Una giustizia spietata contro i poveri

La violenza del sistema carcerario e l’indifferenza della macchina amministrativa verso la vita di un anziano lasciato morire in cella a oltre 80 anni di età per un reato minore. il caso di Egidio T.

La legge, quando vuole, sa essere dura, anzi molto dura. L’ha sperimentato sulla sua pelle Egidio, morto a 82 anni in carcere il giorno prima di poter essere ammesso alla detenzione domiciliare. La notizia l’ha data Nello Scavo il 12 settembre sulle pagine dell’Avvenire. Il fatto nella sua nuda essenzialità: «Nel 2012 avevano trovato un uomo dentro a un baule legato sopra al suo furgone, sbarcato con un traghetto dalla Grecia all’Italia. Dopo essere stato denunciato, Egidio non ha più ricevuto notizie di quel procedimento perché, come spiega il suo avvocato, ha cambiato domicilio dimenticandosi di comunicarlo alla magistratura».

L’uomo era stato condannato nel 2017 a tre anni e mezzo di carcere dal Tribunale di Ancona. Erano passati cinque anni dal 2012 ed Egidio non ricordava più quella pendenza giudiziaria. Non essendo persona “esperta” di illegalità aveva dimenticato. E quando le forze dell’ordine gli hanno notificato la condanna esecutiva, ha scoperto tutto quello che lo aspettava: il carcere, solo il carcere perché, fra l’altro, il reato contestatogli era ostativo: non consente alternative alla detenzione in cella.

A nulla sono valse l’avanzata età, né il suo stato grave di salute. Nel frattempo anche l’assegno assistenziale, che integrava la sua povera pensione, era stato perso a causa della condanna.  Questo fatto aggravava la situazione perché senza un minimo supporto per l’assistenza l’unica certezza rimane il carcere. Quando il 5 settembre il magistrato di sorveglianza ha autorizzato finalmente  la detenzione domiciliare in ospedale , il tempo di Egidio si era   tutto consumato: finito in galera a oltre 80 anni  è deceduto il sei  settembre  non per la sua avanzata età  ma di tumore e altri  malanni.

È vero sembra incredibile ma il tristissimo auspicio di un ex ministro (“devono marcire in galera!) diventa raccapricciante realtà nel caso di Egidio. E non perché il suo reato fosse particolarmente grave o perché egli fosse un habitué della galera, ma per   concause specifiche. Egidio non conosceva i tempi della giustizia italiana che rifila sonori ceffoni non nell’immediatezza dei fatti ma a distanza  e nel rispetto dei  suoi lunghi tempi. Tu hai tutto il tempo di dimenticare ma poi arriva il conto da pagare che non hai saputo nemmeno “contrattare” con un appello, un ricorso, un avvocato … un’assistente sociale.

Punire i poveri è facile! Non si sanno difendere e non hanno soldi per le spese legali, nessuno spiega accuratamente che esiste, per esempio, il gratuito patrocinio. E siccome i vari apparati dello Stato sono indipendenti e ci tengono alle proprie competenze sono efficaci contro chi non sa come difendersi. Sei condannato? Via l’assegno di sostegno alla pensione! La legge è salva!  Vuoi la detenzione domiciliare? Ma se non hai un domicilio dove ti mando? In realtà, i servizi sociali dovrebbero intervenire proprio in questi casi per assicurare una possibilità alternativa alla pena che la legge prevede anche per chi una casa sua non l’ha.

E ciò proprio in ossequio alla Costituzione (art. 3)che assegna alla Repubblica il  “compito di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la liberta ` e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana”. Perché questo compito vale sempre. Non c’è scritto, che, se sei detenuto, quest’articolo non si applica.

Ora noi non sappiamo tutti i dettagli della storia di Egidio e quindi forse non siamo del tutto sereni nelle nostre valutazioni. Ma abbiamo il sospetto che situazioni analoghe  a quella di Egidio ve ne siano e non poche. È sotto gi occhi di tutti che l’esercizio dei diritti per difendersi nel processo non segue lo stesso percorso se non puoi disporre di buone risorse economiche, sociali e familiari.

Certo fa pensare, e molto, il fatto che un imputato su tre viene assolto nei giudizi di primo grado di fronte al tribunale collegiale, e un imputato su due  di fronte al giudice monocratico ( così presidente del tribunale di Torino, Massimo Terzi, all’inaugurazione dell’anno giudiziario). Come non può lasciare indifferenti, afferma Alessandro Barbano, su Il Foglio, l’ipotizzata cifra   di un milione e mezzo di indagati, arrestati, intercettati, interrogati, che, pur essendo innocenti,  attendono in media quattro anni per sottrarsi all’incubo di un’inchiesta penale che in concreto sembra  coincidere con una persecuzione.

Di fronte alla storia di Egidio e a questi dati rimaniamo interdetti sul senso comune di giustizia giusta che ognuno coltiva e auspica. Ma non possiamo coltivare il senso di giustizia solo se siamo implicati in prima persona. Abbiamo bisogno di una giustizia forte ma non vessatoria specialmente con i poveri che rischiano più di altri di essere puniti doppiamente.

Egidio è stato in carcere e già questa struttura ha gli strumenti idonei e gli operatori competenti per attivare risorse sul territorio (Asl, servizi sociali comunali, associazioni di volontariato …) per assicurare a lui e a detenuti nelle sue stesse condizioni una rete di protezione sociale che gli consenta di poter scontare la sua pena non in totale abbandono ma in piena dignità.

Sulla questione carceraria vedi il dossier Carcerati edito con la rivista da Città Nuova e richiedibile a segr.rivista@cittanuova.it

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