Francesco ai vescovi europei: crescere per attrazione

Al Congresso dei Centri nazionali per le Vocazioni delle Chiese di Europa discorso a braccio del papa sulle vocazioni che non è come «cercare nuovi soci per questo club».

Come capire i giovani del “vecchio continente”? Come aiutarli nella crescita personale e nella scelta più importante di tutte, quella della vocazione? Sono alcune delle domande che si sono posti i vescovi partecipanti al Congresso dei Centri nazionali per le Vocazioni delle Chiese di Europa, un incontro nato per tracciare cammini nel solco dell’ultimo Sinodo dedicato ai giovani. Papa Francesco, incontrandoli in udienza, ha sottolineato che il lavoro per le vocazioni non è proselitismo, non è come «cercare nuovi soci per questo club»: la Chiesa, infatti, cresce per attrazione, grazie alla gioiosa testimonianza dei suoi membri.

«Lavorare con i giovani esige tanta pazienza, tanta!», ha detto il papa parlando a braccio. Ha poi evidenziato alcune sfide che deve affrontare chi accompagna i giovani nel cammino di discernimento. Innanzitutto, accompagnarli vuol dire aiutarli a dialogare con Dio: «Aiutare un giovane o una giovane a scegliere la vocazione della sua vita, sia come laico, laica, come sacerdote, religiosa, è aiutare a far sì che trovi il dialogo con il Signore. Che impari a domandare al Signore: “Cosa vuoi da me?”». Naturalmente, è imprescindibile la dimensione testimoniale: «Si capisce che se voi non dialogate con il Signore, sarà abbastanza difficile insegnare agli altri a dialogare su questo punto».

Per lavorare con i giovani – prosegue il papa – bisogna stancarsi, mettersi in moto, in movimento con loro, bisogna “ringiovanirsi”. È necessario ascoltarli, comprenderli, stare insieme a loro per imparare a parlare il loro linguaggio: «Capire il loro linguaggio, che è un linguaggio povero di comunione, perché loro sanno tanto di contatti, ma non comunicano. Comunicare è forse la sfida che noi dovremmo avere con i giovani. La comunicazione, la comunione. Insegnare loro che è bene l’informatica, sì, avere qualche contatto, ma questo non è il linguaggio: questo è un linguaggio “gassoso”. Il vero linguaggio è comunicare».

I giovani sono diversi tra loro, ma hanno in comune quell’inquietudine che è caratteristica dell’età, la voglia di fare del bene. È importante riuscire a capire cosa vuol dire per loro vivere sempre “in connessione” e in che modo aiutarli a “raccogliersi in se stessi”, senza imporre nulla ma camminando al loro fianco per accompagnarli all’incontro con il Signore.

Per aiutare i giovani a «crescere nella santità e nell’impegno per la propria vocazione» (Christus vivit, 3) papa Francesco, nel discorso consegnato ai vescovi nel corso dell’udienza, indica tre linee da seguire: la santità, la comunione e la vocazione stessa che si declina con le parole “felicità”, “libertà” e “insieme”.

La vocazione è un percorso che dura tutta la vita, perchè la vita è fatta per portare frutto nella carità e rispondere alla chiamata alla santità. Nel tempo della giovinezza, questo cammino è finalizzato a comprendere l’orientamento da dare alla vita, ma «riguarda la vita adulta nell’orizzonte della fecondità e del discernimento del bene da compiere».

La vocazione è un’avventura da vivere insieme perché «nessuno si salva da solo, ma si diventa santi insieme» (Christus vivit, 6). Dalla sinodalità nasce la comunione e dalla comunione della Chiesa germoglieranno nuove vocazioni. Quindi, il monito a fuggire ogni divisione: «Spesso nelle nostre comunità, nelle famiglie, nei presbitéri abbiamo pensato e lavorato con logiche mondane, che ci hanno diviso e separato. Ciò appartiene anche ad alcuni tratti della cultura odierna e la sofferta storia politica dell’Europa è di monito e fa da sprone. Solo riconoscendoci veramente comunità – aperte, vive, inclusive – diventeremo capaci di futuro. Di questo i giovani hanno sete».

È importante parlare con chiarezza della vocazione: «la parola “vocazione” non è scaduta», dice il papa, e «togliere dal vocabolario della fede la parola “vocazione” significa mutilarne il lessico correndo il rischio, presto o tardi, di non capirsi più». Essa si declina insieme ad altre tre parole: felicità, libertà, insieme. Dio dona la vera felicità, quella che non è un sentimento passeggero, ma che «permane anche quando la gioia o l’entusiasmo del momento scompaiono, anche quando sopraggiungono le difficoltà, il dolore, lo scoraggiamento, la disillusione».

Contrariamente a ciò che spesso si pensa, trovare la propria vocazione corrisponde a trovare la vera libertà: «È vero che la parola “vocazione” ai giovani può fare paura, perché spesso è stata confusa con un progetto che toglie la libertà. Dio, invece, sostiene sempre fino in fondo la libertà di ciascuno», dice papa Francesco. Ogni pastorale deve essere vocazionale, deve aiutare a trovare la propria strada e a camminare non isolati ma insieme agli altri, come membri della società e della Chiesa, perché «i veri sogni sono i sogni del “noi”».

Una parola particolare papa Francesco la dedica alle vocazioni a una speciale consacrazione: è tempo di “gettare di nuovo le reti”, di avviare processi e allargare spazi di fraternità. Tante sono le vocazioni alla vita consacrata che hanno reso bello il volto dell’Europa, che hanno operato nella carità e nella missione o, come la vita monastica, «nella quale affondano le radici dell’Europa». Non bisogna avere paura di proporle ai giovani ma soprattutto di testimoniarne la bellezza e l’importanza che rivestono nella società. «Oggi – conclude il papa – la vita di tutti è frammentata e a volte ferita; quella della Chiesa non lo è di meno. Radicarsi in Cristo è la via maestra per lasciare che la sua opera ci ricomponga».

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