Finanza senza scrupoli e globalizzazione

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La questione Parmalat ha provocato un ampio dibattito politico sulle responsabilità delle istituzioni nazionali, sui controlli e la vigilanza in materia, coinvolgendo il ruolo del governo, della Banca d’Italia e della Consob, l’organismo di controllo della borsa. Il problema però è solo parzialmente italiano, come hanno giustamente osservato economisti quali Giavazzi e Vitale. Il primo ha rilevato che il governo si accinge a effettuare la riforme delle autorità come se l’Italia vivesse ancora in un sistema autarchico , mentre il secondo ha invitato a uscire da una visione provinciale: Americani erano i revisori, americana era la società di rating, americana è la banca principale che da 20 anni è a fianco del gruppo, americane sono le principali banche che hanno collocato titoli, americani, e comunque internazionali, sono molti sottoscrittori di titoli. Per uscire dalla nostra provincia dobbiamo considerare due aspetti che hanno caratterizzato gli ultimi anni: la finanziarizzazione dell’economia, ossia l’aumento esponenziale degli investimenti con solo interesse speculativo, slegati perciò dall’economia reale, quella che produce beni e servizi e crea posti di lavoro, e l’applicazione delle tecnologie informatiche al mondo finanziario, che permette operazioni in tempo reale senza spostamento di persone e imprese, e a volte nemmeno di capitali. Prendiamo il caso dei paradisi fiscali, ovvero come far sparire un capitale. Basta andare da qualche professionista in una grande città italiana oppure intraprendere un bel viaggio virtuale su internet. Il nostro professionista prenderà i contatti con chi se ne intende in uno dei paradisi fiscali attualmente esistenti, dove provvederà a costituire una società intestata a lui, e in seguito dichiarerà che la società non è sua ma di chi gli ha dato l’incarico in Italia. C’è però un particolare non trascurabile: l’accordo fatto rimane assolutamente segreto, per cui ai fini fiscali i beni intestati alla società non appariranno più di proprietà del mandante. Conseguenze minime (e già significative): l’elusione delle tasse in Italia e il mancato utilizzo dei capitali per attività produttive. Conseguenze spiacevoli: se il professionista non è serio ci si potrebbe trovare con i propri capitali trasferiti su un’altra società sempre offshore, ma sua. Conseguen- ze gravi: contribuire a presentare bilanci non corrispondenti alla realtà e quindi minare la fiducia del sistema e degli investitori (come nel caso Parmalat) fino alla possibilità di essere coinvolti coscientemente o meno in operazioni di riciclaggio di denaro di provenienza illecita, scopo per cui i paradisi fiscali vengono pure ampiamente utilizzati. Che fare? Non è a mio avviso in discussione il ruolo della attività finanziaria in quanto tale e tanto meno quello dell’informatizzazione. Disporre di capitali per lo sviluppo di investimenti produttivi o delle economie dei singoli paesi è fondamentale per il funzionamento del mercato. Si tratta però di porre delle regole e la difficoltà principale consiste nel fatto che i paesi sono gelosi della loro sovranità, mentre i problemi sono sovranazionali. Passi l’esempio: se io ho un gregge dentro il recinto, finché sta dentro posso controllarlo, appena lo porto a pascolare ho bisogno di un pastore o perlomeno di un cane che controlli le pecore. La liberalizzazione dei mercati dei capitali non è stata accompagnata da regole efficaci a livello sovranazionale, ossia da pastori o da cani che controllino la situazione. Se le soluzioni da individuare non sono semplici e gli effetti non potranno comunque essere immediati, ci si deve tuttavia muovere in due direzioni: la prima è quella di rafforzare la cooperazione fra i governi, cominciando da tutti quelli disposti a collaborare ed è quanto si sta facendo nell’ambito dell’Ocse (Organizzazione per la cooperazione lo sviluppo economico) e dell’Unione europea, proprio sui paradisi fiscali. D’altra parte, è aumentata la cooperazione fra le banche centrali che, tramite l’accordo di Basilea, sono obbligate a finanziarsi non solo tramite i depositi, ma a detenere sotto forma di capitale proprio una percentuale delle proprie passività. Le banche centrali sono però istituzioni pubbliche, mentre ora il problema tocca i soggetti privati per cui è importante che quelle misure che ogni governo ha preso o prenderà nei confronti delle società di revisione o rating, o nei sistemi di controllo delle imprese, trovino un riscontro nella cooperazione fra i governi stessi, a livello di scambi di informazioni, procedure, e così via. Si deve tuttavia pensare a lungo termine anche a soluzioni sovranazionali di portata più ampia che potrebbero consistere sia nel rafforzamento della struttura delle Nazioni Unite in campo economico finanziario, da far rientrare nella più ampia riforma dell’Onu di cui si discute, sia nella costituzione di una Organizzazione internazionale ad hoc in campo fiscale, una World Tax Organisation, come è stato da più parti proposto. ETICA E FINANZA La Chiesa cattolica italiana ha pubblicato recentemente un documento, Finanza internazionale e agire morale, quale seconda tappa di una riflessione avviata nel 2000 sullo stesso tema. Lo sviluppo del fenomeno ha spinto a ritornare sull’argomento e il lavoro è durato più di un anno, venendo solo casualmente a coincidere con lo scoppio del caso Parmalat. Il documento non contiene una serie di precetti morali e non è nemmeno un prontuario per le scelte del risparmiatore. Si tratta piuttosto di uno strumento informativo accessibile anche ai non specialisti, per formarsi una coscienza adeguata e fare scelte consapevoli. Tre zone vengono identificate nell’ambito della finanza. Nella bianca rientrano le operazioni finanziarie che migliorano l’efficienza del sistema economico nel suo complesso, con particolare attenzione al finanziamento dello sviluppo dei paesi emergenti. In quella nera troviamo i fenomeni patologici, dal riciclaggio del denaro sporco a quello usato per operazioni terroristiche, alle operazioni volte a ricercare solo un regime fiscale più conveniente, come si è illustrato in precedenza. Infine la zona grigia, che comprende le operazioni che astrattamente potrebbero anche portare degli effetti positivi, ma che per le modalità con cui sono realizzate richiedono – secondo il documento – attenta considerazione, come lo spostamento di somme a brevissimo termine da un paese all’altro o lo sfruttamento da parte di operatori di grandissima dimensione di un potere di mercato che consente loro non solo di approfittare meglio delle circostanze favorevoli, ma di mettere in subbuglio i mercati, costruendo ad arte oscillazioni di prezzi da cui trarre vantaggio. Sul piano dei comportamenti personali il documento sostiene la ricerca d’investimenti di prodotti che pur con differenze significative, assumono il termine etico come segno distintivo di una preoccupazione in questo senso e mette in luce il ruolo di responsabilità particolare degli operatori finanziari, a cominciare da chi svolge ruoli di dirigenza.

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