono state sequestrate valige con ben 15,7 milioni di dollari.

A chiedere le dimissioni di Giammattei è stato anche il suo vicepresidente, Guillermo Castillo, la cui alleanza è in crisi. Castillo, che ha denunciato di essere stato tagliato fuori dalle decisioni politiche, propone di rinunciare insieme alla presidenza oppure di riprendere insieme le redini della situazione per affrontare i problemi del Paese.

Ma l’attuale crisi politica è la continuazione di una “democratura” controllata da centri di interessi settoriali che agiscono in sintonia con i militari e con i settori nostalgici della dittatura, che usano il governo per difendere i propri privilegi. L’attuale presidenza fa seguito ai 4 anni di insulsa gestione del presidente Jimmy Morales, in odore di corruzione, e del suo predecessore, Otto Pérez Molina, sotto processo per la stessa ragione insieme alla sua vicepresidente Roxana Baldetti.

Nel frattempo, troppe persone vivono in una povertà che non viene affrontata nelle sue cause. Secondo la Cepal, l’agenzia economica ONU per l’America Latina, il 60% dei 17 milioni di abitanti del Guatemala vive sotto la soglia di povertà, e di questo numero il 21% è indigente. E come spesso accade la povertà si nutre di disuguaglianza, che in Guatemala è elevata. L’1% più ricco, secondo la ong Oxfam, ha un reddito equivalente a quello di metà della popolazione. I super-ricchi, 260 persone circa, controllano il 56% del Pil nazionale. Le politiche neoliberali hanno fatto il resto, riducendo il ruolo dello Stato ai minimi termini: il 73% degli studenti sono alunni di istituzioni private di dubbia qualità. Anche l’educazione diventa un affare a queste latitudini.

Gli uragani Eta e Iota hanno aggiunto scempio ad una situazione sociale già aggravata dalla pandemia, provocando danni a un milione e mezzo di persone, e provocando 200 mila sfollati.

Il governo aveva ottenuto aiuti internazionali per soccorrere le economie famigliari compromesse dalla crisi suscitata dal Covid-19. Ma alla fine la somma promessa è stata minore, e spesso è giunta nelle mani sbagliate. Giammattei pare che non abbia chiara neppure la mappatura della povertà nel Paese. È un classico dei politicanti che arrivano al potere esibendo formule scontate, per poi fallire cadendo in un’ingovernabilità che fa comodo ai centri di potere, perché non consente di intervenire e di cambiare anche solo qualcosa.

Dei protestanti provano a capottare un bus fuori dal Palazzo nazionale (AP Photo/Moises Castillo)

E se la vita nei centri urbani non è facile, nelle zone rurali, dove lo stato arriva ancora meno e la delinquenza spadroneggia, è anche peggio. Per troppa gente, l’unica alternativa è quella di emigrare illegalmente negli Usa. Un viaggio della disperazione simile a quello di chi dalla Libia si affida ad un barcone di scafisti per raggiungere le coste europee. Nel caso guatemalteco, i migranti dovranno percorrere 1.700 o 2.000 km, attraversando tutto il Messico da sud a nord, spesso diventando preda di trafficanti e di persone senza scrupoli. Un dramma condiviso anche dalle popolazioni di Honduras, El Salvador e dello stesso Messico. Una regione dove è urgente riconoscere l’emergenza umanitaria ed intervenire con piani di sviluppo che offrano alternative ai viaggi della speranza che nascono dall’instabilità.

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