Gli incantesimi di Haendel

L 'Alcina, opera del celebre musicista G. F. Haendel, al Teatro alla Scala di Milano.
Musica Classica

Anno 1735. Al Covent Garden a Londra, Haendel mette in scena la prima rappresentazione di Alcina. È un trionfo. La musica è bella e tuttora, riascoltandola, si mettono da parte i pregiudizi che vogliono le opere “barocche” sospirose, interminabili nei “da capo” delle arie, separate rigidamente dai “recitativi accompagnati” da cembalo e violoncello. Si pensa a rappresentazioni statiche, immerse in scenografie fastose come i gorgheggi implacabilmente lunghi dei cantanti.

Insomma, altra cosa, dal teatro musicale romantico o novecentesco, diretto, affilato, mosso, cui siamo abituati. Invece, l’Alcina data alla Scala sfata il pregiudizio. La vicenda, tratta dall’Orlando furioso dell’Ariosto, è nota: la maga, nuova Circe seduttrice degli uomini, si prende anche l’eroe Ruggero che tuttavia, grazie agli amici, se ne libera, ridiventando da amante il guerriero di sempre. Così la maga precipita col suo mondo fatuo nel nulla da cui è uscita, nel consueto lieto fine di matrice illuminista.

 

Nell’edizione scaligera, importata dall’Opéra parigina, la regia del canadese Robert Carsen, collaborato per le scene e i costumi da Tobias Hoheisel e per le coreografie da Philippe Giraudeau, ha attualizzato il racconto ai nostri giorni. Ha collocato entro una unica scena semovente, di un candore neoclassico, i personaggi con Alcina e la sua “corte”: gli uomini ridotti a nulla, ignudi come larve, o in stato semincosciente – il coro – che appaiono e scompaiono a seconda dei momenti. Non si può negare un accento di sensualità nella messinscena, corrispondente al “tono” musicale dell’opera in tre atti. Gli “affetti” – sdegno, collera, passione, dolcezza, malinconia – si susseguono come quadri ben incorniciati l’uno dopo l’altro, con melodie ricche di fantasia, di agilità, e con colori musicali che ricordano le tinte vellutate dei dipinti del Tiepolo o di Boucher. Ma Haendel non esaspera mai i sentimenti, li esprime – gli archi e i flauti dolci, in particolare – con svettante purezza, aprendoli e chiudendoli con misura, così che ogni “aria” è rifinita e conclusa in sé stessa, pur essendo collegata con ciò che precede o che segue.

 

Insomma, Alcina è un miracolo di equilibrio, di poesia amorosa, di emozioni controllate, ma vere. La direzione di Giovanni Antonini, dal gesto ampio e comunicativo, ha ottenuto dall’orchestra suoni tenerissimi e caldi, mentre il cast contava sulle seducenti voci di Anja Harteros (Alcina) e di Monica Bacelli (Ruggero). Molto ben preparato il coro diretto da Bruno Casoni in uno spettacolo che, forse con qualche sottolineatura di troppo nel personaggio di Morgana o nelle scene d’assieme, pure rendeva palpitante, nell’attualità, i momenti della scelta tra passione e virtù: serena sempre, come vuole Ariosto e, dietro a lui, Handel. 

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