Gli argomenti del dibattito

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DIFESA DELLA VITA E PRINCIPI DI DEMOCRAZIA ALLARGARE LA BASE COMUNE DELLA DEMOCRAZIA Il credente appartiene alla medesima società politica di colui che ha una fede diversa e del non credente: ciò che tutti loro hanno in comune non è la fede, ma un insieme di princìpi sui quali si regge lo Stato democratico. Se io, cattolico, voglio dialogare con chi non lo è, devo utilizzare non argomenti di fede – che non sono condivisibili da tutti – ma argomenti di ragione, sui quali tutti possono convenire. A fondamento di tale scelta sta la convinzione che un principio, se è davvero cristiano, è anche profondamente umano. Il punto, di capitale importanza, è che non vengano smarriti i princìpi che stanno a fondamento dello Stato. I sostenitori dei referendum sembrano avere perso di vista il nucleo centrale di diritti che lo Stato deve riconoscere ai cittadini, impegnandosi a tutelarli; e cercano di estendere arbitrariamente il concetto di diritti anche ai desideri che possono sorgere nei cittadini, e che crescono a mano a mano che crescono le possibilità messe a disposizione dalle conquiste della tecnica. È così, ad esempio, che il desiderio di un figlio diventa un diritto. Poco importa se, per realizzare tale desiderio, si distruggono embrioni, cioè si nega il diritto di nascita del concepito. La domanda centrale è questa: quali sono i princìpi – e i diritti riconosciuti – che i cattolici e i non cattolici devono avere in comune per convivere – come cittadini – nella stessa società politica? Questi princìpi, generalmente, sono contenuti nella Carta costituzionale sulla quale si regge lo Stato, e compongono quel nucleo di valori condivisi che fanno da fondamento alla democrazia: il parlamento, nella sua attività ordinaria, deve infatti decidere in base alla maggioranza, ma nel rispetto dei princìpi costituzionali. La discussione suscitata dalla legge sulla procreazione artificiale concentra l’attenzione proprio su questi princìpi, cercando di metterne in evidenza i contenuti. È un classico caso di discussione civile, cioè di confronto, tra cittadini, in merito ai fondamenti dello Stato; un confronto che dovrebbe essere costante, perché la democrazia ha bisogno di rimettere continuamente a fuoco i propri fondamenti. Essa infatti è un processo che, applicando la regola della maggioranza, è in grado di cambiare anche i propri princìpi fondativi, e questo non può avvenire senza un grande dibattito culturale, che non può rimanere all’interno del parlamento, ma deve coinvolgere tutto il Paese. Il rischio attuale consiste in questo: che, dando ai desideri, per legge, la dignità dei diritti, si scardinino i princìpi comuni. Al contrario, il patrimonio comune della nostra società politica dovrebbe essere approfondito e allargato, per costruire un fondamento sempre più solido di fronte alle sfide che i prossimi anni ci porranno. La prossima rivoluzione industriale, infatti, avrà molto a che fare con l’ingegneria genetica; le passate rivoluzioni (prima il vapore, poi l’elettricità, l’energia atomica, la rivoluzione informatica) hanno posto problemi vastissimi, in ordine alla giustizia sociale, all’organizzazione del lavoro, ai danni ambientali: la rivoluzione genetica porrà, prima di tutto, problemi bioetici, riguardanti la natura e l’identità dell’uomo, il suo modo di nascere e di morire: e anche questi sono problemi di giustizia. Pensiamo davvero di poter affrontare questa sfida insieme, cioè come società politica, adottando il principio che ognuno possa fare tutto ciò che la tecnica gli mette a disposizione e che il suo portafogli è in grado di comprare? Il nostro sforzo dev’essere quello di ragionare sui princìpi comuni, coinvolgendo tutti: cerchiamo così di allargare la base comune della democrazia, di costruire una maggiore unità sui motivi per i quali siamo una società politica, di tirare le conseguenze dal fatto che il contratto sociale ha natura pubblica e non privata, e che dunque ha come fine il bene comune e non la soddisfazione dei desideri individuali. In questo tentativo, si incontra il consenso di molti non cattolici, sulla base della comune cittadinanza e, più profondamente, della comune umanità. DIFESA DELLA VITA E NATURA DELLO STATO Un aspetto che viene sempre coinvolto nelle leggi che riguardano il diritto alla vita (aborto, eutanasia, procreatica), e che, se male inteso, rischia di introdurre profonde degenerazioni nella coscienza pubblica, riguarda il senso dello Stato. Ricordiamo che cosa c’è all’origine dello Stato: un elemento fondamentale è la volontà dei cittadini di stringere un patto, o contratto, con tutti gli altri. Chi nasce, nasce in uno Stato già costituito, ma viene il momento, nella vita del cittadino, in cui le circostanze lo portano a sceglie- re, cioè ad accettare consapevolmente, o a rifiutare, il contratto sociale e politico. Perché si stringe il contratto? Una motivazione su cui tutti sono d’accordo, dai tempi di Hobbes in poi, è che i cittadini stringono il contratto per mettere in salvo la propria vita, per sottrarsi alla legge del più forte, attribuendo allo Stato il monopolio dell’uso della forza. La prima legge dello Stato è il contratto stesso, e riguarda la salvaguardia della vita dei cittadini. Nessuna maggioranza, sosteneva Benjamin Constant, può disporre della vita dei cittadini; dunque, nessuna maggioranza può mettere in discussione questa legge fondamentale, a meno che non si voglia mettere in discussione l’esistenza stessa dello Stato, della realtà politica. Per questo, ogni qualvolta siamo alle prese con una legge che riguarda la vita, noi siamo messi di fronte alla domanda sulla natura stessa dello Stato, e ci chiediamo, appunto, che tipo di Stato vogliamo. E noi vogliamo uno Stato che – coerentemente con la propria origine – si fermi di fronte alla percezione di qualcosa di infinito e misterioso che si nasconde dentro ogni esistenza, e che dunque riconosca il proprio limite e scelga di non diventare mai uno Stato tiranno. Questo Stato vede con chiarezza il proprio compito, la propria natura di strumento nei confronti del bene comune di tutti i cittadini che lo costituiscono: e il primo bene è la vita. LA DIFESA DELLA VITA CREA IL RAPPORTO FIDUCIARIO CON LO STATO Difendere il cittadino fin dal momento del concepimento, è una scelta razionale, motivata dal fatto che non esistono argomenti sufficientemente validi per stabilire che un cittadino va difeso solo a partire dal momento della nascita: il neonato è forse sostanzialmente diverso da quello che è un’ora prima, mentre sta per uscire dal grembo materno? E non è forse lo stesso soggetto che interagisce con la madre durante tutto il periodo della gravidanza? Ad esempio, quando, durante una gravidanza, a noi genitori viene detto che esiste il pericolo di un distacco placentare, la madre si deve mettere a riposo, e assumere farmaci per evitare di perdere il bambino: quando lo aspettiamo, sappiamo di aspettare un bambino, e la nostra attesa è affettiva e razionale; eppure, il bambino è grande come una capocchia di spillo. C’è dunque una profonda razionalità alla base della scelta dello Stato di difendere il concepito e di impedire la manipolazione e l’utilizzo – comunque motivato – degli embrioni. È una razionalità naturale, quella dei genitori, che diviene razionalità politica. Il senso dello Stato si nutre infatti di un rapporto fiduciario tra Stato e cittadini, che le leggi anti-vita rischiano di incrinare perché minano la natura e la qualità della convivenza civile, del legame politico che ci costituisce cittadini. Quando si parla di cittadini non manca mai chi ci ricorda che, in numerose legislazioni, l’embrione non ha personalità giuridica, cioè non è riconosciuto come cittadino. Gli embrioni sono, però, per così dire, cittadini potenziali: ognuno di noi ha attraversato questo limbo giuridico, prima di venire riconosciuto dal diritto. La legge 40/2004 riconosce i diritti di questo soggetto che ancora deve nascere; i referendum vogliono invece negarne i diritti: ed è un errore, perché così si sceglierebbe di riconoscere un soggetto non quando esso è tale, fin dal concepimento, ma a partire da un momento arbitrariamente stabilito. È una scelta pericolosa anche politicamente. Infatti, essa introduce un principio di arbitrarietà nel riconoscimento dell’esistenza e di tutti i diritti che vi sono collegati. Se si percorre questa strada, se si stabilisce – senza alcuna base scientifica o almeno razionale – arbitrariamente, che la dignità di un essere umano gli deve essere riconosciuta da un certo momento in poi, ogni altro arbitrio diviene possibile. Non tutelando la vita, si mina l’idea stessa di diritto, arrivando a riconoscerlo solo a chi ha la forza per imporlo: ma se è necessaria la forza, non è più un diritto; se serve la forza, non siamo più in una comunità politica. Le leggi che difendono la vita attingono alla profondità del motivo per cui siamo una società politica: difendono il diritto di vivere insieme, difendono l’idea che nella vita sociale, prima del sospetto viene la fiducia, e di tale fiducia lo Stato si fa garante. Le leggi sulla vita devono diffondere un senso di fiducia tale che il singolo cittadino – nonostante, da adulto, in qualche momento, possa avere l’impressione che lo Stato compia degli errori in determinati campi di attività: nel fisco, nelle pensioni, nei servizi pubblici, ecc. – mantenga la sua fiducia nello Stato, perché potrà dire: Questo Stato, quando fui concepito, quando non potevo alzare la mia voce, questo Stato mi ha difeso. SALVIAMO I DIRITTI UMANI UNA LEGGE CHE DIFENDE POSITIVAMENTE I DIRITTI UMANI La legge 40/2004 viene presentata dai suoi avversari come fosse soltanto un lungo elenco di divieti. In realtà, vietare le pratiche lesive del diritto alla vita, e della dignità della persona, della coppia e della famiglia significa orientare verso i comportamenti rispettosi dei diritti umani. È questo il contenuto positivo della legge, che ha anche una funzione educativa e di indirizzo verso i comportamenti più responsabili da parte della coppia, che è sollecitata a considerare non solo il proprio desiderio di avere un figlio, ma soprattutto il diritto del bambino di contare su una paternità e maternità certe. CONTRO LA DE-UMANIZZAZIONE,PER LA VERA MODERNITA’ Coloro che sostengono la possibilità di compiere esperimenti sugli embrioni, di utilizzarli a scopi terapeutici, di distruggerli, sostengono che l’embrione non è un soggetto umano o, se lo è, non ha il valore del nato e dell’adulto. Quando si introduce una gerarchia di dignità e di importanza all’interno della vita umana – e si arriva ben presto a sostenere che un soggetto è meno uomo di altri -, si attua il procedimento della de-umanizzazione, noto agli psicologi: abbassiamo la dignità umana del nostro avversario per ottenere una giustificazione ad attaccarlo o a distruggerlo. Se, infatti, i nostri interessi e la nostra aggressività si rivolgessero contro qualcuno che ha la nostra stessa dignità, l’opinione pubblica ci disapproverebbe e ci farebbe smettere. Se invece riusciamo a convincere gli altri che il nostro nemico, o colui sul quale interveniamo, è meno umano di noi, che è una quasi-persona o una non-persona, allora otteniamo via libera. La de-umanizzazione ha avuto importanti applicazioni storiche: è il procedimento normalmente messo in atto dai regimi autoritari o dittatoriali del Novecento per perseguitare le minoranze: fu utilizzato contro gli zingari e gli ebrei, contro i portatori di handicap; anche ai tempi della schiavitù l’elemento fondamentale era convincere della non umanità dello strumento-schiavo; il contesto è certamente diverso, ma il procedimento di de-umanizzazione è lo stesso: la moderna ideologia individualistico-tecnologica lo utilizza per poter disporre a piacimento delle persone non nate. È ciò che iniziò a fare la commissione inglese presieduta da Warnock quando degradò artificiosamente l’embrione umano, sostenendo che nei primi quattordici giorni esso sarebbe, sì, un essere umano, ma di secondo grado e, di conseguenza, disponibile per la sperimentazione. È chiaro che siamo di fronte ad un utilitarismo, da parte di questo tipo di politica della scienza, che vuole arrivare a dei risultati commerciali, senza regole di carattere etico. Uno dei motivi determinanti per cui si vuole ricorrere agli embrioni è la volontà, da parte di molti ricercatori, di arrivare prima degli altri, di assicurarsi dei brevetti. Per ottenere questo scopo è necessario de-umanizzare l’embrione. Può essere necessario, eccezionalmente, dover scegliere tra due vite umane: quando, ad esempio, nel caso di una disgrazia o di un incidente il soccorritore può salvare solo una delle persone coinvolte; ma allora la scelta sarebbe inevitabile, resa necessaria da un pericolo di vita grave, attuale e non altrimenti superabile. Ma non è questa la situazione quando si pianifica la distruzione degli embrioni. L’idea stessa di distinguere due categorie di persone e di compararle è aberrante. La persona umana è un valore assoluto, non misurabile. Già il fatto di confrontare le persone abbassa il loro valore, anche per colui che uscisse vincitore dal confronto. È un altro aspetto della deriva del moderno: il continuo declassamento del valore umano come tale, dovuto all’idea che tutto, anche la vita, sia misurabile; poco importa che la misura sia stabilita attraverso l’ideologia (ricordate il presidente Mao: Ci sono uomini la cui vita pesa come le montagne, e altri che pesano come piume), o attraverso l’economia (dove abbiamo uomini da cinquanta, cento, duecento milioni l’anno, ecc.), o attraverso la tecnologia (embrioni più giovani e vitali di altri): chi subisce una misura, per quanto grande venga giudicato, ha comunque perso l’infinito, non è più persona. Per questo la fede in Dio è il fondamento più solido dei diritti umani: se mi ha creato Dio, solo lui mi può misurare, e non accetto di essere declassato, né utilizzato, né sottomesso. Ma la fede non fa che illuminare maggiormente i princìpi che la ragione, da sola, se non è offuscata, può cogliere. Il cuore più profondo del progetto moderno non è l’inchinarsi alla geometrica potenza della macchina tecnologica: questo è il suo rischio e la sua malattia. La verità del moderno è l’uomo al centro del mondo: combattere per i diritti umani, compresi quelli dell’embrione, è l’autentico modo di portare a compimento il progetto tradito della modernità. RICERCA SCIENTIFICA PER UNA LIBERTA’ RESPONSABILE ATTI DELL’UOMO E ATTI UMANI La ricerca scientifica rappresenta uno dei punti più alti e nobili dell’attività umana. Ma la sua nobiltà non è legata soltanto al valore e all’utilità dei risultati che consegue: determinante è il modo con il quale li consegue. Per que- sto, essa deve sempre rimanere non solo un’attività scientifica, ma anche un’attività umana, cioè un pensare e un fare che esprima sempre la dignità dell’uomo e che la rispetti in tutto ciò di cui si occupa. Non tutti gli atti dell’uomo sono atti umani: un uomo, infatti, potrebbe anche agire come una bestia: è il caso, ad esempio, degli scienziati che compivano esperimenti sui prigionieri dei lager nazisti. È veramente umano solo quell’atto, frutto di intelligenza e volontà, che rispetta l’essere umano in tutti i suoi aspetti. E l’essere umano è sempre soggetto, non è mai oggetto. Trattare l’essere umano come materiale di laboratorio non è un atto umano. Questi princìpi non sono soltanto cristiani: sono il nucleo centrale della morale di Kant, che ispira, col suo senso del dovere, tanti non cristiani. LIBERTA’ DI RICERCA E RESPONSABILITA’ La libertà non consiste nella mera assenza di ostacoli, che metta nella condizione di fare tutto ciò che si vuole. Questa libertà, che chiamiamo negativa, cioè priva di contenuti, è tipica dell’individuo irresponsabile. Molto facilmente, questa libertà si trasforma nel suo contrario. Una persona, ad esempio, è libera di scegliere di fumare; ma, dal momento in cui diventa un fumatore e la nicotina diventa una necessità, non è più libero di non fumare: smettere, gli costa. La decisione di fumare, se era un atto libero all’inizio, non lo è più col passare del tempo: fumare è stata una decisione che ha limitato la libertà. Non tutte le scelte che si possono fare, dunque, sono veramente scelte libere. Ciò significa che l’idea stessa di libertà non è vuota, ma ha dei contenuti che bisogna rispettare. È veramente libera solo quella scelta che aumenta la mia libertà, che rinforza la mia umanità; quando scelgo, dunque, devo essere consapevole delle conseguenze, devo assumermi la responsabilità di ciò che faccio. È questa la libertà che chiamiamo positiva, e che si lega sempre ad una responsabilità. È proprio l’assunzione di responsabilità che dimostra la nostra libertà. Se io regalo la penna con la quale sto scrivendo, è perché ne sono padrone e posso farne ciò che voglio. Allo stesso modo, dimostro di essere padrone della mia vita se riesco a farne dono, a impegnarla per qualcuno o per qualcosa. Le responsabilità e i sacrifici che ne derivano sono conseguenze liberamente accettate della mia scelta. Mi impongo delle regole e dei doveri proprio perché sono libero di farlo. Assumersi una responsabilità è la dimostrazione che sono libero. Allo stesso modo, quando una società impone a se stessa delle regole e dei doveri, quando tiene conto delle conseguenze delle proprie scelte, quando decide di non prendere strade che risultano pericolose per la comunità e per l’umanità, questa società dimostra di essere libera, proprio perché responsabile. Mettere delle regole alla ricerca scientifica è una scelta responsabile, che vuole impedire alla libertà di ricerca di diventare dannosa e anti-umana, di trasformarsi nel contrario della libertà. LIBERTA’ DI RICERCA SCIENTIFICA In maniera ricorrente, numerosi scienziati e tecnologi impegnati in campi di frontiera si appellano all’opinione pubblica invocando la libertà di ricerca. È quanto viene fatto anche oggi, in riferimento alla possibilità di sperimentare sugli embrioni o di utilizzarli a scopi terapeutici: lasciateci ricercare – dicono in sostanza – senza opporre ostacoli di carattere etico. Tali ostacoli, è bene dirlo con chiarezza, non sono in realtà ostacoli alla ricerca, ma regole che lo Stato ha il dovere di stabilire, sulla base dei grandi valori riconosciuti dalla maggioranza dei cittadini ed esplicitamente dichiarati dalla Carta costituzionale. Lo scopo di queste regole è garantire che la ricerca scientifica non produca danni al bene comune, alla dignità, alla salute e alla vita dei cittadini: esse favoriscono la ricerca, garantendone uno sviluppo sano e impedendo che applicazioni sbagliate di essa portino, poi, a danni gravi, come il caso della mucca pazza testimonia. La cosiddetta libertà di ricerca invocata da alcuni scienziati, inoltre, è una vera e propria mistificazione; non si può certo sostenere, oggi, che la ricerca scientifica sia libera di orientarsi verso obiettivi stabiliti, in base a scelte autonome, dai ricercatori stessi. I costi sono tali, infatti, che solo un numero esiguo di grandi aziende può avventurarsi in certi settori di ricerca; in altri, addirittura, gli Stati devono consorziarsi per reggere il peso. E per decidere quali progetti finanziare esistono principalmente due criteri: il bene comune e il profitto. Nel primo caso la decisione è politica: lo Stato ritiene di dover sostenere attività scientifiche che portano un beneficio alla maggioranza dei cittadini. Oppure, finanzia ricerche che interessano una minoranza debole: per esempio, la produzione di un farmaco che curi una malattia rara, i cui acquirenti sarebbero così pochi da escludere che un’azienda privata possa guadagnare producendo tale farmaco. Nel secondo caso la decisione è economica e viene presa da aziende private. Naturalmente, il profitto si ottiene producendo un bene, cioè qualcosa di utile a chi lo acquista: e in tal modo la ricerca del profitto, moltiplicando i beni a disposizione dei cittadini, contribuisce indirettamente al bene comune. Anche in questo caso, però, lo Stato ha il compito di sorvegliare che la ricerca del profitto non vada contro i diritti umani, e per questo stabilisce delle regole per il mercato. Dunque, politica ed economia compiono le grandi scelte strategiche sulla ricerca scientifica. Lo scienziato è effettivamente titolare di una libertà di ricerca, ma all’interno delle direzioni già definite a tutela del bene comune. Di conseguenza, la richiesta di non subire controlli di carattere etico-politco, lascerebbe in piedi soltanto i condizionamenti economici; e le implicazioni economiche delle ricerche che hanno a che fare con la genetica saranno il più grande affare di questo secolo. Ma sono anche il campo di attività più delicato, nel quale si manipola la vita, e che per questo può produrre sia enormi progressi nella medicina e nell’economia, sia enormi danni per la dignità umana. La decisione che ci sta davanti è dunque molto semplice: vogliamo che a stabilire le regole di questa sfida sia un manipolo di aziende in base alla sola logica del profitto? O vogliamo che sia lo Stato, dopo un ampio e democratico dibattito tra i suoi cittadini? Lo Stato ha il compito di favorire la ricerca scientifica, ma allo stesso tempo non può permettere che essa degeneri in attività anti-umana. E ai cittadini, in dialogo con gli scienziati e con i politici, spetta di aiutare entrambi a compiere il proprio dovere, operando in coerenza con i grandi valori etici sui quali si fonda la comunità. STRUMENTALIZZAZIONE DEL DOLORE La spinta all’utilizzo delle cellule staminali embrionali si serve dei malati, indotti ad aspettarsi in breve tempo il miracolo tecnologico. Sempre più, dai teleschermi, strumentalizzando autentici casi di sofferenza, si cercherà di convincere il pubblico che è giusto dare carta bianca ai ricercatori, e che lo scopo buono della ricerca giustifica il male che si compie per portarla avanti. La retta coscienza, al contrario, non può accettare questo giudizio: sia perché non si può distruggere una persona per cercare di salvarne un’altra, sia perché i miracoli tecnologici non esistono; si deve rifiutare l’uso strumentale dei malati, che vengono illusi da promesse che non potranno venire mantenute nei prossimi anni. Nel caso della ricerca che si serve di cellule staminali, è necessario sapere – contro tutte le bugie che circolano oggi – che è possibile ottenere risultati attraverso le cellule staminali degli adulti e del cordone ombelicale, e che nessuno oggi può affermare che è necessario utilizzare le cellule staminali dell’embrione. Scrive lo scienziato Angelo L. Vescovi: A dispetto di un oggettivo, significativo potenziale terapeutico, non esistono terapie, nemmeno sperimentali, che implichino l’impiego di cellule staminali embrionali. Non è attualmente possibile prevedere se e quando questo diverrà possibile, data la scarsa conoscenza dei meccanismi che regolano l’attività di queste cellule, che ci impediscono di produrre le cellule mature necessarie per i trapianti, e data la intrinseca tendenza delle staminali embrionali a produrre tumori (…) Esistono numerose terapie salvavita che rappresentano realtà cliniche importanti, quali le cure per la leucemia, le grandi lesioni ossee, le grandi ustioni, il trapianto di cornea. Tutte queste si basano sull’utilizzo di cellule staminali adulte (…) In questo contesto, mi permetto di concludere che, nella mia scala di valori di laico e agnostico, il diritto alla vita dell’embrione precede inequivocabilmente il diritto alla procreazione (Il Foglio, 22 gennaio 2005). DISCUTIAMO IL SISTEMA: CAUSE ED EFFETTI DI UNA SOCIETA’ INGIUSTA DISCUTERE IL SISTEMA La legge 40/2004 interviene nel regolare il ricorso alla procreazione artificiale; interviene, cioè, sugli effetti, non sulle cause di un fenomeno patologico più vasto; cause sulle quali, invece, si dovrebbe aprire un approfondimento serio. Bisognerebbe chiedersi, ad esempio, perché molte donne arrivino a pensare alla maternità dopo i trent’anni, quando la loro fertilità tende a diminuire; e bisognerebbe capire come intervenire su un sistema economico, sociale e culturale che non favorisce le gravidanze in età giovanile, che impone alla donna la rinuncia ad avere figli quando sarebbe il momento, pena l’esclusione dal lavoro e da una carriera dignitosa; un sistema che non aiuta le famiglie, ma che, anzi, rovescia su di esse compiti improbi e pesi che altri dovrebbero portare. Il dibattito sulla procreazione artificiale dimostra come, ormai, soprattutto a livello politico si sia persa, in gran parte, la capacità di ragionare sulle cause, di mettere in discussione l’insieme del nostro modo di vivere. È certamente più comodo accettare il sistema così com’è: lo stesso sistema che produce sterilità, produce anche lo sviluppo squilibrato, i ricchi e i poveri, il debito internazionale, le guerre per il controllo delle fonti energetiche. Fa impressione che le culture politiche oggi prevalenti si occupino dell’uno o dell’altro degli aspetti di questo sistema, o dell’uno o dell’altro dei suoi effetti, senza avere più la capacità di ragionare sull’insieme e sulle cause. La loro incapacità di dialogare e di incontrarsi, porta alla frammentazione dell’azione, alla debolezza della politica di fronte alle situazioni imposte, al di fuori di ogni legge, dall’economia. La politica, poi, interviene sulle briciole. E che la briciola sia di destra o di sinistra appare, francamente, irrilevante. E LA SINISTRA? L’essere di sinistra non richiede affatto di sposare una crociata condotta – falsamente – in nome della civiltà e del progresso, su argomenti, come la fecondazione eterologa e la distruzione degli embrioni, che compiono un vero e proprio tradimento di quei valori di giustizia e uguaglianza ai quali la sinistra ha sempre voluto ispirarsi. Non c’è infatti alcuna giustizia (se si introduce la fecondazione eterologa) nell’impedire ad un cittadino di conoscere il nome dei propri genitori biologici, nell’impedirgli di curarsi adeguatamente a causa dell’ignoranza delle proprie malattie ereditarie, nell’esporlo al rischio di matrimonio con consanguinei. Né c’è uguaglianza (se si introduce il congelamento e la sperimentazione sugli embrioni) nel lasciar decidere al caso quale degli embrioni congelati deve nascere, passando sopra al fatto che gli altri, destinati alla sperimentazione e alla distruzione, sono i fratelli di quello, più fortunato, che ha visto la luce. La sinistra, nella sua tradizione storica, ha sempre avuto come centrale l’elemento della difesa dei ceti più deboli: perché non riconoscere tra i deboli da difendere, insieme alla donna, anche il bambino non nato? Perché non rendere attuale una idealità di giustizia, nata all’interno delle fabbriche, ma che deve oggi svolgere il proprio compito anche nei luoghi dove si nasce e si muore? Cogliamo l’occasione per affrontare un dialogo che aiuti ciascuno ad essere coerente coi propri valori, e a scoprire, di questi valori, anche quegli aspetti che fino ad oggi non sono stati presi in considerazione. Un valore perduto da chi lo dovrebbe portare, è perduto per tutti. È su queste scelte che la sinistra sceglierà se vivere o morire, se salvare la propria anima o appiattirsi su una cultura borghese e individualistica che spinge il consumismo fino all’acquisto del figlio, che privilegia i desideri dei forti (i nati, e politicamente rappresentati) rispetto ai diritti dei deboli (i non nati, che ancora non votano, e dunque, a quanto pare, a qualcuno non interessano). Si deve poter rivendicare il diritto di essere di sinistra e di difendere la vita in tutti i suoi aspetti: dovrebbe essere possibile, se ancora esiste non solo una sinistra di schieramento, ma anche una sinistra della coscienza e dei valori. LA DIFESA DELLA VITA RISTABILISCE IL RUOLO DELLA POLITICA Gli attentati alla vita vengono spesso da una cultura, da stili di vita, da condizionamenti del sistema socio-economico che creano ostacoli all’accoglienza dei figli, a cercare di averne nell’età più fertile, alla comprensione del valore della malattia e della vecchiaia. È in questione, in generale, l’intero assetto che l’Occidente è andato costruendo attraverso la società industriale e post-industriale. Le tecnologie collegate alla medicina sembrano fornire delle soluzioni a tali problemi; soluzioni dipendenti dalla capacità finanziaria di affrontarle: soluzioni che non rimuovono mai le cause dei problemi, ma intervengono soltanto sugli effetti, senza mettere in discussione l’impianto generale della società che li provoca. Solo la decisione politica può intervenire sulle cause, e riprendere un ruolo di comando riguardo al perseguimento del bene comune. Una politica consapevole delle proprie responsabilità può assegnare un limite all’uso delle tecnologie, e mantenerle nel loro esatto ruolo di strumento, stabilendo che non è giusto fare tutto ciò che esse ci consentirebbero di fare, e curando, in tal modo, il delirio di onnipotenza che esse inducono nella mentalità comune. La politica può indicare, anche, un limite al potere economico: ci sono realtà, come la vita stessa, che non hanno un prezzo, e che dunque, anche per chi è ricco, rimangono indisponibili. Nel caso della procreazione artificale, ad esempio, non si può pensare di potersi comprare, avendone i soldi e la capacità tecnica, anche un figlio, non si può arrivare alla mercificazione totale dell’esistenza. La politica può stabilire che non si può in nessun caso riconoscere un presunto diritto, quando questo comporta il divenire padroni della vita di un altro. LA DIFESA DELLA VITA ALLONTANA I PERICOLI DI TOTALITARISMO Uno dei dati caratterizzanti il totalitarismo è la volontà di manipolazione infinita. Questa dinamica ha a che vedere col rifiuto di riconoscere la realtà, in particolare la realtà della natura umana, che si pensa di poter modificare o reimpostare. Nella nostra epoca questa volontà manipolativa tipica del totalitarismo non si presenta più come potere concentrato e irresistibile e visibile – com’era nei regimi dittatoriali del Novecento -, ma in altre forme: è consentita anche ai singoli, in settori limitati, non pericolosi per il potere, come una forma di partecipazione al potere e compenso per il consenso; nella manipolazione genetica, nella procreazione artificiale, nell’aborto, nell’eutanasia, c’è la restituzione – in chiave di téchne – di una apparenza di totale libertà ai cittadini, in cambio del loro consenso, in cambio del fatto che non venga messo in discussione il sistema nel suo insieme. Ad esempio, l’accesso alle tecniche di procreazione artificiale conferisce al singolo una partecipazione all’onnipotenza tecnica della società, ma presuppone che non vengano messe in discussione le cause dell’infertilità o sterilità, che possono appartenere agli stili di vita favoriti – o imposti – dal sistema; viene offerta una partecipazione all’onnipotenza tecnologica, purché si rinunci alla effettiva partecipazione al potere politico. UNA LEGGE TRASVERSALE: TRA COSCIENZA E PARTITI PRINCIPI TRASVERSALI AGLI SCHIERAMENTI E ALLE CONVINZIONI RELIGIOSE E CULTURALI Un primo punto va affrontato: è possibile parlare di cattolici senza fare riferimento ai diversi schieramenti politici nei quali essi sono distribuiti? Certamente. Dal Convegno ecclesiale di Palermo del 1995 venne la raccomandazione ai cattolici impegnati in politica di cercare tra loro le possibili linee di convergenza, in particolare sui temi che maggiormente vincolano la coscienza dei credenti. Abbiamo qui un primo elemento di interesse, che concerne il metodo e la fonte di ispirazione dell’azione politica trasversale come è stata applicata, ad esempio, dal gruppo di deputati che condusse la campagna per la legge sulla procreazione artificiale nella passata legislatura, e che portò all’approvazione, da parte della Camera dei deputati, di un testo che rispondeva alle idee del gruppo trasversale: alcuni cristiani, che in politica avevano scelto di impegnarsi in partiti diversi, attraverso un approfondito confronto arrivarono ad una posizione unitaria su un tema di particolare rilevanza per la coscienza del credente, ma anche di grande importanza per definire la natura e la qualità della convivenza civile. I parlamentari del gruppo trasversale non hanno messo in discussione la loro appartenenza a questo o a quel partito, non hanno dato vita ad una nuova formazione politica: al contrario, nel rispetto dell’attuale pluralismo di opzioni politiche dei cattolici, sono riusciti a costruire una proposta politica unitaria su un tema specifico, realizzando qualcosa che potrebbe fungere da modello per altre azioni. Hanno cioè dimostrato che, anche nella generale situazione di pluralismo esistente negli Stati democratici, ai cattolici è possibile una forma di unità che non rimane soltanto al livello della testimonianza, ma si traduce in azione politica efficace. Questa prospettiva ha portato – anche nell’attuale legislatura – alla convergenza dei parlamentari cattolici a favore della legge 40/2004. E la legge è stata approvata con l’apporto determinante di parlamentari non cattolici. Si è costatato infatti che i princìpi cristiani operanti in questa materia sono anche princìpi di ragione, confermati dall’esperienza, che chiunque può condividere; sul tema della vita, dunque, l’intelligenza della fede e la retta ragione suggeriscono alla coscienza le medesime scelte. Un valore, infatti, quando è universale – e il valore della vita lo è -, è vincolante non solo per la coscienza del credente, ma per la coscienza umana come tale. In una intervista al Corriere della Sera dell’8 maggio 1981, Norberto Bobbio dichiarò che” c’è innanzitutto il diritto fondamentale del concepito, quel diritto di nascita sul quale, secondo me, non si può transigere. È lo stesso diritto in nome del quale sono contrario alla pena di morte (…) Vorrei chiedere quale sorpresa ci può essere nel fatto che un laico consideri come valido in senso asso- luto, come un imperativo categorico, il non uccidere. E mi stupisco a mia volta che i laici lascino ai credenti il privilegio e l’onore di affermare che non si deve uccidere”. UNA LEGGE TRASVERSALE L’iter parlamentare della legge 40/2004 dimostra che tale legge – come avvenne per l’analoga legge approvata dalla Camera nella passata legislatura, e poi fermata dal Senato – è stata approvata da una maggioranza parlamentare che non coincide esattamente con la maggioranza di governo: alcune norme qualificanti sono infatti state approvate con voti determinanti provenenti dal centro-sinistra. E una parte consistente dei parlamentari che hanno votato la legge è costituita da non cattolici. Descrivere il confronto sulla procreazione artificiale come uno scontro tra cattolici e non cattolici significa costruire, ad arte, una contrapposizione che ricorda quella che lacerò l’Italia sul tema dell’aborto. Allora, all’inizio del dibattito, furono numerose le personalità della sinistra che si schierarono contro l’interruzione di gravidanza: voci che vennero quasi tutte tacitate non appena l’aborto, da problema di coscienza, fu trasformato in problema di schieramento. DIFESA DELLA VITA E IDENTITA’ DEI PARTITI È legittimo che un partito ponga fra i princìpi ispiratori della propria visione politica la difesa del principio della vita e della sua dignità: il partito è un’associazione privata che può definire liberamente le convinzioni culturali di coloro che vi si iscrivono. Nei fatti, però, si può costatare che anche nei partiti che ufficialmente si propongono di difendere la vita esistono posizioni differenziate, anche se in misura diversa tra partito e partito. Non basta, dunque, che un partito difenda formalmente il principio della vita, per ritenere che un cittadino rispettoso di tale principio abbia l’obbligo morale di sostenere tale partito: è necessario verificare i comportamenti politici concreti dei suoi sostenitori e dei suoi parlamentari. In particolare, è un diritto di ogni parlamentare differenziarsi dal proprio partito se esso non difende la vita e la dignità di questa: questi temi, infatti, riguardano i fondamenti della comunità politica e per questo si pongono ad un livello precedente e superiore a quello parziale dei partiti. Questi ultimi, inoltre, non possono umiliare il ruolo dei parlamentari: il parlamentare, in quanto parlamentare, non rappresenta il proprio partito, ma la comunità dei cittadini, la Nazione, e solo ad essa – oltre che alla propria coscienza – deve rispondere delle scelte riguardanti la vita. DIFESA DELLA VITA E RUOLO DELLE COALIZIONI La difesa del principio della vita e della sua dignità può essere inserito anche nel programma di una coalizione. Se una coalizione dovesse invece esprimere, nella sua maggioranza, una posizione avversa alla difesa della vita, è diritto e dovere sia di un partito che vuole difendere la vita e che appartiene alla coalizione, sia di singoli membri, dissociarsi esplicitamente dalla maggioranza della coalizione, ed esigere che la posizione avversa alla vita non venga inserita nel programma della coalizione. Il punto capitale da comprendere, è che il principio della difesa della vita e della sua dignità in tutti i suoi aspetti non si oppone ai valori di giustizia: al contrario, esso si lega, e viene difeso, insieme ad altri irrinunciabili princìpi fondativi, quali l’uguaglianza e la libertà di tutti gli esseri umani, la giustizia, la solidarietà sociale, il rifiuto della pena di morte: princìpi che obbligano ad accogliere la vita e dare a ciascuno le migliori opportunità per sviluppare la propria personalità. E, ancora, il principio di sussidiarietà: esso impone il riconoscimento della natura originale, dei diritti e dei doveri di ogni corpo intermedio fra il cittadino e lo Stato, così che ogni soggetto – dalla famiglia all’azienda – venga tutelato nella sua libertà di scelta ma allo stesso tempo reso responsabile degli aspetti sociali delle sue azioni, siano esse la procreazione o la ricerca scientifica e tecnologica. La discussione sulla vita può diventare occasione per un approfondimento dei princìpi orientativi della coalizione. Ancora, va evitato ciò che in passato è già accaduto: e cioè che la posizione della coalizione sugli argomenti riguardanti la vita diventi ostaggio di minoranze interne: una ristretta minoranza, in cambio dell’appoggio alla propria coalizione su altri argomenti, potrebbe arrivare ad imporre la propria posizione, contraria alla vita, all’intera coalizione; questa, a sua volta, non è altro che una parte del Paese. Paradossalmente, un intero Paese potrebbe ritrovarsi con una legge che sarebbe il frutto dell’imposizione della minoranza di una minoranza. PER CAPIRE LA LEGGE Piccola guida della procreazione artificiale Atto coniugale a) L’atto coniugale è un atto personale: è cioè un atto che coinvolge la totalità delle persone dei coniugi, in maniera libera, responsabile, esclusiva. Ciò significa che tale atto spetta solo ai due coniugi tra di loro, e che in quest’atto concorrono insieme – in modo da non poter essere separate, pena la perdita della qualità umana dell’atto – le componenti biologica, psicologica (affettiva) e spirituale; la chiamata all’esistenza di una nuova vita umana, dunque, non può essere separata dall’amore coniugale che la genera. L’essere umano, inoltre, è sociale per natura; questa sua socialità è inscritta nella sua natura fin dall’origine: l’atto coniugale ne è infatti la realtà sociale fontale e originaria. b) L’atto coniugale riguarda direttamente la vita della persona, iniziando quel processo che la porterà dal concepimento alla nascita. Intervento terapeutico In generale, perché un intervento sia effettivamente terapeutico non basta l’intenzione dei soggetti coinvolti: esistono criteri oggettivi. L’intervento è dunque terapeutico quando: a) si interviene sulla parte malata per salvare l’organismo sano; b) non vi siano altri modi di superare la malattia; in questo caso, la rimozione delle cause dell’infertilità; c) c’è una probabilità di riuscita proporzionata al rischio; o c’è una proporzione tra i danni causati e i benefici; d) il paziente è consenziente. L’intervento terapeutico è rivolto al bene della totalità della persona; la totalità comprende l’aspetto fisico, psicologico e morale-spirituale: il bene del corpo non può essere trascurato, ma va perseguito nell’insieme del bene della persona. Intervento terapeutico sulla infertilità o sterilità della coppia Nel valutare l’intervento terapeutico sulla sterilità della coppia non si deve prendere in considerazione soltanto la persona singola sulla quale si pratica l’intervento, ma anche altri soggetti: la coppia (e ognuno dei coniugi al suo interno) e il nascituro; a) un intervento medico è realmente terapeutico e dunque eticamente accettabile solo se realizza un aiuto all’atto coniugale, che risultasse di per sé completo, ma non efficace ai fini della procreazione: un esempio di tale aiuto è l’inseminazione artificiale omologa con prelievo del seme durante o subito dopo l’atto coniugale. I metodi con i quali l’aiuto all’atto coniugale viene realizzato non devono essere né manipolatori né sostitutivi dell’atto coniugale. Dal punto di vista etico dunque, la fecondazione assistita (sia omologa che eterologa), essendo un atto sostitutivo dell’atto coniugale, non può essere accettata. Poiché però nelle legislazioni di numerosi Paesi si accettano tali metodiche, sembra opportuno impegnarsi per ottenere leggi vicine quanto più possibile al giudizio dell’etica, operando nell’ottica della riduzione del danno, ferma restando la necessità di un’opera educativa tesa a sottolineare quanto delle esigenze etiche della persona non sia stato recepito dalla legge; b) l’insieme delle ragioni esposte consiglia di tentare tutte le strade per la cura dell’infertilità o della sterilità, prima di accedere a tecniche che contraddicono direttamente gli aspetti essenziali dell’atto coniugale, della vita della coppia e della famiglia; c) la legge 40/2004 prevede il ricorso alla procreazione artificiale come ultima possibilità, solo quando è stato accertato che non è possibile intervenire in altro modo per rimuovere le cause dell’infertilità o sterilità della coppia. L’intervento è limitato alle coppie di maggiorenni di sesso diverso, in età potenzialmente fertile, e i richiedenti devono essere entrambi viventi. Matrimonio La fecondazione assistita dovrebbe essere riservata alle coppie unite in matrimonio, perché l’atto pubblico del matrimonio indica, da parte dei contraenti, una fiducia nel legame e una volontà espressa pubblicamente di proseguirlo fino alla morte, una consapevolezza della sua natura sociale e delle responsabilità che ne derivano: tutti elementi che costituiscono una migliore garanzia per i diritti del nascituro. La legge attuale, invece, ammette l’accesso alle tecniche di procreazione artificiale anche alle coppie conviventi; è, questo, un punto debole della legge, che va contro l’art. 29 della Costituzione, che riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio. È evidente che i figli nati da conviventi hanno gli stessi diritti dei figli nati da coppie coniugate. Ma la coppia di conviventi non può essere equiparata alla coppia coniugata: in essa, certamente, ci possono essere importanti elementi caratteristici della famiglia, soprattutto elementi affettivi; ma non può essere considerata pienamente una famiglia, proprio perché non ha voluto assumersi la responsabilità del matrimonio davanti alla collettività. Voler equiparare per legge le coppie di fatto e le coppie coniugate, va contro la volontà stessa di chi non ha voluto sposarsi, per sfiducia o per rifiuto degli aspetti pubblici e legali del vincolo. La legge attuale vieta l’accesso alle tecniche da parte di single o di vedovi: il bambino nascerebbe orfano. Riduzione del danno L’enciclica Evangelium vitae, riferendosi al caso di una legge abortista, sostiene che, nel caso non fosse possibile scongiurare o abrogare una tale legge, un parlamentare potrebbe dare il proprio sostegno a proposte mirate a limitare i danni di una tale legge e a diminuirne gli effetti negativi sul piano della cultura e della moralità pubblica. Così facendo, infatti, non si attua una collaborazione illecita a una legge ingiusta; piuttosto si compie un legittimo e doveroso tentativo di limitarne gli aspetti iniqui (n° 73). L’enciclica richiede però che il parlamentare abbia reso nota la sua personale assoluta opposizione all’aborto. Tale indicazione della Evangelium vitae relativa all’aborto è da ritenersi applicabile – tenendo conto delle diverse situazioni – anche alla procreazione assistita. L’attuale legge non esprime interamente la posizione della morale cristiana, ma è condivisibile in quei suoi princìpi ispiratori che intendono salvaguardare gli autentici diritti dei soggetti coinvolti, in particolare del concepito. In ogni caso, sia al politico che al cittadino è richiesta la capacità di distinguere fra i contenuti morali della legge (che possono essere in parte errati) e le condizioni politiche che potrebbero non consentire una legge migliore. Il politico può dunque difendere una legge imperfetta; ma deve dichiarare la propria convinzione personale di disaccordo con quei contenuti che risultano errati; e deve anche – se cristiano – confrontare con la Chiesa il proprio convincimento circa le norme capaci di ridurre il danno: ciò che al parlamentare può sembrare una sufficiente riduzione del danno, infatti, potrebbe in realtà non esserlo; è da chi detiene la responsabilità della dottrina che, per un cristiano, può venire la definitiva valutazione etica di una legge. Al parlamentare spetta poi il compito di assumersi la responsabilità della decisione politica. Fecondazione medicalmente assistita È una fecondazione – cioè unione dei gameti – ottenuta con modalità diverse dal rapporto sessuale. Prima di accedere alla fecondazione assistita è necessario un lungo periodo di analisi e accertamenti di una certa complessità tecnica. Il successo delle diverse fasi della fecondazione assistita ha un andamento ad imbuto molto stretto: si parte da una riuscita del 95 per cento nella raccolta dell’ovocita maturo; ma soltanto il 10,5 per cento degli embrioni trasferiti in utero arriva alla nascita. La maggior parte delle perdite si ha tra il trasferimento degli embrioni e l’inizio della gravidanza clinica. Un procedimento in cui si ha la perdita dell’89,5 per cento degli embrioni non soddisfa il criterio della proporzionalità tra rischio e beneficio. Di per sé, la sola esistenza di possibilità di rischio, anche riferite ad uno solo embrione, dovrebbe sconsigliare l’inizio di un intervento che risponde al desiderio degli aspiranti genitori, ma che rimane, dal punto di vista oggettivo, non necessario. La fecondazione assistita può essere omologa o eterologa. Fecondazione artificiale omologa Si indicano con questa dizione quelle tecniche di fecondazione sia in vitro che in vivo che utilizzano cellule germinali provenienti dalla coppia che ne fa richiesta. Tale tecnica è ammessa dalla legge 40/2004. Fecondazione artificiale eterologa La fecondazione è eterologa quando si ricorre ad un donatore, che fornisce o gli spermatozoi o le celluleuovo o l’embrione. Tale tecnica è vietata dalla legge 40/2004; uno dei referendum ne chiede, invece, l’ammissibilità. Il divieto delle tecniche di fecondazione eterologa dev’essere mantenuto; l’eterologa non è accettabile, perché: a) si separa chi vive il matrimonio da chi vive la procreazione; b) si dà vita ad un modello di famiglia plurigenitoriale; c) il figlio potrà trovare difficoltà nel processo di identificazione col padre sociale (nel caso di donatore uomo), fermo restando il suo diritto di sapere chi sono i suoi genitori biologici. Altro diritto del figlio è quello di crescere e di essere allevato dai suoi genitori biologici; si sostiene, per giustificare l’eterologa, che questo non avviene nei casi di adozione; si può rispondere che tale argomento non vale a giustificare l’eterologa, in quanto l’adozione si giustifica col diritto di un bambino di avere dei genitori, mentre non esiste un diritto dei coniugi di avere un figlio con qualunque mezzo, creando appositamente situazioni anomale; d) sussistono problemi giuridici circa l’attribuzione di paternità, la segretezza del donatore e la regolamentazione della commercializzazione del seme; e) possono sorgere conflitti tra i coniugi, in quanto i due non si trovano nella medesima posizione nei confronti del figlio: il padre è tale giuridicamente ma non biologicamente; lo stesso dicasi per la madre in caso di donazione di cellule uovo; f) può sorgere il pericolo del formarsi di una tendenza eugenistica, in relazione alla selezione del seme; g) se lo stesso seme (specie se pregiato) viene usato per più inseminazioni, si rischia di avere, in futuro, matrimoni tra consanguinei da parte di padre: viene smarrita la paternità genetica delle generazioni future. h) nel caso di future malattie del figlio ottenuto con fecondazione eterologa, possono sorgere difficoltà nella cura, perché potrebbe essere necessario conoscere la storia clinica del padre biologico, il quale, però, rimane anonimo. Embrione Per embrione si intende la cellula uovo fecondata, a partire dalla penetrazione dello spermatozoo nella cellula uovo. Dal punto di vista scientifico (biologico) l’embrione è un essere umano: di potenziale ha solo lo sviluppo che continuerà, del resto, anche dopo la nascita. La legge 40/2004 riconosce il concepito come un soggetto, portatore di diritti, senza subordinarli alla nascita, e di conseguenza vieta sia la distruzione degli embrioni, sia qualsiasi sperimentazione su di essi; inoltre, non possono essere prodotti embrioni a scopo di ricerca o di sperimentazione, è vietata qualsiasi forma di selezione a scopo eugenetico di embrioni e gameti e qualsiasi intervento che alteri il loro patrimonio genetico; sono vietate, ancora, la clonazione e la fecondazione di un gamete umano con un gamete di specie diversa. Crioconservazione dell’embrione Congelamento dell’embrione. L’embrione congelato viene conservato fino al momento del trasferimento nelle vie genitali della donna. L’attuale legge vieta il congelamento degli embrioni, a meno che esso non si renda necessario proprio per difendere la vita degli embrioni stessi; nell’intervallo di tempo tra la fecondazione e l’impianto dell’embrione potrebbe infatti verificarsi un evento grave o un cambiamento nella condizione di salute della donna, tali da impedire l’impianto immediato. Solo in questi casi di causa grave e imprevedibile, si può ricorrere al congelamento dell’embrione, in attesa di ripristinare le condizioni per l’impianto. Embrioni soprannumerari La legge attuale impone che si producano non più di tre embrioni, da destinare immediatamente ad un unico impianto nella donna. Prima di questa legge, si produceva abitualmente un elevato numero di embrioni che, non venendo trasferiti nelle vie genitali della donna, rimanevano in soprannumero, venivano congelati (crioconservazione) e successivamente potevano essere destinati o al reimpianto su altra donna o alla sperimentazione, o alla distruzione. Quali argomenti vengono utilizzati da chi vuole giustificare queste pratiche? Un primo argomento è il seguente: anche in natura avviene una sovrapproduzione di embrioni, molti dei quali muoiono. Come controbattere? Anzitutto, si può rispondere, è errato invocare il rispetto di un fatto naturale, sul quale non si può, almeno in parte, intervenire, per giustificare un procedimento artificiale, che dipende invece interamente dalla decisione umana. In secondo luogo, sono cose diverse la selezione prodotta dalla natura, dalla morte inflitta volontariamente; altrimenti bisognerebbe giustificare ogni omicidio volontario, dato che colui che viene ucciso sarebbe morto comunque, prima o poi. Un secondo argomento addotto da chi cerca di giustificare lo spreco di embrioni sostiene che la sovrapproduzione di embrioni è un fatto temporaneo: col tempo – si dice -, col progresso tecnico, si ridurrà il rischio ai livelli comuni ad altri interventi terapeutici. A ciò si controbatte osservando che nessuno accetta questo criterio, ad esempio, nella sperimentazione sui farmaci: chi sarebbe disposto ad assumere un farmaco non ancora sperimentato? La verità è che sono i laboratori di ricerca a volere la produzione di embrioni in soprannumero, per poter avere materiale a disposizione per i loro esperimenti. Adozione degli embrioni La legge 40/2004 prevede che vengano prodotti soltanto gli embrioni destinati immediatamente ad un unico impianto; dal momento della sua applicazione, dunque, non verrebbero più prodotti embrioni in soprannumero. Si pone però il problema del destino degli embrioni già congelati e abbandonati dai genitori. È eticamente accettabile che essi vengano dichiarati adottabili da una coppia, allo scopo di assicurare il loro diritto a nascere: si tratterebbe di procedimenti di fecondazione eterologa – considerata però come un male minore rispetto alla distruzione degli embrioni – e consentita soltanto nel periodo di transizione dall’attuale situazione a quella prefigurata dalla futura legge. È una vera e propria adozione. Sono suscettibili di adozione immediata gli embrioni di cui non si conoscono i genitori biologici; verranno resi disponibili per l’adozione anche gli altri embrioni, trascorsi tre anni dalla loro produzione, o dopo che la donna avrà espressamente rinunciato al loro impianto. Cellule staminali Staminali significa” originarie”,” basilari”; si tratta di cellule capaci di replicarsi e di dare origine a molti altri tipi di cellule, via via più specializzate. L’embrione, all’inizio, è composto di cellule ciascuna delle quali è capace di dare origine a tutto l’organismo; per questo, tali cellule vengono chiamate totipotenti. Quando l’embrione arriva ad avere 16 cellule (circa 3 giorni di vita), questa capacità viene perduta; le cellule che costituiscono la massa interna dell’embrione divengono pluripotenti, rimangono cioè capaci di produrre tutti i tessuti dell’organismo. Sono queste in senso proprio le cellule staminali. Subito dopo, le cellule si differenziano ulteriormente e, attraverso vari passaggi, andranno a costituire tutti i diversi tessuti dei vari organi. Le cellule staminali, oltre che nell’embrione nella sua prima fase di vita, si trovano nel cordone ombelicale e, come si è scoperto negli ultimi anni, anche in molti tessuti dell’adulto: il sistema delle cellule staminali attivo all’inizio della vita dell’embrione si conserva dunque, in parte, per tutta la vita. Cellule staminali embrionali umane La preparazione di tali cellule, in modo che siano adatte alla sperimentazione, richiede che vengano appositamente prodotti embrioni umani, o che si utilizzino quelli congelati in seguito a tecniche di fecondazione fatto crescere fino allo stadio di blastociste: a questo punto viene prelevata la massa cellulare interna, operazione con la quale l’embrione viene distrutto. Le cellule estratte vengono sottoposte a ripetute colture, fino ad ottenere le linee cellulari differenziate, aventi le caratteristiche dei diversi tessuti del corpo umano. L’utilizzo terapeutico di tali colture di cellule presenta dei problemi: sia perché le cellule staminali embrionali sembrano tendere allo sviluppo di tumori, sia perché possono sorgere delle incompatibilità tra la coltura cellulare e il tessuto sul quale viene impiantata. Se è vero che l’utilizzo delle cellule staminali embrionali ha una effettiva possibilità di portare, in futuro, a terapie, fino ad oggi nessuna di tali aspettative si è realizzata: non esiste cioè alcuna terapia che impieghi cellule staminali embrionali; a livello di laboratorio è riuscito un esperimento che ha permesso di ricostruire il midollo spinale di un topo: ma siamo lontanissimi da terapie applicabili all’uomo. Queste terapie potrebbero arrivare: ma è oggi possibile incrementare le altre vie di ricerca, che non implichino la distruzione di embrioni, per ottenere almeno gli stessi risultati. Cellule staminali adulte Nella maggior parte dei tessuti dell’adulto esistono cellule staminali capaci di produrre cellule di ricambio, non solo per il tessuto nel quale risiedono, ma anche per tessuti di altri organi. Anch’esse sono capaci, attraverso l’applicazione dei più avanzati metodi di biologia molecolare, di dare origine a più tipi di cellule che, impiantate in tessuti sofferenti, si sono mostrate capaci di restituire loro le normali funzioni. La terapia attraverso le staminali adulte è già una realtà per la leucemia, le lesioni ossee, le ustioni, il trapianto di cornea. L’uso delle cellule staminali adulte non prevede la soppressione di embrioni né la loro clonazione. L’uso delle cellule staminali proveniente dal cordone ombelicale si è mostrato efficace nella cura delle immunodeficienze congenite. Davanti a questi risultati ottenuti con le staminali adulte e con quelle del cordone ombelicale, si comprende che non c’è alcuna necessità di ricorrere alle cellule staminali dell’embrione. Clonazione È la riproduzione di due o più individui geneticamente identici. Essa si può ottenere almeno in due modi: 1) attraverso fissione gemellare. Avviene quando l’embrione, allo stadio di una cellula, si divide dando luogo a due embrioni identici; è quanto avviene in natura, quando si producono i gemelli monozigoti (o identici), ma può essere fatto anche in laboratorio; in tal caso si ipotizza che, dei due embrioni così ottenuti, uno potrebbe essere avviato alla nascita, l’altro tenuto come riserva per curare, in futuro, il fratello; 2) attraverso il trasferimento di nucleo (nuclear- transfer); l’esempio più famoso è quello della pecora Dolly, ottenuta nel 1997 attraverso la clonazione del patrimonio genetico di una pecora adulta. In questo caso viene tolto il nucleo ad una cellula fecondata, prima che i cromosomi di origine materna e paterna si siano ricombinati fra loro; questo nucleo viene sostituito col nucleo di una cellula somatica di un adulto; inserito il nucleo nella cellula fecondata, questa sviluppa un individuo identico all’adulto dal quale è stato prelevato. Si tratta, in sostanza, di una forma di fecondazione attraverso la quale un individuo figlia un altro se stesso. Clonazione embrionale terapeutica Consiste nella formazione di un embrione utilizzando il nucleo di una cellula del paziente, affetto da una patologia che si ritenga, in futuro, di curare attraverso l’iniezione di cellule staminali nella parte malata. Le cellule staminali di questo embrione sarebbero geneticamente identiche alle cellule del paziente; di conseguenza, se utilizzate per la cura del paziente, si pensa che non dovrebbero incorrere nel fenomeno del rigetto. Ad oggi non esistono terapie che si servano della clonazione terapeutica: si tratta soltanto di ipotesi di ricerca molto lontane da qualunque applicazione clinica. In realtà, non è affatto necessario produrre embrioni per avere cellule staminali da utilizzare per la terapia. Infatti, sono disponibili altre concrete possibilità. La prima consiste nell’attivare, attraverso dei farmaci, le cellule staminali residenti nell’adulto: il paziente, in questo caso, verrebbe curato attraverso le sue stesse cellule, eliminando il problema del rigetto. Questo problema viene superato anche in un altro modo, almeno teorico: riprogrammare le cellule adulte fino a portarle nella condizione di cellule staminali. Queste due tecniche avrebbero le stesse probabilità di funzionare della clonazione terapeutica, senza produrre embrioni.

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