Giulietta e Romeo a New York

Stravedo per il genio di Shakespeare. Mi piacciono da morire le sue ilari, sanguigne commedie, così umane. Mi sconvolgono nel profondo le sue oscure, tremende tragedie. Eppure, mai come nel caso di Romeo e Giulietta, ho lasciato ogni volta il teatro con l’amaro in bocca. Non sono mai riuscito a trovare in quell’opera né la spensierata leggerezza che fa lievitare le deliziose commedie, né lo sguardo acuto nelle profondità del male che fa respirare d’immenso le tragedie di Lear, di Amleto, di Macbeth. No. Si lascia Romeo e Giulietta turbati dall’insensata morte di due giovani. Con due considerazioni: la prima, sulla società che per pregiudizi e grettezza osteggia l’amore fra due innamorati; la seconda, sull’amore in sé. È su questa che vorrei soffermami. L’occasione la offrono i 50 anni del celeberrimo West Side Story. Un’opera scritta da Laurents, con le musiche del grande Leonard Bernstein, i testi di Stephen Sondheim e le coreografie di Jerome Robbins. Gran classe, quindi! Il musical debuttò a Broadway il 26 settembre 1957 e fu replicato ben 732 volte prima di partire per le tournée. Lo spettacolo teatrale poi divenne un film diretto dalla mano felice di Robert Wise, quello di Tutti insieme appassionatamente: un film che vinse dieci Oscar. West Side Story s’ispira liberamente alla vicenda di Romeo e Giulietta, trasportandola nell’Upper West Side di New York e nel tormentato disagio sociale degli anni di gioventù bruciata. L’amore incandescente fra Maria e Tony, novelli Giulietta e Romeo, s’innesta tra le violenza di due gruppi che si fanno la guerra soltanto perché provengono da ambienti diversi, sebbene comunque d’immigrati: i Jets bianchi, e gli Sharks portoricani. Anche nel musical – nonostante le canzoni memorabili, i balletti acrobatici che si srotolano in un caleidoscopio di colori – l’amore termina in un’assurda tragedia. Appena salvata dal fatto che Maria, accanto al corpo esanime di Tony, ucciso, riesce a riappacificare le bande rivali degli Sharks e dei Jets. Come un tempo fecero i Montecchi e i Capuleti di fronte ai cadaveri dei loro figli Romeo e Giulietta. L’amore, dunque. O meglio: quella faccia dell’amore che è la passione amorosa, figlia dell’innamoramento. Cose alla Giulietta e Romeo, alla Paolo e Francesca, alla Tristano e Isotta, alla Abelardo e Eloisa, alla Lancillotto e Ginevra, per citare esempi della storia. Quell’istinto possente che s’avverte in nuce nell’età delle prime cotte: quando accanto a Silvia o a Marco, il cuore batte forte forte e il respiro s’affanna; e al batticuore si mescola timidezza, confusione, euforia, inquietudine. Di quel sentimento fortissimo descritto in modo spirituale e sensuale nel Cantico dei Cantici: Mettimi come sigillo sul tuo cuore, come sigillo sul tuo braccio; perché forte come la morte è l’amore, tenace come gli inferi è la passione: le sue vampe son vampe di fuoco, una fiamma del Signore!. L’amore, una passione che ha radici in Cielo. Che coglie chi guarda le cose da lassù: dall’anima. Lui è uno che guarda le stelle dall’alto : con quest’espressione felicissima la poliziotta yankee del film Un’estranea fra noi descriveva il giovane ebreo ortodosso di cui si stava innamorando. Un’espressione nella quale risuonano le parole d’un santo del passato, Giuseppe da Copertino, che invitava i servi di Dio a fare come gli uccelli, i quali scendono a terra per prendere un po’ di cibo, poi subito si risollevano in aria. Dalla prospettiva del Cielo, infatti, si comprende l’amore e si afferra che esso è estremamente complesso e che è, ovviamente, intaccato dal male: può portare pace o distruzione, benefici o rovina. Oggi viviamo in un’epoca strana, nella quale al diffuso scetticismo si mescolano forme di rinnovato romanticismo. Moccia qualche anno fa, col suo Tre metri sopra il cielo e il lucchetto con le chiavi lanciato da Ponte Milvio (simbolo del per sempre), aveva colto il segnale. C’è voglia d’amore, di quell’amore alla Tony e Maria, alla Giulietta e Romeo, che ti fa stare sopra questa squallida terra, anzi addirittura un pochettino sopra il cielo. Ma svincolato dall’autore dell’amore, il Cielo diventa cielo, ed è facile perdersi nei suoi meandri. Orfani di Dio, si eleggono a dèi cose traballanti. Così, quel desiderio implacabile, nascosto nel profondo di ciascuno, quella rondine dell’anima che per sua natura vuole innalzarsi verso il Cielo, cerca surrogati. Cerca dèi immaginari: l’amore per quel tizio, per quella tizia. Ma, per quanto Alex si metta la maglietta da fighetto, per quanto Susy indossi quei jeans così attillati e si stiri i capelli… come può competere con quel Dio, di cui l’anima ha sete? L’insoddisfazione è inevitabilmente alla porta. Puoi prendertela con Alex che non risponde al centesimo messaggino, puoi prendertela con Susy che fa gli occhi dolci a un altro… Delusi dall’amore si diventa cinici; stufi del cinismo si ricerca un più languido romanticismo. Ma la questione è un’altra: Il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te, diceva un tempo Agostino. Il problema è sempre lo stesso. Certo, le stupende e accattivanti melodie di Bernstein, le canzoni come Maria o Tonight, ci fanno vedere ancora più poveri i nostri amori da sms. Un cmq tvb non può certo competere con le poetiche parole di Romeo: Se con indegna mano profano questa tua santa reliquia (è il peccato di tutti i cuori pii), queste mie labbra, piene di rossore, al pari di contriti pellegrini, son pronte a render morbido quel tocco con un tenero bacio.Ma, al di là di queste finezze linguistiche, la storia non cambia di molto. Ogni volta che uscivo da una rappresentazione di West Side Story, o di Romeo e Giulietta, pensavo al finale… sono morti, ma se non fossero morti? Se avessero potuto sposarsi felicemente e poi, che ne so, col tempo avessero cominciato a litigare, avessero capito che avevano preso un abbaglio, che non erano fatti l’uno per l’altra, e si fossero divorziati? Sarebbe stato certamente un finale ben più squallido. In fondo, nella rappresentazione teatrale, con la morte si salva l’amore. E si tenta di renderlo eterno. Ma l’amaro in bocca che tuttavia traspare è dovuto al fatto che quest’amore era stato eletto a divinità. E quando sembra mancare non intravede altra via che l’omicidio o il suicidio. Giulietta aveva già intravisto questo pericolo, quando appena conosciuto Romeo gli ingiungeva: Anche se tu mi dai tanta gioia, questo giuramento di stanotte non mi piace: È troppo avventato, affrettato, improvviso, troppo simile al lampo, che svanisce… . Ma presto s’erano entrambi lasciati avvolgere dalle cieche spire della passione amorosa colpita da avversità. Fino a non vedere via d’uscita e venirne stritolati. Ogni amore, però, conosce avversità. Ogni amore fa paura e può incutere timore, perché è un fuoco grande. Eppure, se è visto con gli occhi del Cielo, con lo sguardo rivolto verso l’amor che move il sole e l’altre stelle si comprende che è una scommessa altissima. Alla quale si può rinunciare solo oscurando una fetta d’anima. Ma che uomo sei, se non hai il Cielo? canta, a proposito, Renato Zero. È vero: la tragedia di Romeo e Giulietta ci parla del Cielo per la poetica sensibilità con la quale Shakespeare ha intessuto i dialoghi; il musical West Side Story c’incanta per la bellezza delle musiche e la vivacità dei balletti. In quanto alla trama… le storie d’amore narrate da chi vede le stelle dall’alto fanno di certo più bene al cuore. Sono poche? Se cerchiamo bene, ne troviamo.

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