Gerusalemme, una spirale molto pericolosa

In una settimana 6 morti e centinaia di feriti. Il popolo palestinese chiede che gli israeliani facciano un passo indietro e smontino i tornelli, pura esibizione di potere, per accedere ai luoghi di preghiera. Insegnare alle nuove generazioni la via della pace e la cultura della riconciliazione resta l'unica possibilità per sconfiggere l'odio

Gerusalemme torna tragicamente al centro dell’interesse mediatico. In una settimana tutto è cambiato. I morti sono l’effetto di una azione di arabi israeliani che hanno sparato e ucciso due soldati israeliani di origine drusa, uno dei quali amico dei palestinesi, secondo la testimonianza di un cristiano. Dunque nessuna responsabilità da parte dei palestinesi. E allora si comprende la loro protesta come reazione di fronte alla chiusura della città vecchia e della spianata. Dopo una settimana tutto è peggiorato. Sei eccidi e centinaia di feriti: il popolo palestinese chiede che gli israeliani facciano un passo indietro e smontino i tornelli, pura esibizione di potere.
Abu Mazen ha deciso di interrompere i contatti con gli israeliani, in particolare i servizi di sicurezza, finché gli israeliani non riconosceranno il loro errore. Tutto questo significa una spirale assai pericolosa.

Palestinesi pregano fuori dalla Città Vecchia
Palestinesi pregano fuori dalla Città Vecchia

Teniamo presente che oggi i palestinesi vivono una condizione di isolamento da parte del mondo arabo e delle società del Medio Oriente. Oggi l’agenda ha il nome di Siria, Iraq, Iran, Kurdistan, Libia e poi di seguito con una grande distanza la tragedia palestinese. Oggi si assiste alla militarizzazione d’Israele con gli imponenti finanziamenti nordamericani prima di Obama e poi di Trump e poi con l’alleanza tra i sunniti, Israele, Turchia e lo stesso Iraq! Certo, un gioco di cui la Palestina è solo spettatrice. Non ci sono soluzioni brevi e rapide, ma lunghe e faticose. Le armi non producono soluzioni ma morti, come testimonia la spianata. Il sentiero di Isaia è la via della pace e della riconciliazione. Il papa, quando incontrò Peres e Abu Mazen, volle dire al mondo che la porta della preghiera e della riconciliazione è sempre aperta, a prescindere dalle culture e dalle visioni di ciascuno.

In questi giorni a Gerusalemme ho visto cento bambini palestinesi imparare a danzare la cultura della pace per portarla in Italia insieme ad alcuni giovani israeliani, come segno che la cultura dell’incontro è possibile. Questa è la via ostinata alla pace, fatta dalla scuola dei diritti e della salute. Certo che la porta della preghiera deve rimanere costantemente aperta, è lì che si custodisce il miracolo della pace, ma accanto alla porta della preghiera deve nascere la cultura della riconciliazione, che ricompone le società e sconfigge l’odio, che è la vera malattia che distrugge quella terra.

Due gesti da parte di Israele: liberare i bambini palestinesi dalle prigioni in modo che vadano alla scuola della pace e non ai pozzi inquinati dalla violenza. Ad oggi il governo palestinese ha un debito di circa 60 milioni di euro per curare i bambini palestinesi con gravi patologie che si trovano negli ospedali israeliani. Il governo israeliano dovrebbe ridurre del 50% il debito, come segno di riconciliazione a partire dai bambini palestinesi più feriti. Due azioni concrete per ricostituire la porta della riconciliazione, non come retorica, ma come azione piccola ed efficace perché cambia i cuori. Abu Mazen dica parole di pace, gli israeliani non si consegnino alla potenza delle armi, ma alla sapienza della politica. Oggi gli israeliani salvano i bambini siriani sulle colline del Golan: a maggior ragione possono salvare i bambini palestinesi come precondizione perché tutti possano salire sul Monte Santo di Dio.

Le vittime sono i veri maestri della pace. Gli israeliani abbandonino la politica come Potenza delle armi e i palestinesi abbandonino una volta per sempre la via della resistenza armata. Oggi il futuro dei palestinesi sta in una carta costituzionale con al centro la libertà religiosa, la non violenza, la pace e la riconciliazione, la convivenza tra le tre religioni monoteiste. I cristiani hanno grandi responsabilità perché ebrei e musulmani si incontrino nei luoghi santi. Non si tratta di costituire delle tifoserie ma di essere testimoni di perdono, non solo la vocazione al perdono ma il peso del perdono da cui tutti vogliono fuggire per scaricarlo sul nemico. E Gerusalemme è la città della violenza che uccide i profeti e al tempo stesso è il luogo in cui Dio si manifesta nell’innocente crocifisso, che perdona.

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